mercoledì 30 aprile 2008

Sequestrata l'area di stoccaggio di Pianodardine.

Su Pianodardine, avevamo ragione. Ora, tavolo unico di trattativa e ciclo innovativo per la provincializzazione.



Lo avevamo detto: L’impianto di Pianodardine è poco idoneo perchè mancante delle relative norme di sicurezza sia nell’accesso al sito, la recinzione in più punti presenta buchi o risulta divelta, e sia per l’inesistenza dell’impiantistica antincendio, in un’area in cui già l’incendio dell’Irm ha inquinato e mortificato ulteriormente quei cittadini che, da troppi anni, vivono nella zona del nucleo industriale in una condizione d’inquinamento diffuso. Avevamo detto che anche i lavori d’impermeabilizzazione del sito di stoccaggio, che insiste al di sopra di una falda superficiale, ci erano sembrati approssimativi e non rispettosi delle distanze di legge dagli argini del fiume Sabato.
Ci appare, oltre che doveroso, provvidenziale, il blocco ed il sequestro del sito di stoccaggio. Occorre adesso un approfondimento su tutte le questioni da tempo sollevate dai comitati civici della zona. Che si riapra, dunque, la trattativa con De Gennaro non considerando più a disposizione l’area di Pianodardine. Ma, soprattutto, che ci sia un tavolo unico sulle questioni irpine. La debolezza della linea intrapresa dalla Provincia nel confronto con il super-commissario è stata quella di separare le questioni, dallo stoccaggio al cdr di Avellino, ai rifiuti tossici e nocivi in Baronia, alla discarica di Pustarza, per la quale solo le dimensioni, ormai, confermeranno se la provincializzazione riuscirà, veramente, a passare. Abbiamo solo alcuni mesi per immaginare e costruire un percorso aldilà dell’emergenza. Occorre poter disegnare lo sviluppo di un ciclo altro rispetto a quello ipotizzato sin qui dai governi. Lo sviluppo di una adeguata impiantistica per il compostaggio di qualità della frazione organica; la costituzione di una società a capitale pubblico che, all’atto della provincializzazione, riesca a strutturare il servizio nei comuni; l’avvio di filiere industriali del riutilizzo e del riciclaggio incentivato anche dagli enti pubblici e, ovviamente, la strutturazione spinta del servizio per la raccolta differenziata proprio a partire dalla città capoluogo, penalizzata prima dal commissariamento e successivamente dalla poca intraprendenza su questo fronte dell’amministrazione Galasso.

Generoso Bruno

martedì 29 aprile 2008

SESSANTOTTERO’.

Ieri, ad Avellino, Mario Capanna ed il Sessantotto al futuro.

Per continuare, è questa la dedica che Mario Capanna ha posto ieri sera sui libri dei ragazzi di adesso e di qualche anno fa. Ed è con questa pubblicazione, Il Sessantotto al futuro, che l’autore chiude la trilogia cominciata con Formidabili quegli anni e proseguita con Lettera a mio figlio sul Sessantotto. Il ’68, quindi, come rivoluzione ancora da compiersi in un mondo globalizzato, incapace di arrestare la sua spirale di crescita progressiva, incurante del rischio di non sopravvivere alle proprie scelte e, quindi, meno intelligente di una lumaca, che, per come argomentava ieri Capanna, ha, almeno, l’intelligenza di arrestare la costruzione del proprio guscio. Pena, la sua stessa esistenza. Capanna, quindi, prova a dimostrare di come la voce del ’68 sia in grado, adesso, con accresciuta attualità, in proporzione all’aumento dei pericoli che minacciano la specie umana e la Terra, di parlare alle attuali contraddizioni della società, non solo l’antica dicotomia tra capitale e lavoro ma capace di attraversare il tema della sostenibilità e del rapporto tra uomo e natura. Redistribuzione della ricchezza, decrescita, alternomondismo, energie rinnovabili, nuovi diritti e nuove libertà sembrano queste le parole che legano il ’68 di quarant’anni fa all’attuale stagione dei movimenti che, oggi, in maniera carsica, stanno attraversando, il tempo presente pronti, ancora una volta, ma bisognerà lavorare per questo, a venir fuori. Ancora centrale, appare, quindi, la domanda di senso che Hanna Arendt, poneva sul Sessantotto: “Che cosa realmente è accaduto”? E, soprattutto, diciamo noi, cos’è che accadrà? La risposta, ancora adesso, come individuava la Arendt, sta nella scoperta di quella che il diciottesimo secolo aveva chiamato la “felicità pubblica”, di quando l’uomo partecipando alla vita pubblica apre a se stesso una dimensione di esperienza umana che altrimenti gli rimane preclusa e che in qualche modo rappresenta parte di una “felicità completa”. “Sous les pavès il y la plage”, scrivevano i ragazzi del Maggio. Sotto l’asfalto, la spiaggia, ad Avellino, al più, il buco del tunnel. Quanta strada c’è ancora da fare per la via del mare?

Generoso Bruno

lunedì 28 aprile 2008

Euromayday, da Napoli ad Aquisgrana: STOP ALLA PRECARIETA'.

Aquisgrana. Il primo maggio Sarkozy incorona Angela Merkel «politico europeista dell'anno». L'Euromayday prepara la 'festa'.

Paolo Gerbaudo - il manifesto

San Precario contro Carlo Magno. I giovani e i migranti del vecchio continente contro la diarchia Merkel-Sarkozy. Il prossimo primo maggio, nella sontuosa Rathaus di Acquisgrana, sede di incoronazioni in epoca carolingia, il premier francese conferirà al cancelliere tedesco il tradizionale premio Carlo Magno, dedicato al politico europeista dell'anno. Ma per le strade della città d'arte tedesca, non ci saranno celebrazioni per festeggiare l'"incoronazione" della Merkel. A rovinare la festa ci penserà la protesta della Euromayday, la rete continentale dei lavoratori precari e dei migranti, che promette di portare tumulto ad Acquisgrana e in decine di altre città europee che partecipano alla giornata di azione. «Costretti a vivere nell'inferno del precariato metteremo a soqquadro il paradiso delle élite dell'Unione europea» , avvisano i promotori. Gli attivisti dell'Euromayday vedono nel premio Carlo Magno - che si consegna il giorno dell'ascensione, quest'anno il primo di maggio - il simbolo dell'Europa peggiore. Quella militarista, neoliberista e clericale, che non si piega alle domande sociali che vengono dagli strati più svantaggiati. «Rifiutiamo Carlo Magno come simbolo dell'Europa e denuciamo il neoliberismo della commisione Barroso, il militarismo di Solana e il monetarismo della Banca centrale di Trichet», si legge nella chiamata per la giornata di protesta. Contro l'Europa della burocrazia, degli eserciti e dei governi, l'Euromayday si appella all'Europa del precariato, ai lavoratori a tempo parziale, ai cococo e cocopro, ai disoccupati che vengono emarginati dalle politiche sul lavoro e sulla sicurezza sociale. Ma non solo. «Ci rivolgiamo agli operai e alle operaie, delle fabbriche e dei servizi, agli studenti, alle associazioni, ai centri sociali, alle mille forme di resistenza e di autorganizzazione che ri-generano i territori e le metropoli martoriati dal vampirismo neoliberista», dichiarano gli organizzatori. Il programma della protesta principale prevede una manifestazione in mattinata davanti alla Rathaus contro Merkel e Sarkozy. Da qui partirà nel pomeriggio la classica parade, con soundsystem, scenografie e "supereroi del precariato quotidiano". La giornata sarà chiusa da una festa di precari e migranti in un parco cittadino. Oltre alla manifestazione centrale ad Acquisgrana, la protesta contro il precariato interesserà diverse città europee che hanno già aderito all'iniziativa. Le piazze principali in giro per l'Europa quest'anno saranno Berlino, Copenhagen, Amburgo, Helsinki, Lisbona, Malaga, Maribor in Slovenia e Terrasa vicino a Barcellona. In Italia oltre a Milano, ci saranno anche Napoli e Palermo. E quest' anno per la prima volta ci sarà una Mayday precaria pure a Tokyo dove gli attivisti giapponesi già si scaldano in vista della protesta contro il vertice G8 che si terrà a Osaka dal 7 al 9 luglio.Il 1 maggio ricreatoLa storia della Mayday comincia a Milano nel 2001, quando gruppi di attivisti mediatici e agitatori del sindacalismo precario e di base decidono di rivitalizzare il primo maggio che ormai appare poco più di una ricorrenza istituzionale, svuotata di significati politici. Negli anni successivi è una crescita continua. Nel 2003, 50.000 persone sfilano a Milano e la manifestazione raggiunge una dimensione regionale, ma coinvolge pure studenti e precari romani. Nel 2004 Barcellona si mette al fianco di Milano: la Mayday diventa Euromayday. Oltre 100.000 persone scendono in piazza. A Milano a ritrovarsi nella lotta contro il precariato è il «popolo di Genova». Il primo maggio precario diventa sempre più il primo maggio vero e proprio, oscurando il rituale concerto di piazza San Giovanni. Le reti no-global europee si accorgono presto dell'iniziativa. L'occasione per ampliare il processo la offre «Beyond ESF», l'iniziativa parallela al Forum sociale europeo di Londra dell'ottobre 2004. In un assemblea alla Middlesex University si decide di creare una rete Euromayday, che organizzi assemblee transnazionali, da tenersi ogni volta in una città diversa. Incontri per decidere strategie di azione comune. Non solo per organizzare il primo maggio ma anche come processo di attivazione comune di migranti e precari. Così nel 2005 la Euromayday raggiunge venti città, da Stoccolma a Parigi, da Amsterdam a Siviglia. Nel 2006 la partecipazione cresce ancora. A scendere in piazza sono oltre 300.000 persone, anche se in meno città rispetto all'anno precedente. Oltre alle manifestazioni decentrate l'euromayday lancia per la prima volta un'azione congiunta a Bruxelles il venerdì di pasqua. Si risale la chinaE' un momento caldo per la questione precaria: la Sorbona, è occupata contro la legge sul Cpe ("contratto di primo impiego") e la piazza dell'università viene ribattezzata «piazza della precarietà». In questi anni il problema del precariato viene connesso sempre più con quello dei migranti, con la partecipazione delle reti no-borders alla MayDay. Il 2007 vede una flessione della manifestazione: meno partecipanti e un calo di entusiasmo, anche per la mancanza di risposte politiche. Ma quest'anno la giornata promette di risalire la china. Le proteste contro il G8 a Rostock hanno visto sfilare un euromayday pink bloc, che ha messo assieme diversi gruppi europei che hanno lottato contro il precariato durante questi anni. Le assemblee transnazionali sono riprese. E il ritorno di vitalità della manifestazione traspare anche dal nuovo sito con filmati ironici sul problema dei precari che arrivano da diversi angoli d'Europa, tra cui l'imperdibile «chiki chiki precario». Così, mentre il problema del precariato continua a incontrare orecchie sorde sia tra i politici di casa nostra che tra i tecnocrati di Bruxelles, i precari continuano a fare affidamento sull'unica arma che posseggono:la creatività. E quella che è la risorsa più preziosa nell'era del capitalismo cognitivo, diventa uno strumento di lotta contro le nuove forme di oppressione del lavoro.

sabato 26 aprile 2008

“Balle, CDR e inquinamento: di chi fidarci?”

Dagli organi di stampa apprendiamo con grande preoccupazione che nelle prossime ore saranno stoccate al CDR di Avellino 20000 balle di rifiuti, paria circa 26000 tonnellate, provenienti dagli altri impianti CDR della Campania.
Secondo quanto dichiarato dalla Presidente della Provincia, Alberta De Simone al Mattino di oggi “saranno stoccate non più 42000 ecoballe ma solo 20000. E’ l’equivalente del quantitativo di
<<>> che è stato rimosso negli ultimi 4 mesi dalle strade dei comuni della provincia di Avellino che non fanno la differenziata”. Inoltre, De Gennaro ha assicurato che lo stoccaggio sarà provvisorio, fino al 31 maggio, data dalla quale le balle dovrebbero essere trasferite altrove.

Vista la mobilitazione del 22 e 23 aprile proclamata dalla De Simone stessa, appoggiata dai sindaci della Valle del Sabato, dal sindaco di Avellino, da associazioni locali e cittadini, che ha visto per lunghe ore il blocco del CDR di Pianodardine chiediamo:


- perché la De Simone dichiarava la totale inaffidabilità del Commissariato ai rifiuti, e giorno successivo cedeva a trattativa;
- perché non è mai stata convocata una conferenza stampa congiunta delle istituzioni coinvolte per spiegare alla comunità irpina quanto sta succedendo, evitando il susseguirsi di voci contrastanti e un confronto diretto con i cittadini;
- una posizione pubblica del Sindaco di Avellino a un no secco a futuri ampliamenti del sito di stoccaggio del CDR di Pianodardine per evitare l’arrivo di ulteriori quantitativi di balle;
- l’accordo che prevede il trasferimento delle ecoballe fissato per il 31 maggio è solamente verbale o è stata firmata una intesa scritta;
- che tipo di rifiuti ci saranno restituiti;
- quali controlli saranno effettuati sulle acque del fiume Sabato dato l’evidente scolo di percolato, proveniente dall’impianto di cdr (come evidenziato dalla foto allegata)

Comitato “RIFIUTI ZERO
Associazione “ROSSOfisso
Associazione “ZIA LIDIA SOCIAL CLUB

A Pianodardine Fisichella sponsor delle balle di talquale.


Solo una farsa quella di Pietro Foglia, alle 17.00 di questo pomeriggio almeno 15 tir hanno varcato i cancelli dell’impianto del CDR di Pianodardine. Ogni tir trasporta, in media, a detta dei conducenti, un quantitativo di 20 balle di talquale. La gran parte dei mezzi usati per la mobilitazione, in incognito, dei rifiuti sui teloni di copertura delle fiancate recava la pubblicità di una nota marca di birra (Drive Beer) che ha come testimonial il campione di F1 Fisichella.
Il lucchetto posto stamane ai cancelli dal presidente dell’Asi, sembra, quindi, più seguire la moda di Ponte Milvio del film di Federico Moccia che indicare il divieto d’accesso al Cdr di Pianodardine per le balle di talquale. Questo pomeriggio si è compiuto l’ennesimo atto che consuma ulteriormente la frattura tra cittadini ed istituzioni in un’area che, per come è dislocata, sembra essere terra di nessuno se non dell’Asi. Neppure i sindaci, che, se durante le assemblee popolari non mancano di esprimere vicinanza e partecipazione ai comitati, in sede di convocazione Asi votano bilanci e piani industriali che nelle loro scelte affossano il diritto alla salute delle loro stesse comunità, da oggi, sono credibili.
L’ intera area vive da anni una condizione di inquinamento diffuso in concentrazioni superiori ai limiti di legge nei suoli, nell’aria e nelle acque sia superficiali, fiume Sabato, che sotterranee.
Il Cdr, l’incendio dell’Irm, le industrie che trattano legno, cementi e catrame hanno, già da tempo nell’intera area, determinato palesi condizioni d’invivibilità (zona rossa per rischio inquinamento) per i cittadini, le famiglie e gli stessi lavoratori con un incremento, come segnalato dagli stessi comitati, di malattie tumorali.
Le balle di talquale saranno, da oggi, ospitate in un impianto poco idoneo e mancante delle relative norme di sicurezza sia nell’accesso stesso al sito che per l’impiantistica antincendio con un’approssimativa impermeabilizzazione dello stesso sito di stoccaggio che, oltre ad essere nei pressi del fiume Sabato, insiste al di sopra di una falda superficiale.
Invito, quindi, i cittadini ad un monitoraggio continuo della zona e le istituzioni al coinvolgimento dei comitati civici nelle scelte future per l’intera area.

Generoso Bruno

Vendola, a il manifesto: Contro furbizie e veleni, un confronto vero


Io candidato segretario? Prima di tutto dobbiamo metterci d’accordo per salvare Rifondazione, se ricominciamo così siamo già morti. No al leaderismo, ma non si può criticarlo solo dopo la sconfitta.


di Micaela Bongi e Andrea Fabozzi - il manifesto


Al presidente della regione Puglia Nichi Vendola guardano in molti come al candidato alla segreteria di Rifondazione in grado di ristabilire l’unità del gruppo dirigente o almeno di restituire la maggioranza ai bertinottiani dopo che al primo Comitato politico nazionale post disastro elettorale Paolo Ferrero e Claudio Grassi hanno messo in minoranza il segretario Franco Giordano, che si è dimesso.


Facciamo anche a te la domanda che abbiamo fatto a Giordano e Ferrero: era proprio inevitabile mettere tra parentesi l’analisi di una sconfitta così grande e iniziare subito con uno scontro di potere?

Nell’ultimo Cpn sono stati usati toni e argomenti da redde rationem. Si è scantonato rispetto alla necessità di guardare in faccia alla sconfitta e lo si è fatto anche con una traccia di violenza nelle relazioni tra persone. C’è stata una furia iconoclasta nei confronti di un pezzo del gruppo dirigente, non ho apprezzato quel patetico chiamarsi fuori di un altro pezzo. Questa dinamica nevrotica, questo stile della lotta politica non può che portarci alla catastrofe. Il partito e tutto il popolo della sinistra si aspettano altri segnali. Non la rimozione della sconfitta. Ma nemmeno che la sconfitta sia usata come una clava per un regolamento di conti.


Oltre allo scontro però c’è stato un voto su un documento che dice: ripartiamo da Rifondazione. Un cambio di rotta per il partito e per il progetto di unità a sinistra?

Il Cpn ha solo prodotto una convergenza occasionale che non ha nessun respiro strategico. Tutti siamo critici nei confronti delle forme e del contenuto della Sinistra arcobaleno, per come si è presentata alle elezioni. Io l’ho detto subito dopo il voto: siamo stati solo una cartolina illustrata che metteva insieme quattro rappresentanti di quattro partiti, senza l’amalgama di un agire politico comune e senza nemmeno crederci molto.


Allora ha ragione Ferrero che dice: al massimo possiamo fare una federazione tra soggetti diversi?

No, abbiamo di fronte a noi un compito più grande: la ricostruzione del campo della sinistra. Come? Non possiamo fare una disputa metodologica infinita. Costituente, federazione, sono parole allusive. Dire che l’esito finale sarà necessariamente un nuovo partito è far prevalere la noia sulla gioia della creazione. Non è questa l’unica dinamica possibile. Io non so indicare adesso il plastico del nuovo soggetto unitario e plurale. So che ho passato trent’anni nel Pci a criticare la forma partito. E poi noi un partito ce l’abbiamo, Rifondazione. Ma la sua forza è sempre stata quella di mettersi in gioco sul terreno dell’innovazione politica e culturale.


E allora perché in campagna elettorale Bertinotti ha detto che bisognava andare oltre, superare e dunque sciogliere il Prc?

Come il voto ha impietosamente rivelato, Rifondazione e le altre forze politiche della sinistra stavano scivolando verso l’inconsistenza. Credo che Bertinotti volesse alludere al fatto che c’è bisogno di accelerare i processi di innovazione. Il problema della sinistra è molto più vasto del problema del Prc e il Prc non può essere come un cactus che fiorisce nel deserto. Siamo una minoranza ma non abbiamo nessuna possibilità di rinascere se siamo minoritari.


Intanto però l’Arcobaleno si è dileguato e ogni pezzo va per conto suo.

Francamente è più importante quello che si rimette in campo nella società che le relazioni con gli stati maggiori degli altri pezzi della sinistra. E’ più importante tornare a conoscere la società. E’ vero che non abbiamo più frequentato i territori, ma non è sufficiente dire torniamo nei territori perché la nozione di territorio è mutata. La crisi della sinistra è anche una difficoltà a reinventarsi come comunità. La forza della Lega è nel fatto che si propone come doppia comunità, comunità politica e comunità territoriale, come una specie di doppia panciera che aderisce elasticamente al basso ventre del nord che è fatto di pulsioni securitarie, di rivolta fiscale, ma anche di una voglia di trovare forme di identità dentro a una globalizzazione che spiazza tutti. In una condizione di atomizzazione lì c’è un agire politico che ricostruisce un collante. Naturalmente lì dentro c’è di tutto, è un supermarket ideologico. Ma dentro il territorio mobile delle comunità all’epoca della globalizzazione la Lega riesce a dare questa forma di identità. Noi no.


Quando si allude a una pratica di territorio inclusivo, viene fatto l’esempio pugliese. Ma il risultato elettorale dice che il problema ce l’hai anche tu.

Sì, ma la valenza ideologica del voto è stata assolutamente travolgente. Non c’era aggancio territoriale che potesse creare argine rispetto a questo maremoto. Io mi sono trovato a vivere esperienze stupefacenti, ho conosciuto la gratitudine per la risoluzione di problemi drammatici di vita di pezzi di comunità. E poi ho visto che nelle urne questa gratitudine non si è tradotta in un voto. Perché stavamo parlando di un’altra cosa, della crisi dell’Italia, rispetto a cui Berlusconi e le destre propongono un racconto credibile, cioè offrono un intero repertorio di capri espiatori per ogni paura generata dalla crisi. In questa società delle mille insicurezze loro sono in grado di regalarti un nemico, l’immagine di uno che è responsabile della tua insicurezza. Nel suo complesso il centrosinistra è stato assolutamente subalterno, contro la fabbrica delle paure non ha proposto una fabbrica delle convivialità o delle speranze. E noi abbiamo fatto discorsi che sono apparsi elucubrazioni ideologiche, anche con qualche grado di contraddittorietà. Riconosco a Paolo Ferrero un sicuro genio tattico, però credo francamente che avremmo potuto discutere differentemente sul decreto sicurezza, e lo dico io che ho subito coperto la scelta di Paolo di votare a favore del decreto in Consiglio dei ministri. Ma il problema non è Ferrero o Vendola. Voglio capire se siamo in grado di interloquire con una grande platea di soggetti variegati, frammentati e spaventati.


Sarà possibile riallacciare col Pd?

Noi e il Pd siamo a una divaricazione strategica che è sotto gli occhi di tutti. Però la politica non è andare dal notaio a registrare atti formali, è confrontarsi con i corpi vivi bombardati dalle cose che accadono nella società. Entriamo in una fase di grandissima turbolenza planetaria, credo quindi che nostro compito non sia quello di lanciare offensive del bon ton o del dialogo, ma quello di lavorare per aprire contraddizioni anche dentro al Pd. E’ un vantaggio se si aprono negli altri fronti varchi che consentano a noi di non lavorare in condizione di totale solitudine. Naturalmente è molto importante il nostro ruolo. Non dobbiamo presentarci con il profilo livido e rancoroso di chi, poiché è stato battuto, crede che il problema fondamentale sia semplificare al massimo e aumentare i decibel della sloganistica. Il problema non è urlare di più ma capire di più. Troppe cose non le conosciamo, le evochiamo facendo riferimento a una generica sociologia catastrofista, ma non conosciamo gli interstizi del precariato, conosciamo pochissimo del nuovo universo dei lavori. Dobbiamo fare un grande bagno di umiltà. Tornare alla base dovrebbe voler dire tornare alla realtà. Possiamo fare anche un partito democraticissimo tutto chiuso nel proprio bozzolo, ma la democrazia che dobbiamo promuovere è quella che ci trasforma in ricettori di ciò che è fuori.


A cosa porterà la spaccatura nel gruppo dirigente del Prc? Ed è accettabile la proposta del congresso a tesi e non per mozioni contrapposte avanzata da Ferrero e Grassi?

E’ necessario superare qualunque pratica di corto respiro del processo congressuale, atteggiamenti asfittici, maggioranze frutto della furbizia che nascono contro e non per determinare una strategia. Il congresso a tesi mi pare assolutamente interno a questa lunga catena di furbizie. Vorrei dire a tanti autorevoli pensatori del comunismo: come si fa a immaginare che da una parte c’è la cultura politica e dall’altra la linea politica? Posso decidere che sulla cultura politica sto con Ferrero e sulla linea con Grassi, ma lo potrei fare dentro a una dinamica politicistica. Non è di questo che il partito ha bisogno. Non abbiamo bisogno di guerre guerreggiate, di troppi livelli di verità per cui oggi diamo in pasto alla platea del Prc il boccone di un immaginario nemico fatto di pezzi di gruppo dirigente che stavano per sciogliere il partito. Quella che si è formata al Cpn è un union sacrée di tutti - anche di quelli che hanno duramente osteggiato il tema della nonviolenza - contro un nemico immaginario. Un congresso così non produce il rilancio di Rifondazione, produce un partito di acchiappafantasmi.


Meglio dunque un confronto in profondità, anche col rischio di lacerazioni?Innanzitutto dobbiamo prenderci cura della comunità che è il Prc, senza consentire che in questo dolore collettivo qualcuno sia oggetto di lapidazione e qualcun altro si senta come un mujaheddin del popolo. Per questo è necessario andare al congresso quanto prima, a luglio. Perché quanto prima l’insieme dei gruppi dirigenti entra in un confronto aperto con la base del partito, quanto prima si bruciano nel fuoco della democrazia scorie, veleni, pigrizie, tanto più possiamo andare a fare questa doppia operazione: curare questa comunità ferita e aprire il cantiere o i cantieri della sinistra. Non sono due operazioni contraddittorie, sono complementari. Se siamo d’accordo su queste operazioni, piuttosto che litigare sui nomi delle operazioni possiamo trovare un accordo sulla cosa. Che è ripartire da noi, con grande cura di sé, ripartire facendo il contrario di un ripiegamento minoritario, intimistico.


Ti candidi alla segreteria del Prc?

Adesso questa discussione può essere tristemente divertente o ironicamente triste. Noi dobbiamo innanzitutto metterci d’accordo per salvare Rifondazione comunista, produrre processi politici che operano mutilazioni significa uccidere Rifondazione. E io credo che i gruppi dirigenti, a cominciare da me, debbano avere una responsabilità in più anche nell’uso delle parole e nell’indicazione dei percorsi. La ricerca dei colpevoli, anzi, dei traditori, è uno dei pezzi più lividi del repertorio staliniano che talvolta ci siamo portati dentro. Se dovessi pensare che sia possibile ripartire da lì direi che non c’è viaggio possibile, siamo già morti, semplicemente dobbiamo aspettare che qualcuno ce lo dica.


Ti senti chiamato in causa quando vengono criticati il plebiscitarismo, il meccanismo delle primarie, l’indicazione preventiva del segretario?

Vorrei ricordare che io ho espresso forti critiche al leaderismo. Ma non si può essere leaderisti quando il leader va bene e criticare il leaderismo all’indomani di una sconfitta.

venerdì 25 aprile 2008

Cosenza: Caruso e Sud ribelle, tutti assolti.

Trovare parole appropriate per commentare l’intera vicenda, non è cosa facile. Perché sono tanti gli aspetti farseschi e tali le assurdità delle accuse, che rischieremmo sicuramente di dimenticare qualcuna delle illuminanti considerazioni formulate dal PM Fiordalisi.Chi in questi anni si è trovato a dover costruire solidarietà rispetto alla vicenda, ha dovuto soprattutto difendersi da quella parte di città che, parliamoci chiaro, ci avrebbe voluto vedere in galera. Probabilmente, parte degli stessi che hanno contribuito a montare questo teorema. Ebbene, possiamo finalmente dire che costoro rimangono in un angolo a rosicare. L’assoluzione di oggi è una pesante sconfitta per gli organi inquirenti che hanno confezionato questa inchiesta. Gli stessi che hanno sperperato oltre tre milioni di euro, sbandierando all’intero paese, una formidabile operazione antiterrorismo, curata nei minimi dettagli e pronta a smantellare la pericolosa nascente cellula sovversiva. Tutto questo, mentre in città si consumavano ben altri misfatti. Ma ora, sentenza in mano, abbiamo il diritto di sapere: perché questa inchiesta, sebbene scartata da svariate procure, è stata accettata proprio a Cosenza? Quali oscure trame hanno tessuto questo canovaccio? Quali loschi interessi da coprire? Ma soprattutto, abbiamo ragione di pretendere le dimissioni dei vertici inquirenti che hanno guidato questa inchiesta? Che questo “castello” non stava in piedi, la città lo aveva capito da subito e lo aveva ampiamente affermato con calorosa partecipazione alle diverse mobilitazioni costruite nel corso di questi lunghi sette anni, assolvendo di fatto tutti gli imputati e bocciando l’operato della Fiordalisi&Co. Agli interrogativi sulle reali motivazioni che hanno portato all’apertura di questa inchiesta, ognuno si sarà dato delle risposte, rimane sicuramente il tentativo di criminalizzare un intero movimento con accuse infondate e infamanti, volte a coprire le vere vergogne di Genova: la morte di Carlo Giuliani, i pestaggi e le torture delle forze dell’ordine comandate dai vertici militari e politici. E ancora, di deviare l’attenzione generale dai veri allarmi sociali di cui questa città soffre.Questa assoluzione giunge a riprova del fatto che la storia di chi rifiuta le logiche neoliberiste e produce conflitto sociale non può essere scritta dentro un’aula di tribunale. E se ce ne fosse ancora bisogno, ribadisce che la libertà di espressione e di opinione devono essere garantite in nome di quelle libertà conquistate il 25 aprile del 1945 e che ancora dobbiamo difendere.



Coordinamento Liberitutti

25 aprile, festa a Bagnoli.

Bagnoli, ore 20, film in piazza: "Scemo di guerra" di Ascanio Celestini @ seguire concerto con gruppi musicali di base.

Napoli, concerto della Liberazione.

Napoli. Ore 20, Piazza del Gesù. JOVINE e CO'SANG, concerto della Liberazione... Per essere LIBERI da ogni dittatura.

www.arcinapoli.it

25 aprile.


Ricordo il 25 aprile a Milano nel ’94. Erano i giorni del primo governo Berlusconi, sconfitta la “gioiosa macchina da guerra”dei Progressisti guidati da Achille Occhetto, per la prima volta i post – fascisti di An e l’incognita della Lega erano al governo. Ricordo il lungo viaggio in treno, l’appuntamento con Roberta in testa al primo binario a Milano centrale, la pioggia addosso per tutto il corteo, la giacca fradicia e l’acqua negli anfibi, lo striscione de il manifesto, il freddo addosso e la cotoletta alla milanese mangiata a casa di Pier prima di ripartire verso casa in un viaggio durato quattordici anni e finito lo scorso 14 aprile. Un viaggio che per intero ha attraversato, finendo a destra, la lunga transizione allora cominciata.
Temo l'impianto valoriale su cui il centrodestra è plasmato e mi spaventa che il voto abbia, con nitidezza, fotografato quel portato come socialmente e culturalmente dominante e, quindi, capace di attraversare anche una parte non irrilevante dell'attuale opposizione parlamentare.
Vivo questo 25 aprile 2008 con la consapevolezza che la sinistra, quella che resta, ma soprattutto quella che sarà, dovrà costruirsi e, da subito, misurarsi in una durissima battaglia in difesa dei valori della Resistenza e della Costituzione Italiana che, ormai, dopo sessant’anni, appare davvero minacciata ed in via d’archiviazione.Buon 25 aprile, quindi, all’Italia pacificata di Spello che, anche ieri l’altro, ha visto tre morti e quattro feriti sul lavoro. Buon 25 aprile ad Emma Marcegaglia che senza più la sinistra politica in parlamento può chiedere ed ottenere la riduzione le sanzioni alle imprese approvate nel Testo sulla sicurezza. Buon 25 aprile a chi crede che l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro e buon 25 aprile, soprattutto, a chi sa che non è vero.
Generoso Bruno

giovedì 24 aprile 2008

Irpinia sotto attacco.

Riceviamo e pubblichiamo.
Le bellezze della nostra provincia sono minacciate da più fronti da cause naturali e dall'incuria o indifferenza dei nostri governatori. Oltre alla cementificazione selvaggia a cui le nostre montagne sono state sottoposte nel corso degli ultimi anni che è stata causa di numerose frane, basti vedere quanto accaduto ad Aterrana di Montoro Sup. o a Solofra nei mesi invernali, si aggiungono i provvedimenti di stampo dittatoriale del commissario De Gennaro che ha deciso di fare della nostra provincia l'immondezzaio della Campania.
Il paesaggio e le risorse dell'Altairpinia corrono il rischio di essere deturpate per sempre a causa di decisioni che piovono dall'alto come macigni schiacciando le popolazioni e gli amministratori costretti, insieme, a scendere in piazza. Sembra che contro questi dictat i soliti mezzi della democrazia degli uffici non sia più sufficiente se il commissario non tiene più conto nemmeno degli amministratori prima di prendere una decisione, così mentre la strade davanti casa Iervolino o Bassolino continuano ad essere sgombere da rifiuti noi irpini ci vediamo recapitare ogni genere d'immondizia napoletana. Noi diciamo "No alla megadiscarica regionale", un piano rifiuti era stato fatto ed anche approvato per poi vederci arrivare questo regalo maleodorante dall'intera regione; un plauso va fatto a tutti gli uomini e le donne della politica che scendono in piazza accanto ai cittadini per difendere la loro terra da questa oltraggiosa offesa.
Se l'Altairpinia è minacciata dall'immondizia, le montagne della bassa Irpinia sono minacciate da un insetto chiamato Cinipide. Un insetto che comincia a svilupparsi tra i castagneti della zona che va da Serino a Montoro, ma che può minacciare anche il resto della provincia circostante, e che rischia di portare alla morte decine di ettari di montagna se non fermato in tempo. Dai tecnici viene l'accusa all'omertà che ha fatto sì che la minaccia da parte di questo insetto fosse celata fino a questo momento e rendesse tardivo qualsiasi intervento. Che sia stato a celare la cosa cade in secondo piano se teniamo in considerazione il fatto che i proprietari di castagneti della zona dovranno provvedere, per quanto possibile, a verificare la presenza del Cinipide, qualora essa fosse riscontrata l'unica soluzione applicabile sarà la potatura totale delle piante. Questo significa non la potatura di un'unica pianta ma di più ettari intorno al focolaio pertanto risulta facile immaginare il danno economico che questo può provocare a seconda della vastità del danno, non solo per i proprietari in questione, ma per le industrie che lavorano le castagne e che impiegano tanti cittadini della zona nei mesi autunnali. E come se non bastasse oltre al danno c'è anche la beffa, perché ai proprietari non tocca alcun rimborso, ogni spesa sia essa per la potatura o per lo smaltimento sarà a totale carico del proprietario del castagneto, inoltre, per poter avere qualsiasi tipo di autorizzazione è previsto il passaggio attraverso numerosi enti che gestiscono la cosa. La regione non ha previsto nessun indennizzo qualora si dovesse presentare un'emergenza simile, l'unico sforzo fatto è quello di indire un tavolo di concertazione tra i diversi enti al fine di facilitare i procedimenti burocratici. Poca cosa se si considerano le difficoltà da affrontare per porre rimedio a quello che può essere un triste scenario per il nostro comprensorio.
Sembra quasi che da più parti si sia deciso di condannare questa provincia immersa nel verde a perdere colore nel più breve tempo possibile, sono bastate solo due settimane perché il vaticinio del nostro circolo si avverasse: finita la campagna elettorale tutti si sono già dimenticati della provincia di Avellino, i voti li hanno presi tutti, noi molto meno degli altri e per questo non possiamo fare altro che protestare, ma i signori del Pdl, Pd e Udc che sono al governo sembrano poco interessati ai nostri problemi e presi i voti ci lasciano ai nostri guai per decidere le loro nuove linee politiche.


Amalia Hilda Tobar Barrionuevo

mercoledì 23 aprile 2008

42.000 Eco – balle a Pianodardine per il primo miracolo del re taumaturgo

“Abbiamo trascorso una notte intera a presidiare gli ingressi del CDR di Avellino, le 42.000 eco-balle di talquale scortate dalla celere, per il momento, non sono ancora arrivate. Meglio così. Conosciamo bene, Genova 2001, l’attitudine allo zelo di De Gennaro quando a comandare è Silvio Berlusconi. E, non sia mai che per il primo Consiglio dei Ministri promesso a Napoli per “risolvere la questione dei rifiuti” dovesse esserci un po’ di “munnezza” in giro; si potrebbe finire, già da subito, con il mettere in discussione le doti da “re taumaturgo” del cavaliere di Arcore. De Gennaro, quindi, incurante dei patti con le istituzioni locali e dei pareri dell’ARPAC, sceglie Pianodardine. Un sito che insiste su un’area che già vive una condizione di inquinamento diffuso in concentrazioni superiori ai limiti di legge sia nel suolo (presenza di PCB, rame, piombo, vanadio, tallio e berilio), sia nelle acque superficiali, specie quelle del fiume Sabato (ammoniaca totale, fosforo totale e tensioattivi anionici) che in quelle sotterranee (ferro, manganese e solfati). Per non dire delle polveri sottili e dell’ozono presenti già adesso, ben oltre i limiti accettabili, nell’aria. A Pianodardine, inoltre, non esiste un’impermeabilizzazione del sito di stoccaggio che, oltre ad essere nei pressi del fiume Sabato, insiste al di sopra di una falda superficiale. Pur riconoscendo il ruolo prezioso svolto dai comuni della media valle del Sabato e dalla Presidente De Simone auspico, però, il coinvolgimento nelle scelte future per quell’area dei comitati di lotta dei cittadini che da mesi, dati alla mano, segnalano il rischio di esporre la zona ad ulteriori pericoli. C’è un dato che penalizza le attuali condizioni di lotta: l’inconsistenza della raccolta differenziata nella città capoluogo. L’affermazione di un modello irpino in materia di rifiuti passa, necessariamente, da quei numeri”.

Generoso Bruno

martedì 22 aprile 2008

A sinistra con chi vorrà esserci.

Voto operaio: al nord la lega, al sud il filtro del sistema di potere.

Di quello che sta accadendo dentro Rifondazione, della conta interna al CPN, dell’iconolatria e dell’iconoclastia della falce e martello che saranno usate per semplificare lo schema del congresso di luglio poco m’interessa. Ciò che temo e ciò che m’interessa, quindi, sono i prossimi più che probabili cinque anni di governo Berlusconi. Temo l'impianto valoriale su cui il centrodestra è plasmato ed ancor di più mi spaventa la fotografia del paese venuta fuori con questo voto. Percepisco quel portato valoriale come socialmente e culturalmente dominante e, quindi, in grado di permeare, ma forse è già successo, una parte non irrilevante dell'attuale opposizione parlamentare. So, solamente, che chi è solo lo sarà di più, chi ha poca voce ne avrà ancora meno. So che finanche i nostri corpi, immagino, avranno meno valore in un paese in cui ogni giorno qualcuno crepa sul posto di lavoro, mentre un altro ragazzo, dalle nostre terre, deciderà di partire verso un ipotetico altrove dal profumo di futuro. Avranno meno valore i corpi delle donne la cui ultima parola potrà valere sempre meno perché a vincere, volendo usare le parole di Pasolini, è stato il paese sporco su quello pulito, il paese disonesto su quello onesto, il paese idiota su quello intelligente, il paese ignorante su quello colto, il paese consumistico su quello umanistico. Ma forse, da tempo, non siamo più ciò che crediamo di essere: non così colti, non così intelligenti, non così puliti e forse neppure così onesti, almeno, viste le reazioni alla sconfitta, verso noi stessi. La sinistra ha perso, molti lo stanno dicendo, ma, temo che saranno molti di più coloro che, in un futuro non molto lontano, s’accorgeranno, assieme ad essa, d’essere stati sconfitti. Quelli trascorsi al governo sono stati due anni non esaltanti. Un lungo primo tempo di un film sui sacrifici e sul risanamento dal biglietto troppo caro già visto troppe volte specialmente dal lavoro dipendente. C’eravamo proposti di agire quei punti del programma de l’Unione - lotta alla precarietà, lavoro, nuovi diritti, la pace e le nuove guerre – insieme con i movimenti e con quei pezzi di società che con la sinistra, negli anni del precedente governo Berlusconi, s’erano interrogate. Centoquaranta, tra deputati e senatori, non sono bastati, in questi quasi due anni, a far da argine alle ingerenze di Confindustria e della CEI nell’agenda politica del governo Prodi. Oggi, è stata la sinistra a pagare la distanza mediatica che Veltroni ha voluto guadagnare in campagna elettorale dal precedente governo ed è, ancora, la sinistra che paga il prezzo della torsione verso il bipartitismo che sempre Veltroni impone alla politica italiana agendo sulle viscere di un popolo, quello della sinistra, che oltre a percepire la politica in maniera bipolare è, diversamente dal leader del Pd, fortemente antiberlusconiano. Gioco facile, poi, il richiamo al voto utile. Per la sinistra è stata dura, durissima, fatale, la stretta della tenaglia “unità – radicalità” che da prima del ’98 si porta appresso. Cioè, contemporaneamente, i nostri stessi interlocutori ci chiedevano di essere unitari prima tra le forze della sinistra, con l’arcobaleno, tra mille limiti, l’abbiamo fatto, e, poi, del centrosinistra, Veltroni non ha voluto, ma anche, ecco che tornano le nuove congiunzioni dell’impossibile, “radicali” nelle politiche da determinare per i ceti ed i gruppi sociali di riferimento.
Oggi la sinistra politica non è in parlamento. L’Italia pacificata descritta da Veltroni a Spello non esiste. Tolta di mezzo la sinistra, Montezemolo chiede, adesso, la testa dei sindacati. Lo fa, proprio, agendo quel “patto tra produttori” che Veltroni con le candidature di Boccuzzi, l’operaio, e di Calearo, il capo di Federmeccanica, aveva rappresentato nelle liste del Pd. E’ dal ’97 che sappiamo che il voto degli operai della Fiom di Brescia, sempre con maggiore insistenza, guarda alla Lega. Purtroppo, non scopriamo una novità. Come non è una novità, quando in Irpinia, dove la Fiom è spesso minoranza, pur non essendoci crisi o vertenza di fabbrica che non abbia visto la presenza di Rifondazione al fianco dei lavoratori, scopriamo di non essere sostenuti in maniera soddisfacente da quel voto perché, troppo spesso, l’accesso al lavoro è mediato dalla politica o filtrato dai sindacati, quelli maggioritari nelle RSU o comunque filo-padronali, col risultato che una fetta ampia di quelle lavoratrici e di quei lavoratori risponde, sul voto, a tutt’un’altra chiamata. Eppur bisognerà esserci. Bisognerà costruire la sinistra proprio a partire da un contatto nuovo con le vertenze sociali dei territori. Si dovrà ricominciare, da chi vorrà esserci, da chi potrà esserci, ed il nostro cammino, ancora una volta, sarà quello più lungo. La sinistra, come un Cristo della post-modernità, avrà bisogno di stimmate e di nuove ferite sul costato a testimoniare la condivisione delle sofferenze e delle speranze di un popolo che per riconoscersi vorrà toccare quelle piaghe e quelle carni che, solo allora, percepirà come autentiche. Ricominciamo dal basso, da quei luoghi che durante i giorni di questa campagna elettorale, comunque, abbiamo provato ad attraversare. E’ lì che bisognerà essere perché è da quei posti che arriveranno le vecchie e le nuove domande. E, solo se ci saremo, potremo offrire, nuovamente, la nostra risposta.

Generoso Bruno

lunedì 21 aprile 2008

Sabato 28 Giugno 2008: il Pride torna a Bologna.


Il 28 giugno 2008 dopo 13 anni il Pride Nazionale torna a Bologna, storica città del movimento Lesbico Gay Bisessuale e Transessuale italiano. Punto di riferimento della comunità LGBT italiana e più in generale dei movimenti di critica e riformismo sociale, Bologna ha perso il primato di avamposto di “tolleranza” che per anni le è stato riconosciuto. La crisi del “dorato” modello bolognese è chiara e forte, e sconfina ben oltre le porte cittadine, per divenire manifestazione particolare della storica arretratezza politica dell’Italia in tema di diritti civili e di libertà. Ma Bologna è la sede di numerosi gruppi e associazioni che lavorano sul territorio e non solo. Organizzate in molteplici e diverse reti nazionali, costruiscono e lavorano al cambiamento di questo paese. Lesbiche, gay e trans che agiscono all’interno del più grande soggetto, il movimento LGBT italiano. Un soggetto che insieme a quello delle donne è protagonista di una efficace azione di critica e denuncia sociale e culturale, all’interno del percorso di conquista di uguali diritti di cittadinanza, di uguale libertà di essere per tutte e tutti i cittadini di questo paese. E i destinatari del nostro agire dovranno essere, oltre ai governi e alle istituzioni e in esse i partiti, sempre di più soprattutto le donne e gli uomini che camminano per strada, quelli con cui condividiamo spazi e tempi e coi quali possiamo veramente percorrere con approccio laico le vie dello scambio, dell’interazione, della convivenza, del cambiamento.

Comitato PRIDE Bologna '08

domenica 20 aprile 2008

ASSEMBLEA DELLA SINISTRA: IL DOCUMENTO PROGRAMMATICO, APPUNTAMENTO A FIRENZE.

A fine assemblea viene letto il documento programmatico nato da questa giornata di incontro e dibattito delle diverse anime della sinistra. Primo appuntamento entro luglio a Firenze. "Il processo per la sinistra unita e plurale deve iniziare da subito, a partire dalle esperienze sui territori, sperimentando nuove forme di democrazia. Occorre ripartire dalle donne e degli uomini impegnati nella campagna elettorale. C'è bisogno di fare incontri, aprire laboratori di analisi, gruppi di lavoro che organizzino regole e forme del nuovo soggetto. Da domani ripartiamo dai conflitti e dai contenuti. Ci prepariamo ad un appuntamento nazionale a Firenze, una due giorni a luglio del laboratorio "pensare a sinistra".

Assemblea della Sinistra: Vendola e Ferrero, ripartire dal basso.

Da Rifondazione un mea culpa di Paolo Ferrero e Nichi Vendola "Siamo tutti responsabili della sconfitta. Bisogna ripartire dal basso, dalla gente, dai lavoratori. E non dividersi".

La sinistra "riparte da tutti gli uomini e le donne che, anche idealmente, sono qui a Firenze e con cui abbiamo fatto questa lunga campagna elettorale. Penso che sia assolutamente necessario ripartire dalla discussione collettiva che credo vada allargata nei prossimi giorni: riaprire una discussione politica larga e non sequestrarla negli apparati ristretti". Lo ha detto il ministro Paolo Ferrero rispondendo, a margine dell' assemblea della sinistra unita e plurale cominciata stamani a Firenze, a chi gli chiedeva come la sinistra "potesse ripartire". Paolo Ferrero non è candidato a segretario di Rifondazione comunista e non presenterà questa proposta nelle prossime ore. Lo ha detto lo stesso Ferrero parlando all' assemblea della sinistra unita a Firenze. "Il partito - ha detto - deve fare una discussione e decidere chi deve dirigerlo. Sono il primo responsabile di questa sconfitta e non cerco capri espiatori. Non se ne può più di campagne di stampa in questo senso". E' necessario "sorvegliare le parole delle prossime ore" essere "cauti" avere "amore e attenzione per questa comunità e consentirle di rialzarsi in piedi". Lo ha detto Niki Vendola, governatore della Puglia, durante il suo intervento all' assemblea della Sinistra unita e plurale in corso a Firenze. "Bisogna ripartire da qui - ha detto - dall' analisi della sconfitta. E ci sono due modi: uno che è nella tradizione della peggiore storia sinistra ovvero la ricerca di capri espiatori e colpevoli". A questo, Vendola non vuole "partecipare". "Anzi- spiega - mi iscrivo alla lista dei colpevoli perché credo che qualunque dirigente a qualsiasi livello si debba sentire colpevole". "Io - ha proseguito - vorrei partecipare alla discussione sulle cause, bisogna sorvegliare le parole nelle prossime ore, essere cauti, avere cura e amore per questa comunità per consentirle di rialzarsi in piedi".

ASSEMBLEA DELLA SINISTRA: GINSBORG, C'E' SPAZIO A SINISTRA DEL PD.


Non sono pessimista, possiamo farcerla ma dobbiamo subito risolvere i problemi di chi ci rappresenta". Lo ha detto Paul Ginsborg intellettuale e anima del movimento della Sinistra unita e plurale.


"Dobbiamo rispondere a questa domanda: chi rappresenta ora la sinistra? Penso che ci sia un grande spazio a sinistra del Pd e se siamo umili e intelligenti possiamo, con tenacia, riempirlo. Non sono pessimista, possiamo farcerla ma dobbiamo subito risolvere i problemi di chi ci rappresenta". Lo ha detto Paul Ginsborg intellettuale e anima del movimento della Sinistra unita e plurale intervenendo all' assemblea a Firenze. "Non posso stare - ha aggiunto - in un'aggregazione politica in cui la democrazia non c'é. Dico a quegli esponenti di Rifondazione che oggi saranno al comitato nazionale che io non voglio che i nostri destini siano decisi da loro, non è possibile". Quindi, smettete di "litigare e di radicalizzare le posizioni che vi dividono. Abbiamo bisogno di Rita Borsellino, di Paolo Ferrero, di Fulvia Bandoli, di Niki Vendola e tutti insieme non vogliamo sentire che vi siete divisi". "Oggi - ha proseguito Ginsborg - ho visto negli occhi dei dirigenti di Rifondazione il veleno della parte, del risentimento, della radicalizzazione. Bisogna in qualche modo, pur sapendo che veniamo da tante tradizioni, saper lavorare insieme. Nessuno dalla società civile vi direbbe mai: dovete sciogliervi. Dovete decidere voi, ma dovete aprire subito uno spazio di decisione nostra tutta e non possiamo aspettare". Non riflettere sulla "grande botta" che ha preso la Sinistra Arcobaleno "sarebbe stupidissimo". Lo ha detto l'intellettuale Paul Ginsborg parlando all'assemblea della Sinistra unita e plurale. Dopo aver espresso un'"opinione positiva" sull' assemblea di oggi, Ginsborg ha sottolineato la "grande voglia di non entrare solo nel discorso retorico e nel lutto collettivo, ma cercare vie d'uscita, ripartire, e anche se ci sono stati tanti errori, fra cui qualcuno che noi da Firenze abbiamo cercato di segnalare ai vertici dei partiti". Per Ginsborg "non tutto è perduto. All'interno di un contesto generale drammatico, direi che questa assemblea è dignitosa: la gente sta pensando e sta proponendo, non si può chiedere di più in questo momento". "Sono convintissimo - ha detto poi Ginsborg - che fra le cose che non sono andate bene, una ha distrutto l'entusiasmo e la passione negli elettori: la decisione di scegliere tutti i candidati dall'alto. Lo ha fatto anche il Pd, ma noi dovevamo dimostrare la nostra diversità".

sabato 19 aprile 2008

«Responsabilità e umiltà per ricominciare e fare una sinistra di popolo»




INTERVISTA A NICHI VENDOLA

di Anubi D'Avossa Lussurgiu - Liberazione

Nichi Vendola, pare proprio che tocchi ricominciare a parlare di frantumazione politica per cominciare a parlare della sconfitta della sinistra. Nel senso che dopo la frana di consensi e l'uscita storica dal Parlamento imposta dagli elettori, i primi atti soggettivi dei partiti che avevano accettato - almeno elettoralmente - il nome unitario dell'Arcobaleno sono ora gesti di divisione. Tra di loro e al loro interno. A noi tocca, credo, parlare di Rifondazione comunista...Il peggio che può accadere è che si ricominci dalla politica in forma di resa dei conti, di ricerca del capro espiatorio. Sarebbe una dinamica di continuità con la catastrofe. Perché un gruppo dirigente serio nella sua collegialità deve mettersi in discussione e deve dirigere una rapida transizione verso una fase di rilancio e riorganizzione del progetto politico. Per una questione, direi, di igiene: e di moralità comunista. Se invece si cerca l'abbrivio di una discussione urlata, di una rapida giustizia sommaria, credo che il danno sarà irreparabile.

Vediamo se ho capito: il confronto sulle responsabilità del disastro non può dislocarsi all'interno dei gruppi dirigenti, ma deve partire da una messa in questione collettiva e generale. Se è questo che proponi, come si deve tradurre concretamente? Che forme deve assumere l'ovvia restituzione di parola alla "base"?Naturalmente, il partito è una cosa più larga di quanto non siano le istanze organizzate dei gruppi e dei sottogruppi: quindi penso che chiunque voglia difendere il patrimonio che con tanti sacrifici tutti insieme abbiamo accumulato, deve mettere al primo posto un'idea forte di solidarietà all'interno di questa comunità politica che è Rifondazione comunista. Per potere, ancora tutti insieme, guardare con spietatezza le ragioni non congiunturali di una sconfitta tanto radicale. La sconfitta può essere anche vissuta come la ritirata in una casa più piccola, forse anche più comoda per chi ha soltanto il problema di ritagliare uno spazio di sopravvivenza ad un frammento di ceto politico. Ma o il nostro progetto resta quello di una grande innovazione politico culturale, che ambisca a ricostruire il profilo di una sinistra di popolo, oppure la nostra gente abbandonerà il campo e si ritirerà a vita privata.

Fermiamoci allora sulla "catastrofe": sarà un problema mio, ma non capisco come la discussione possa aprirsi senza il punto di partenza di un'analisi del voto. Voglio dire senza confrontarsi su dove sono andati a finire i voti persi, per riscostruirne le ragioni e ascoltarne i messaggi. Ci proviamo?Intanto il punto d'inizio: la nostra perdita ha dimensioni catastrofiche, perché si tratta di oltre due milioni e mezzo di voti. Che sono usciti in forma più consistente verso il partito democratico, ma non solo: verso il suo alleato, l'Italia dei Valori; e, mi pare evidente, anche verso la destra e al Nord verso la Lega; così come verso l'astensione...

Che sono - il non voto, la Lega e l'Idv - i soli serbatoi aumentati in valori assoluti in queste elezioni. Avrà pure un significato...Secondo me, per quel che ci riguarda, si rende evidente un mix di ingredienti che caratterizza la nostra sconfitta. Noi e quasi esclusivamente noi abbiamo pagato, naturalmente, tutti gli scontenti rispetto al governo Prodi: sia dal lato delle critiche e delle delusioni, delle "sofferenze" sociali, sia da quello simmetrico d'una punizione dei fattori "perturbativi" della governabilità. E inoltre non siamo stati percepiti come un'alternativa etica, laddove su questo tereno si è colocata la percezione della crisi della politica: e qui ha capitalizzato Di Pietro, a mio parere attraverso un "mediatore culturale" che è il grillismo.

Come, allora, è stata percepita la sinistra per essere così "punita"?Siamo stati fino in fondo percepiti come una icona dell'inefficacia dell'agire politico. Di più, veniamo per così dire "asfaltati" da quest'idea duplice con cui si è depositata nei corpi sociali: che da un lato intende l'efficacia come blindatura della governabilità e dall'altra assume come misura i risvolti concreti immediati, nella vita materiale d'ognuna e d'ognuno, dell'azione politica.

Dunque, la percezione fondamentale era quella d'una inefficacia.Già: ma l'inefficacia è stata in qualche maniera drammatizzata da ciò che apparso come un'improvvisazione elettoralistica. Intendo l'immagine di cartello elettorale. Non ha indicato una chiara prospettiva futura; e nemmeno un superamento in una nuova fucina non tanto delle culture politiche dei partiti coinvolti quanto del corollario di beghe di piccoli palazzi, di politicismi. E' apparso un debole "manifesto" per indicare un luogo che era confuso: noi, voglio dire, chiedevamo di votare al massimo un'allusione. E così siamo stati percepiti davvero come un residuo, come un cimelio.

La sorte "museale" che avvertivi come rischio della sinistra politica in questa temperie storica, già in quella nostra intervista prima dell'estate scorsa, a Bari...E' fastidioso rivendicarlo, ma è così, avevo provato a dirlo. Ora invece dico: se qualcuno crede che questo problema possa essere affrontato e risolto sul terreno delle questioni identitarie, io credo che sarà rapidamente smentito dalla realtà dei fatti. Il punto di fondo di quest'insuccesso totale credo infatti sia nel totale scoordinamento dei nostri tempi rispetto a quelli della realtà. Che, invece, ci chiedeva un vero e proprio "salto" organizzativo e culturale...

Un momento: questa "domanda della realtà", che pure è stata evocata nella campagna elettorale della sinistra senza appunto riuscire ad andare oltre un'allusione, non viene da un po' prima? Non era già più che matura, intendo, da ben prima della stessa scommessa della partecipazione al governo?Se posso dire così, il momento "topico" era quello in cui eravamo politicamente perdenti e culturalmente vincenti: il 2001, a Genova. Allora, forse, dovevamo intendere che il filtro e la rappresentazione politica di quelle istanze di cambiamento erano maturi per poter essere sottoposti ad un'operazione coraggiosissima quanto necessaria di innovazione. Intervendo proprio sul tema del soggetto politico.

Ecco: e non è che questa "occasione mancata" precede come problema e anche determina, per così dire, quello della fallita scommessa sul governo?Quel che non si puo non vedere è che nell'esperienza di governo la sopravvivenza di "quello che c'era" ha portato noi ad essere i parafulmini di qualunque tempesta. Perché da un lato rispetto all'insieme delle istanze di movimento, anche se condividevi percorsi e battaglie, perdevamo credibilità malgrado la pretesa d'efficacia, riferita proprio alla presenza nel governo. D'altro canto, nonostante l'inefficacia del nostro posizionamento critico all'interno del governo - perché su Val di Susa e Dal Molin, per dirne due, non portavamo a casa niente - il fatto che eravamo collocati nella piazza e nel movimento diventava oggetto dei fulmini di tutt'un'area, anche democratica, che pensa la priorità sia tener saldo il quadro del governo. Insomma: noi eravamo nell'occhio del ciclone, ma capita in queste circostanze che chi sta nel suo occhio non si acorga che intorno c'è il ciclone. E invece di essere quelli che, contemporaneamente, vedono crescere la capacità di governo senza rinunciare a implementare il proprio radicamento nei movimenti, siamo apparsi spiantati sia dalla terra della politica che da quella della società.

E qui torniamo al punto dell'assunzione di responsabilità: se le cose stanno così, come deve esplicarsi?Se le cose stanno così, domando io, facciamo la discussione sul fatto che la colpa è del ministro Paolo Ferrero ? Mi pare francamente ingeneroso. O la facciamo sul fatto che la colpa è del segretario Franco Giordano ? Mi pare francamente grottesco. Almeno questo residuo di stalinismo penso che ce lo possiamo risparmiare. Non si cerchino i colpevoli ma s'indaghino le cause. Ripeto, assumendoci collettivamente la responsabilità della sconfitta.

Ma, dal passato al futuro, un'assunzione di responsabilità per cosa? Per proporre quale compito?Il tema è per me quello che ti ho detto, d'una nuova sinistra di popolo. Problema molto serio: perché significa lottare sapendo d'essere una minoranza ma senza avere atteggiamenti minoritari. La grandezza del movimento no global è stata quella di aver sfidato il pensiero unico superando la variegata mappa di tutti i minoritarismi. E per me quello è il punto di svolta quando voglio immaginare la ricostruzione del campo teorico d'un soggetto d'alternativa.

Uno che certamente è d'accordo su questa premessa, Marco Revelli, indica provocatoriamente al "bagno d'umiltà" della sinistra l'esempio della Lega, ovviamente agli antipodi poltici, per indicare come centrale il nodo del territorio e del legame sociale...Certo, la Lega è una doppia comunità. E' comunità politica che si sovrappone alla reinvenzione d'una comunità territoriale. In qualche maniera offre un doppio riparo rispetto alle tendenze di disidentificazione verso la globalizzazione. Ha costruito un alfabeto che mutua il populismo dal popolo. Si carica di un'identità che altre volte abbiamo definito come di "plebeismo piccolo borghese" e lo restituisce in forma di discussione pubblica, liberato da qualunque freno inibitore. E, ciò che è più importante dal punto di vista della nostra messa in discussione, occupa degli spazi che non solo noi non occupiamo, ma proprio non conosciamo più.

Mi pare parlino su un altro piano sempre di questo altre due voci critiche, ascoltate prima del voto: quella di chi, come Marramao, additava la mancata elaborazione a sinistra del divorzio fra simbolico e dimensione delle pratiche, e quella femminista che l'ha specificato nella fissità, sempre a sinistra, della crisi del simbolico politico maschile. Non sono modi di dire la mancata messa in causa del soggetto politico, della sostanza appassita nelle sue forme?Ripartire di qui, è appunto il compito. Se c'è chi pensa che si possa ripartire dal partitino, che la collocazione extraparlamentare diventi una specie di codice politico-culturale, sta giocando una partita che non c'entra niente con i bisogni della società italiana come con la necessità di reinventare la sinistra. Occorre partire invece dal fatto che siamo stati e ci siamo esiliati dal simbolico, dalla generalità delle forme di coscienza. Sembriamo possedere un alfabeto indecifrabile e il nostro agire politico sembra un esodo dai luoghi della moderna concentrazione di umanità: il nostro racconto è sempre d'un rapporto esteriore, un po' sociologico un po' apocalittico, quando un tempo a raccontare era il lavoro politico, la costruzione di reti di comunità, la messa in sequenza di vertenze, la capacità di dare alla politica un ruolo pedagogico. Oggi anche il nostro racconto sembra mutuare più dalla fiction che dall'attraversamento della realtà.

Cerchiamo di esplicitare i termini politici attuali di queste considerazioni: l'assunzione collettiva di responsabilità, se tale è il grado di crisi soggettiva certificato, a chi deve rivolgersi e in che luoghi deve svolgersi? Con chi e dove bisogna "elaborare il lutto"?Ci conviene, dico io, anche fare un funerale. Portiamo a seppellimento il cadavere di qualunque nostro dogmatismo, settarismo, spocchia e superbia intellettuale. C'è un lavoro che va ricominciato con immensa modestia. Un lavoro che dev'essere spigliato, libero, non ricattato. Con tuti quelli che ci stanno. Per questo, in queste ore, dobbiamo lanciare un messaggio molto forte alle compagne ed ai compagni: quello di partecipare ad una battaglia politica esplicita. Chiudersi in qualunque nicchia significa candidarsi al suicidio. E può anche accedere che per molte ragioni la sinistra italiana come soggetto autonomo sparisca; oppure, che finisca in una piccola commedia senza respiro e senza importanza. Dobbiamo rifiutare questa prospettiva, se possibile. E dobbiamo metterci tutti in gioco. Perché ora c'è solo un modo per salvare la sinistra politica, in Italia: sfidare noi stessi a costruire una grande e nuova sinistra.

Car@ Compagn@... Lettera di Gennaro Imbriano alle compagne ed ai compagni di Rifondazione e della sinistra.

Car@ Compagn@,
le recenti elezioni politiche rappresentano un autentico terremoto dal quale esce sconfitta la Sinistra e più in generale l'intero centro-sinistra.
Purtroppo assistiamo ad un innegabile spostamento a destra del quadro politico, in una cornice sempre più americanizzata.Come si è visto, quella presunta rimonta del PD è stata un'invenzione artificiosa di Veltroni che da una parte ha consegnato il paese a Berlusconi e dall'altra ha contribuito a cancellare la Sinistra dal Parlamento. Ora però la nostra sconfitta elettorale non può essere un alibi per fermare il processo unitario della Sinistra; anzi, credo che oggi più che mai bisogna avere il coraggio per superare tutte quelle timidezze e quelle resistenze che fin qui non hanno reso credibile il progetto Arcobaleno facendolo percepire come un cartello.E' un momento difficile ma sono convinto che, tutte e tutti, sapremo capire dove abbiamo sbagliato e trovare la passione e l'entusiasmo per ricominciare ancora una volta. Lo dovremo fare come Prc, a partire dai nostri circoli e negli organismi dirigenti, e lo dovremo fare come Sinistra, aprendo un confronto e una discussione con la nostra gente nei territori irpini.
Dunque è il momento di pensare le cause di una sconfitta, ma è anche necessario reagire subito, tornando nelle piazze dei nostri paesi e delle nostre città in due date simbolo come il 25 Aprile e il 1 Maggio, per dire che non ci hanno cancellato, per dire che ricominciamo dal lavoro e dalla Costituzione.
“Provare e riprovare” diceva un grande intellettuale e rivoluzionario italiano.
L’Irpinia e l'Italia hanno assolutamente bisogno di una Sinistra unita forte e popolare: a questo dobbiamo lavorare con grande generosità.
Gennaro M. Imbriano

mercoledì 16 aprile 2008

Crisi economica, tutti a destra.

di Valentino Parlato - il manifesto
Innanzitutto dobbiamo avere il coraggio della verità e dire che queste elezioni segnano una sconfitta della sinistra, non solo politica, ma anche sociale e culturale. Una sconfitta delle sinistre dell'Arcobaleno, ma non solo. La ritirata strategica di Walter Veltroni, cioè la negazione di ogni alleanza a sinistra per andare al voto senza il fastidio delle sinistre radicali si è tradotta in una rotta. Alla Camera e al Senato il Partito democratico sarà più debole che mai negli anni passati. Del pari la Sinistra arcobaleno non è stata in grado di presentare ai cittadini elettori una unità delle sinistre. Bertinotti annunziava questo obiettivo per il giorno successivo alle elezioni, comunque andassero. Sono andate male perché questa unità non è stata relizzata e ora sarà ancora più difficile da realizzare.Non bisogna dimenticare che queste elezioni si inquadrano in una situazione di crisi economica grave e che le crisi economiche e la paura che producono normalmente (c'è solo l'eccezione di Roosevelt) provocano brutti spostamenti a destra; pensate all'Italia e alla Germania del dopo '29. E in questo quadro di crisi occorre riflettere sul buon risultato della Lega, per la quale hanno votato molti lavoratori anche iscritti alla Cgil. Quando Massimo D'Alema disse al manifesto che la Lega era una costola del mondo operaio coglieva qualche aspetto della realtà. E certamente il successo della Lega (pare primo partito in Lombardia) è un dato socio-culturale che sarebbe sciocco sottovalutare polemizzando solo contro gli strilli di Bossi. E - voglio aggiungere - penso che la Lega forte del suo successo creerà qualche problema anche a Berlusconi.A questo punto che fare? Riflettiamoci un po', pensiamoci, non diamo risposte affrettate. Credo che la discussione debba innanzitutto cominciare dentro le forze dell'Arcobaleno (forse diventate extraparlamentari ma non per scelta). E credo che come sempre dopo le sconfitte si debba cominciare da una seria analisi del terreno sul quale si è stati sconfitti. Insomma ci sono cambiamenti sociali forti, c'è un precariato che può diventare massa di manovra di chi offre favori, ci sono problemi nuovi e inattesi (pensiamo solo all'ambiente e al costo crescente dei prodotti alimentari) in un mondo nel quale la povertà cresce verticalmente.Pensare di uscire dai guai di oggi con qualche trovata intelligente sarebbe a mio parere suicida.Il punto è che la società e l'economia e le forme dello sfruttamento (che persiste ed esclude sempre più persone dal ciclo lavorativo) sono cambiate e accresciute. Questo, a mio pessimistico parere, sfugge non solo a noi ma anche ai sindacati. Il manifesto dovrebbe avere l'ambizione e la capacità di diventare la cucina di una nuova ricerca delle forme di sfruttamento e di aggregazione degli sfruttati. Sono convinto che in queste elezioni molti sono stati i precari che hanno votato per la Lega o per il Pdl.

Non ci perdiamo d'animo.

Come sinistra e come Rifondazione comunista abbiamo subito una sconfitta devastante ma le ragioni per riprendere l'iniziativa e contrastare la situazione che si è determinata sono tutte di fronte a noi. Non deve venire meno l'ostinazione che ha sempre contraddistinto la nostra vicenda in questi anni. Si ricomincia daccapo. Le responsabilità di tutti i gruppi dirigenti della Sinistra Arcobaleno sono gravissime e qualsiasi ipotesi di rilancio di una sinistra unitaria deve partire dal riconoscere ragioni e responsabilità di questa sconfitta. L'impegno per rilanciare la presenza di Rifondazione comunista è la condizione primaria per contrastare l'inquietante successo della destra berlusconiana e della Lega e per tenere aperta la prospettiva di una presenza di sinistra in Italia all'altezza della sfida. Non ci perdiamo d'animo!
Forum delle donne - Prc

NO ALLO SCIOGLIMENTO DEL PRC, SI' ALLA SOGGETTIVITA' UNITARIA E PLURALE


"Penso che al più presto debba costruirsi un percorso costituente capace di interloquire con una soggettività unitaria e plurale, in cui convivano partiti, movimenti, associazioni, singoli e singole. Auspico che questa soggettività si doti di un coordinamento guidato da due portavoce, un uomo e una donna. E' giunto il tempo di innovare le forme partitiche e plebiscitarie novecentesche.Penso a un modello di costruzione come quello che abbiamo già messo in campo con la Sinistra Arcobaleno e sono fermamente contrario sia al partito unico (che porterebbe allo scioglimento di Rifondazione Comunista), sia a forme identitarie e conservatrici".
di Giovanni Russo Spena

DISCUTERE DEL FUTURO DELLA SINISTRA, FUORI E DENTRO IL PRC

"Le ragioni di una sconfitta così profonda devono essere discusse in modo approfondito e ampio da tutta la sinistra, fuori e dentro i partiti. Dobbiamo restituire parole e potere al popolo della sinistra, innovando le forme di partecipazione e di decisione. Il progetto della sinistra unitaria vuole riaffermare la presenza della sinistra nel Paese. Rifondazione puo' e deve mettersi al servizio di questo progetto, che va oltre la discussione interna, e che invece deve parlare direttamente a tutta la società italiana. Il percorso della sinistra unitaria deve essere irreversibile. A deciderlo saranno chiamati tutti gli uomini e le donne della sinistra mantenere questa presenza nella politica italiana".
di Gennaro Migliore

Dove sono andati i voti della Sinistra Arcobaleno?

1/2 al Partito Democratico ed il 1/5% all’astensione. Solo 1/4 dei votanti dei partiti costituenti nel 2006 ha deciso di votare Sinistra Arcobaleno nel 2008.
Il PD ha preso i suoi nuovi voti solo dalla sinistra arcobaleno, e ne ha persi a favore dell’udc. Solo 1% dal PDL.
Questi i dati di una analisi dei flussi di voto resa nota nella puntata, ieri sera, di Porta a Porta.

Rialzati sinistra.

"Rialzati Italia" citavano i manifesti elettorali del neo-eletto presidente del Consiglio, io non voglio starmene zitta a leccarmi le ferite e dico: "Rialzati Sinistra". Inutile girarci intorno, una sconfitta del genere nessuno di noi l'avrebbe mai immaginata, è dura da digerire, non nascondo che io ho pianto di fronte ai risultati elettorali. La scomparsa della sinistra dalla scena parlamentare è quanto di peggio potesse accadere, se la colpa sia da attribuire ai nostri errori o alla propaganda del voto utile o alla delusione di tanti compagni sarà da vedere nei mesi che ci attendono, ma il rischio che corre l'Italia non è da sottovalutare.
L'assenza della sinistra in parlamento equivale all'assenza di una reale opposizione di parte e questo può costituire una minaccia per la nostra democrazia che può spostarsi decisamente su un'americanizzazione della politica italiana. Questa prospettiva non credo sia delle più rosee se mi fermo a considerare le condizioni di vita delle classi meno abbienti negli Stati Uniti, il mio non vuole essere terrorismo psicologico, ma vedere Berlusconi come signore incontrastato del governo mi fa sorgere non pochi timori. Penso a quante poche volte sia uscita dalla sua bocca la parola sussidiarietà e alle troppe frasi di stampo populista pronunciate in campagna elettorale, è facile per me che vengo dall'Argentina vedere la versione italiana di Menem che ha portato al tracollo finale la mia nazione di origine. Mi rifiuto di credere che il popolo italiano sia così stolto da credere che il governo Prodi da solo abbia potuto portare l'Italia alle condizioni attuali in nemmeno due anni, mi chiedo come mai nessuno degli elettori del Pdl si sia accorto della condanna venuta dall'Unione Europea circa le discariche fuorilegge realizzate dal passato governo Berlusconi o come gli elettori meridionali abbiano potuto dimenticare il Federalismo voluto da Bossi che rischia di consegnare le nostre regioni nelle mani della malavita dove è tanta la connivenza tra mafie e politica e che sembra non dispiacere al nostro nuovo presidente del consiglio.
Ormai il dado è tratto e come recitava il libro: "Io speriamo che me la cavo", la cosa da fare adesso è quella di lasciare da parte la delusione e rimboccarci le maniche perché se la sinistra è scomparsa dal Parlamento non è scomparsa dall'Italia e ne sono la prova quel 1.124.418 di italiani ed italiane che hanno dato il loro voto alla Sinistra l'Arcobaleno, forse sono gli stessi che erano in piazza con noi il 20 ottobre a Roma, sono gli stessi che non si rassegnano e che hanno voluto credere e dare la loro fiducia al progetto di una sinistra unitaria. A queste donne e uomini va il nostro ringraziamento e l'impegno a far sì che questa fiducia non sia tradita perché gli ideali che ci guidano da sempre non sono legati necessariamente alle poltrone, essere fuori dall'istituzione ci priva del potere decisionale, ma non ci priva della libertà di espressione che da sempre caratterizza le nostre battaglie per una democrazia senza distinzioni. Di certo sarà dura, ma ritengo che mai come in questo momento ogni uomo e donna di sinistra debba tenersi stretti i propri ideali e valori impedendo allo sconforto di derubarlo di anni di lotte e conquiste per una società a misura di donna e di uomo. Per quanto mi riguarda sono e rimango una donna di Sinistra, ho la pellaccia dura e non rinuncio a quello in cui ho sempre creduto a prescindere dai risultati elettorali, ho mosso i primi passi sotto lo slogan "LA LOTTA E' DURA MA NON CI FA PAURA", magari è il caso che ogni uomo e donna di sinistra rispolveri questo slogan e si prepari ai prossimi cinque anni, dopotutto non può piovere per sempre, prima o poi spunterà l'arcobaleno.

Solofra, 15aprile2008 Amalia
Amalia Hilda Tobar

EXTRAPARLAMENTARI.

di Francesco Caruso
Il disastro elettorale della sinistra, così come il fallimento dell'esperienza di governo, ci segnalano chiaramente che si è chiusa una fase politica e con essa gli spazi per una sinistra riformista e di governo: ora bisogna ricostruire, sporcandosi le mani nel disagio, nelle sofferenze, nelle contraddizioni che questo sistema neoliberista produce, una nuova sinistra antagonista, partendo dalla centralità dei movimenti e dei conflitti sociali, per fronteggiare l'ondata neoliberista del prossimo governo Berlusconi e intepretando il carattere extraparlamentare della sinistra non solo come una necessità ma anche come una virtù.E' veramente stupido pensare che la sinistra scompare in Italia semplicemente perchè non ha più una rappresentanza in parlamento: la sinistra continua a vivere come ha sempre fatto nelle battaglie, nei comitati, nelle vertenze, nelle lotte di tutti i giorni, contro la precarietà e la devastazione ambientale, contro la guerra e la globalizzazione neoliberista.E' quindi indispensabile non tanto un esercizio di autocritica, ma di umiltà: l'azzeramento dei gruppi dirigenti dei partiti è una condizione necessaria ma non sufficiente per ripartire, e non c'è alcuna alchimia politicistica attraverso la quale aggirare i problemi della fase.C'è veramente poco da accellerare, anzi forse è il caso di scoprire mai come oggi l'elogio della lentezza, affinchè dopo aver toccato il fondo non si incominci anche a scavare: non c'è bisogno di costruire un nuovo partito, ma qualcosa di altro da un partito politico, dobbiamo sradicare una cultura elettoralistica che ha avvelenato la sinistra e costruire uno spazio politico oltre le forme tradizionali e incancrenite della partecipazione e della rappresentanza politica, uno spazio nel quale le tornate elettorali sono uno strumento al servizio di un percorso politico e non viceversa, uno spazio per le lotte sociali, i conflitti e le comunità resistenti, uno spazio per l'autorganizzazione sociale estraneo alle burocrazie sindacali, uno spazio di critica attiva e di disobbedienza sociale ad un modello neoliberista di cui tanto Berlusconi che Veltroni sono strenui difensori. E' quindi indispensabile non tanto un esercizio di autocritica, ma di umiltà: l'azzeramento dei gruppi dirigenti dei partiti è una condizione necessaria ma non sufficiente per ripartire, e non c'è alcuna alchimia politicistica attraverso la quale aggirare i problemi della fase.C'è veramente poco da accellerare, anzi forse è il caso di scoprire mai come oggi l'elogio della lentezza, affinchè dopo aver toccato il fondo non si incominci anche a scavare: non c'è bisogno di costruire un nuovo partito, ma qualcosa di altro da un partito politico, dobbiamo sradicare una cultura elettoralistica che ha avvelenato la sinistra e costruire uno spazio politico oltre le forme tradizionali e incancrenite della partecipazione e della rappresentanza politica, uno spazio nel quale le tornate elettorali sono uno strumento al servizio di un percorso politico e non viceversa, uno spazio per le lotte sociali, i conflitti e le comunità resistenti, uno spazio per l'autorganizzazione sociale estraneo alle burocrazie sindacali, uno spazio di critica attiva e di disobbedienza sociale ad un modello neoliberista di cui tanto Berlusconi che Veltroni sono strenui difensori. Contro questo modello neoliberista, nel quale siamo tutti sulla stessa barca ma c'è chi rema, suda e fatica ad arrivare a fine mese e c'è invece chi comodamente prende il sole e e nasconde il tesoro nei paradisi fiscali, dobbiamo ritrovare la forza, il coraggio e le passioni ideali, purtroppo annacquate e affievolite da questi due anni di governo.Del resto, mai come oggi, non abbiamo nulla da perdere se non le nostre catene.

La questione sinistra.

di Anubi D'Avossa Lussurgiu - Liberazione

«Ci sono certe sconfitte che insegnano più delle vittorie, diceva un grande presidente. Certo, sarebbe meglio imparare da una vittoria. Ma questa è una sconfitta, indiscutibile: e dunque bisogna saper imparare la lezione che contiene. Anzi, politicamente essenziale è saper imparare insieme da una sconfitta così». E' questa la giornata: un giorno di sconfitta. E una sconfitta così. Ossia, storica.
E' questo il giorno che vive e cerca di elaborare Fausto Bertinotti, cui tocca di sigillare appunto nel segno della sconfitta elettorale una decisione presa da tempo (da tempi "insospettabili", ossia in premessa della campagna elettorale), quella di «lasciare ogni ruolo di direzione» dopo aver interpretato per ultima la funzione di candidato premier per la Sinistra l'Arcobaleno. E' una giornata così, in un senso diverso dalla sconfitta stessa: perché il Bertinotti che l'assume e ribadisce le sue decisioni - «io finisco qui» ma non certo nel senso della cessazione della vita politica, «una passione durevole» che continuerà nella militanza - quando scende nella strana location scelta dell'Arcobaleno per il suo "punto comunicazione" ossia l'Hard Rock Café di Via Veneto, proprio in faccia all'ambasciata Usa, riceve un'accoglienza ancora più strana. Di affetto, di sostegno, di empatia da parte delle e dei militanti che hanno come lui passato le ore appesi al filo della sfida dell'esclusione dalla rappresentanza, per vederlo alla fine spezzarsi. Applausi, grida di «grazie presidente», di «bravo Fausto»: strano, precisamente straniante se si avesse la percezione di questa sconfitta come una semplice fine. Un saldo finale senza possibilità di futuro. E invece c'è un senso in quell'abbraccio tra chi ci ha creduto sino all'ultimo, sapendo benissimo delle difficoltà e dei rischi, e chi la sfida l'ha legata al suo stesso nome, avendo per primo additato la difficoltà e il rischio proprio come fondamento d'una necessità di "provarci". Proprio questo, in verità, è l'assillo principale del Bertinotti del giorno della sconfitta: indicare che questo esito, semplicemente, «drammatizza la necessità che avevamo raccolto». La rende, propriamente, storica a partire dalla stessa dimensione storica del colpo subito. «Un naufragio», ci dice riflettendo in una pausa dal confronto con lo stillicidio delle proiezioni e dei risultati parziali: un naufragio dentro «un diluvio». Ecco: l'assillo immediato è un imperativo di metodo per stabilire una condizione essenziale all'elaborazione della nuova realtà. Cioè la «responsabilità» di «riconoscere la sconfitta». Riconoscerne tutti i termini. Che non possono essere ridotti a quel che pure si era denunciato come «rischio», ora resosi concreto. Non è «causa» sufficiente della sconfitta, quindi, «la controriforma istituzionale che s'è anticipata nella campagna elettorale e nelle scelte complementari del Pdl e del Pd di Veltroni, l'anticipazione del presidenzialismo». Né «l'americanizzazione» come realtà attesa da quel processo d'anticipazione. Né, soggettivamente, l'insieme delle «scelte del Partito democratico». Ragione Bertinotti: «questi elementi ci sono tutti, sono reali e hanno agito. Ma tutti sono, per noi, solo delle concause. La sconfitta, che pure è segnata da questi, resta la nostra». Ossia: «L'alluvione c'è, ma perché ad esso non ha resistito l'argine, tanto più che si presentava come proiettato nella costruzione d'una nuova realtà?». Già, il "cammino" evocato per l'immediato indomani del voto. Che fine fa, ora, l'appello a costituire il passo ulteriore d'una "nuova sinistra"? La risposta di Bertinotti è, intanto, la convocazione d'una riflessione ineludibile: ancora, quella sulla sconfitta. «La sinistra non può pensare di riprendere il cammino senza rimuovere l'ostacolo». Quello costituito da questa esclusione, così storica. Subito, però, appare un'altra faccia della necessità: «Dicendo questo - è il corollario - diciamo che nemmeno si può rimuovere l'ostacolo senza riprendere il cammino». Senza volere, cioè, proseguire - nelle forme possibili e costituibili ora - il "viaggio" evocato nella stessa campagna elettorale. Quello verso la «ricostruzione, anzi di più la costruzione» d'una sinistra che «faccia i conti con tutto ciò che occorre mettere in discussione: forme d'organizzazione, linguaggi, culture politiche». Tutto ciò, aggiunge adesso Bertinotti, che evidentemente «ha a che fare con il piombo nella ali che si è rivelato nella sconfitta». Dunque è qui, la «drammatizzazione»: che insiste su un compito doppio. Prima di tutto, «avviare una riflessione di fondo su un intero ciclo storico della sinistra italiana come pure, però, sul tempo recente» - quello dell'esperienza della scommessa di governo e della sua implosione, tanto pagata nelle urne: perché "nessuno", si ripete Bertinotti, «aveva previsto una dimensione tale del possibile insuccesso». Insomma, «non abbiamo capito, quindi non capivamo più». La "nostra gente" e insieme la società italiana, è il sottinteso. Poi c'è l'altro corno della necessità e della scelta cui finalizzare la riflessione, anzi "alla cui luce" svolgerla: «realizzare il viaggio». Una «necessità etica oltre che politica», a questo punto, vista proprio la dimensione storica dell'esclusione. Una scelta, naturalmente: da misurare sulla restante, più larga, latitudine di quel che con queste elezioni è accaduto nella politica italiana. «Aveva ragione Giorgio Agamben» dice Bertinotti alludendo al discorso del filosofo sull'egemonia del «paradigma della governa mentalità» come coazione della politica: in termini concreti, «si è convinta la gente che si vota solo per il governo». Una prima volta che fa di questo voto «il primo post-repubblicano». In forza, certo, delle scelte in quella direzione fatte dal Pd. Ma qui c'è la "follia" soggettiva dell'evento-elezioni: «Veltroni ha puntato tutto sul voto utile e sulla sfida presidenzialista, riuscendo alla fine a prosciugare la sinistra ma senza sfondare minimamente a destra e nemmeno al centro». Questo dicono le cifre. E dicono d'uno «smottamento complessivo», testimoniato dal successo specifico «delle forche del Nord e di quelle del Sud», leggasi Lega e dipietrismo. Dunque, è confutata anche la strategia veltroniana, che pure tanto ha contribuito alla "svolta" storica del carattere politico di queste elezioni, che «mettono fuori la sinistra» e insieme pongono l'orizzonte della politica fuori dalla «fondazione costituzionale», da un quadro di democrazia parlamentare e da una ricchezza d'espressione della società italiana nella rappresentanza: fondamentalmente fuori da qualsiasi perdurare di speranze sulla capacità degli istituti democratici di misurarsi con istanze di cambiamento, persino di miglioramento (delle condizioni di vita). Ma quel fallimento avventuristico, per così dire, delle scelte del "loft" nulla toglie alla profondità del problema della sinistra, ora. Un problema che si è fatto materialmente esistenziale, almeno a riguardo del rapporto tra sinistra e politica. Un problema che solo uno "spirito costituente" può affrontare restituendone la necessità: fattasi appunto «molto più drammatica», dunque urgente, da ieri. «Io finisco qui», dice Bertinotti: ma intende qui come questo messaggio di scelta necessaria. Le cui forme, il cui grado di determinazione, la cui conduzione «da oggi sono affidate, davvero, ad un ricambio altrettanto necessario». Poi, si vedrà «chi ci sarà». L'ultima parola di Bertinotti è ovvia: «Io spero che ci siano tutte e tutti, che nessuno si sottragga». Perché la latitudine della sconfitta «riguarda il "noi" della sinistra politica che c'è e che siamo», ma soprattutto «riguarda l'esistenza stessa d'una sinistra italiana». Ed è al cospetto di questo problema, adesso spalancato, che sta la responsabilità di quel "noi": di non riguardarsi più per sé stesso, insomma. E di compiere in fondo la riflessione sulla sconfitta, cioè su di sé e sul proprio limite. Fin qui, Bertinotti: il resto, se ci sarà, sta a quel "è noi", pur che vada oltre sé stesso. Verso tutte e tutti quelli che si sentono riguardati da quella che, da ieri in Italia, è la «questione-sinistra».
15 Aprile 2008

Non ci fermiamo.

riceviamo e pubblichiamo
C’era stata, fino agli anni ‘60, un’Italia ufficiale bigotta, ottusa e ancora intimamente fascista della quale alla quale l'Irpinia e la sua auto-proclamatasi "classe dirigente" democristiana aveva risposto con una nugolo di mogul della politica, forti della loro presenza in parlamento. Poi venne l’Italia del potere consumista ed edonista, ed ancora qui lo scudo crociato assicurava di poter partecipare al mercato dell'angoscia, all'affannato bramoso ricorso all'avere, attraverso il posto fisso.

Primo insediarsi del cancro democristiano in provincia di Avellino. Inizia la dissociazione fra l’avvicendarsi di partiti, alleanze e governi –in Italia- e la forma immutata della vita del popolo delle nostre terre che si affida alla "classe dirigente" che siede a Roma.
L'Italia avanza, procede, migliora, si informa, soffre e combatte. Ma l'Irpinia se ne frega, cullata dai suoi "beniamini". Si adagia e si allontana dallo sviluppo e da un futuro ancora allora facilmente raddrizzabile.
L'opposizione , in nome di una irriducibile diversità culturale ma soprattutto di una concezione
della vita diversa, si affida ai rappresentanti politici del P.C.I che più che guardare alla nostra terra obbediscono alla struttura del partito. Una lotta egregia, che non posso e non voglio giudicare, ma purtroppo persa per tanti anni.

Oggi un torpore ha assopito il mio spirito. Oggi si è perso ancora. Ha vinto ancora l’Italia bigotta, ottusa e ancora intimamente fascista. Ha vinto ancora la speranza del posto tramite l’onorevole. Ha vinto ancora l’ignoranza di non voler capire che il PDL. darà l’Italia in mano ai signori del nord, o ai loro cugini siciliani. Ha vinto ancora la democrazia cristiana che con il suo colpo di coda ha dimostrato ancora nei nostri paesi di poter indirizzare il voto, di poter “avvisare” la gente che il voto “sbagliato” è un periglioso sbaglio.
Ma soprattutto ha vinto un voto di plastica, senza territorialità, mediato da televisioni. Un martellamento ossessivo, fatto di paure e promesse insidiate tra qualche spot e qualche culo abbronzato. Un voto di plastica, anzi di onde radio che ahimé è entrato così come in Irpinia, anche nelle case di tanti altri Italiani.

Ma soprattutto hanno perso i giovani, gli uomini e le donne, e i compagni di sempre che insieme come tanti gatti randagi hanno cercato di giorno e di notte nelle le piazze e nelle strade della nostra provincia di trovare un boccone sano tra tanta spazzatura.
Hanno perso i giovani, come Generoso Bruno, Francesco Pennella, Gennaro Imbriano, Maria Assunta Baronale, e tanti, tanti altri, ragazzi e ragazze che hanno cercato di fare, di parlare, di sperare che qui qualcosa si può ancora fare. Hanno perso, ma ci hanno fatto capire che questa è la classe dirigente, quella vera, quella sana e capace, che l’Irpinia merita. Non ci fermiamo, ancora e sempre in cammino per l’Irpinia e per gli Irpini.

Vittorio Grasso. Pensiero Salzese
http://www.freewebs.com/pensierosalzese/index.htm