martedì 28 aprile 2009

Antonio Gramsci.



In occasione del 72esimo anniversario della morte di Antonio Gramsci, una delegazione di Sinistra e Libertà composta da Patrizia Sentinelli e Roberto Musacchio si è recata al Cimitero Inglese. Roberto Musacchio, europarlamentare di Sinistra e Libertà, ha dichiarato: "La lezione di Gramsci è sempre attuale. Riforma morale del paese e sovversivismo dall'alto delle classi diirigenti sono temi di straordinaria attualità. In particolare il sovversivismo dall'alto delle classi dirigenti è una chiave di interpretazione per quel populismo che rappresenta uno dei rischi più gravi della nostra democrazia. In questo paese troppe volte i potenti usano le condizioni di difficoltà dei deboli per alimentare il proprio potere; la riforma morale di cui parla Gramsci serve a proseguire nei valori della nostra Costituzione attuandoli pienamente"

venerdì 24 aprile 2009

Buonventicinqueaprile.


Nel discorso di Torino sulla democrazia, alla vigilia del 25 aprile, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ci ha ricordato che le principali istituzioni della democrazia , concepite in antitesi a ogni dispotismo, sono “la garanzia di diritti di libertà (in primis libertà di pensiero e di stampa), la divisione dei poteri, la pluralità dei partiti e la tutela delle minoranze politiche“. Citando Norberto Bobbio, il presidente ha anche rammentato l’importanza della rappresentatività del Parlamento, dell’indipendenza della magistratura e del principio della legalità.

Non a caso il monito del garante della Costituzione arriva in un momento in cui sempre più spesso assistiamo all’arroganza di un esecutivo che, continuamente, a colpi di decreti, si appropria di prerogative legislative in nome della “governabilità”, spogliando di fatto il Parlamento delle proprie funzioni.

Il Capo dello Stato, che si è rivolto a Berlusconi pur senza citarlo direttamente, ha affermato che “oggi il governo dispone già di molto potere rispetto al Parlamento, essendo passato il tempo in cui le Camere prevalevano sull’esecutivo, e mette in guardia dalla continua richiesta di maggiori poteri che perviene dai vincitori delle elezioni, ammonendo che “la denuncia dell’ingovernabilità tende a suggerire soluzioni autoritarie“.

Il Presidente della Repubblica non poteva essere più netto nel bocciare il “berlusconismo” nella parte più incisiva e politica del suo intervento, che probabilmente è stato anche il più impegnativo dal suo insediamento al Quirinale.

La denuncia di Napolitano arriva dopo un periodo di duro scontro istituzionale, cominciato diversi mesi fa, e che ha visto nelle dichiarazioni del premier sul “caso Eluana”, il momento più critico. Proprio in quell’occasione Berlusconi aveva manifestato minacciosamente l’intenzione di svuotare i poteri del Capo dello Stato e di cambiare la Carta fondamentale che, secondo il premier, era nata “sotto l’influsso della fine di una dittatura e con la presenza al tavolo di forze ideologizzate che hanno guardato alla Costituzione sovietica come un modello”.

In quelle dichiarazioni si condensa l’idea di fondo della democrazia secondo Berlusconi: governare senza alcun contrappeso, trasformare il Parlamento in una mera sede di ratifica delle decisioni governative, concentrare tutto il potere nelle proprie mani di una sola persona.

Un’idea plebiscitaria e autoritaria della democrazia nella quale, come afferma Stefano Rodotà si entra in ”una terra incognita” in cui “i diritti fondamentali delle persone non sono più affidati alla garanzia della legge, ma alle pulsioni delle maggioranze” con l’effetto di sconvolgere la stessa democrazia costituzionale che sulla Carta si fonda e che induce il Capo dello stato a ribadire che “la Costituzione repubblicana non è una specie di residuato bellico come da qualche parte si verrebbe talvolta fare intendere e che poggia sui valori maturati nell’opposizione al fascismo, nella Resistenza“.

Per questo non si può non essere d’accordo con Napolitano quando dice: “Rispettare la Costituzione significa anche riconoscere il ruolo fondamentale del controllo di costituzionalità, e dunque l’autorità di istituzioni di garanzia. Queste non dovrebbero formare mai oggetto di attacchi politici e di giudizi sprezzanti, al di là dell’espressione di responsabili riserve su loro specifiche decisioni”.

“La Costituzione non è una semplice carta dei valori. È legge fondamentale e legge suprema anche e innanzitutto nel segnare i limiti entro cui può svolgersi ogni potere costituito e viene disciplinata la stessa volontà sovrana del popolo”.

Potere costituito di cui il Parlamento è espressione, secondo una logica di rappresentatività della volontà popolare messa a dura prova da quelle norme che, concepite per evitare un’eccessiva frammentazione politica, hanno indebolito la rappresentanza stessa e messo in discussione la libertà di voto e che, in assenza di valide procedure di formazione delle candidature e di meccanismi di ancoraggio fra eletti, territorio ed elettori, hanno contribuito a indebolire la nostra democrazia.

Un vulnus che con la sciagurata richiesta di un “voto utile” ha menomato quel pluralismo, sociale, politico e istituzionale che costituisce la sostanza della democrazia, causando l’estromissione di alcune componenti politiche dal Parlamento e che la soglia di sbarramento europea, imposta dalla maggioranza con l’assenso di tutta l’attuale opposizione parlamentare , rischia di aggravare.

Per questo la ricorrenza del 25 aprile non è soltanto occasione di celebrazioni e di ricordi, ma, oggi più che mai, deve diventare occasione di riflessione sui rischi autoritari verso i quali può scivolare la nostra democrazia.

Bella Ciao (Mondine-Jazz-Grunge-English version, beautiful!)

martedì 21 aprile 2009

ITALIA SI, ITALIA NO, ITALIA BOH.


di Marco Senaldi* - Flash Art n.274 Febbraio - MArzo 09

REALITY SHOW

L’ITALIA È UN paese magnifico, o un posto da incubo? In Italia si pagano troppe tasse, o se ne evadono ancor di più? L’industria italiana svetta per eccellenza, o inquina a più non posso? Le università italiane sfornano cervelli da esportazione, o sono incestuosi covi del malaffare? E gli artisti italiani, infine, sono geni incompresi o provinciali mammoni? Girala come vuoi, da queste domande opposte non se ne esce. O meglio, quello che esce è la solita immagine dell’Italia, un paese impossibile, una nazione paradossale, un coacervo di contraddizioni che si rimpallano, che si ripetono, che sfuggono anche a hi vorrebbe risolverle, e che alla fine stremano tutti col risultato che si va in qualche modo avanti. Eppure, dài che ti do, alla fin fine di tutto questo gran parlare, scatenarsi, incatenarsi, stracciarsi le vesti, e ricucirle per poi rimettersele, magari a rovescio, il dì seguente qualcosa, nella percezione comune e forse nelle cose stesse, è cambiato.
Un primo cambiamento riguarda senz’altro il livello del dibattito. Quasi Impercettibilmente, dato il fragore generale, siamo transitati dalle sottigliezze politiche, o dalle invettive ideologiche esasperate, a un piano diverso, direi di irresistibile trasparenza. Un giornalista d’assalto come Marco Travaglio può dare del mafioso a uno (di fatto condannato) come il senatore Dell’Utri, e questo resta in parlamento; salvo poi demandare al portavoce del suo partito, Daniele Capezzone, il compito di apostrofare in diretta Tv proprio il Travaglio con l’epiteto di “coglione”.

A un livello (gerarchicamente) più elevato lo stesso Berlusconi può spingersi a ricordare come un “eroe” Vittorio Mangano, il suo stalliere mafioso, e il suo avversario Antonio Di Pietro può rimbeccarlo, senza che questo però generi alcuna conseguenza effettiva. In altro ambito, la polemica tra Francesco Bonami e Achille Bonito Oliva sulla mostra “Italics” ricalca questo modello: ci si rinfaccia apertamente quello che una volta si sarebbe sussurrato con prudenza agli orecchi di un confidente. Benché tanta apertura linguistica e mentale non generi nessun mutamento reale, di fatto però rende le cose interessanti da un altro punto di vista, cioè da quello che potremmo definire “espressivo”. L’Italia è un caso unico in cui in definitiva tutti sanno tacitamente che la capacità di fornire una riflessione obiettiva non è demandata né ai politici (consapevoli del fatto che, come diceva Mussolini, “governare gli italiani non è difficile, è impossibile”), né ai giornalisti o ai media (che sono già capillarmente collocati per fasce di artito), né ai vertici religiosi (storicamente screditati da una prossimità geopolitica esagerata), e nemmeno alla cosiddetta società civile e ai suoi rappresentanti, anch’essi di frequente collusi coi potentati di vario rango. Che cosa resta allora, se non la traduzione in termini artistici di questo impasto dei mali dell’(ex) Bel Paese, e la loro relativa nobilitazione creativa? La conseguenza, essa stessa paradossale, è che, oggi, se un sociologo volesse conoscere come funziona l’Italia, farebbe meglio a vedere un reality show che analizzare i (peraltro discutibili) indici Istat. Se uno storico volesse ricostruire le vicende del paese farebbe meglio a guardarsi un film recente di qualità, anziché compulsare fonti spesso contraddittorie. E se un italiano volesse capire in che paese abita forse sarebbe bene che cominciasse a guardarsi intorno e osservasse che opere producono i suoi artisti.

Dopo molti decenni, infatti, di “complesso di inferiorità culturale”, di “non facciamoci

riconoscere”, e di “perché non siamo un paese normale” (come non pensare a certi film come Fumo di Londra, in cui l’Albertone nazionale sviscerava tutta la xenofilia che ci contraddistingue?), oggi molti artisti, scrittori, registi e designer tornano a concentrarsi su temi tipicamente locali, con la consapevolezza che non sono eventi marginali di una provincia dell’impero, ma fatti a loro modo epocali degni di diventare soggetti artistici. Non è un caso che il nuovo cinema italiano dei vari Garrone, Virzì, Sorrentino, Vicari, si sia concentrato su temi di politica e di società assolutamente italiani — come la camorra o la longevità politica di Andreotti, spesso in stretta correlazione con la narrativa emergente di autori come Saviano, Ammanniti, Veronesi, Brizzi. D’altra parte non è un caso che i nuovi designer italiani, come Giulio Iacchetti, abbiano addirittura realizzato un libro-archivio di tutti gli oggetti, reali o virtuali che definiscono l’identità italiana, dal calendario di Frate Indovino alla Coccoina, dalla Festa dell’Unità alla liquirizia Tabù (raccolti nel volume collettivo Italianità, Corraini, Modena), mentre Roberto Giolito ha ridato vita, con sensibilità e intelligenza, a un mito del tutto italiano come la Fiat 500 (Il marketing del fantasma. Nuova Fiat 500, di Fulvio Carmagnola, in OT/ Orbis Tertius, 1, Mimesis, 2008). Anche la fotografia italiana si segnala per questo recupero: basti pensare all’opera di Francesco Jodice o di Paola di Bello, di Massimo Siragusa o di Paola Salerno per capirlo. Tuttavia, qui è fondamentale stabilire alcune distinzioni. Una serie di artisti e di opere si è focalizzata sui guasti italiani con grande serietà, ma fatalmente ricalcando atteggiamenti tradizionali. Lo stesso esempio di Gomorra — il libro più del film — indica che quando si affrontano temi “alti” si tende a ricorrere a linguaggi altrettanto alti, di severa “riscossa civile” come, in questo caso, il recupero del Neorealismo, stile che però rischia di non essere più in sintonia coi tempi. Nelle molte operazioni attuali in cui ritorna il vecchio cliché della denuncia, si conserva una (immotivata) fiducia nel fatto che ci sia qualcosa da (d)enunciare a qualcuno, e che sia possibile farlo da un luogo di (d)enunciazione neutrale, non coinvolto, “obiettivo” sui fatti, la cui inesistenza invece è proprio ciò che rende tanto paradossale la situazione (e la storia tutta) del nostro paese.
Alcune recenti operazioni artistiche che hanno toccato il senso dell’appartenenza italiana, invece, partono proprio dall’impossibilità di una presa di posizione “obiettiva”. Operazioni come l’Art Parade di Francesco Spampinato con le bandiere italiane spixellate, o l’opera di Goldiechiari Confine immaginato, l’installazione sonora che riproduceva con campionamenti di scrosci d’acqua e sciacquone l’inno italiano Fratelli d’Italia, o la faccia di Berlusconi trasformata in icona bizantina nei mosaici di Leonardo Pivi testimoniano, più che una volontà di mettere alla berlina usi e costumi italioti, il radicale confronto con un’identità fantasmatica, scollata da se stessa come i bordi di una foto mossa, dove il culto del calcio, la foto del leader e l’inno di Mameli (tutte cose per altro stranamente collegate!) si scambiano ruoli e significati. In questo

senso, l’opera di Cattelan, che sovente ha toccato il tema dell’identità italiana, resta

profondamente indicativa. Da Ninna Nanna del lontano 1994, installazione realizzata con le macerie del PAC dopo l’attentato che lo aveva distrutto, fino a All, 2008, i nove marmi che sembrano altrettanti morti ammazzati, Cattelan non si è mai arreso alla logica della semplice denuncia, preferendo la strada indiretta dell’interrogativo e dell’ambiguità riflessiva. Non è un caso che al suo collodiano Charlie don’t surf (il ragazzetto con le mani trafitte da due matite) sia dedicata l’omonima ballata dei Baustelle — e non è nemmeno un caso che un’allegoria ricorrente nell’arte contemporanea, proprio a cominciare da Cattelan, fino ad arrivare alla parodia di quel duo geniale e irresistibile che sono Bertozzi & Casoni, passando per Manganelli e Carmelo Bene, sia proprio il dis-eroico Pinocchio. In questo senso, più che alla ricerca delle radici di una presunta identità italiana, gli artisti nostrani migliori hanno afferrato che la verità di questa nostra terra risiede soprattutto in una differenza intrinseca, disidentità di sé da sé, inaugurata sicuramente da uno come Pirandello. È in questa chiave che andrebbero recuperate le tradizioni anti-tradizionali della dis-italianità. Sinceramente, è bello che un curatore di livello internazionale come Bonami abbia incluso nella sua mostra “Italics” figure desuete quali Guttuso o Ferroni, ma in un certo senso, ciò che è davvero singolare non è il gesto di includerli in mostra, ma lo stupore che esso ha suscitato. Anche questo è un tratto tipico dell’italiotismo più becero: in Francia, per esempio, quando una personalità raggiunge un rango storico, può essere sottoposta a una critica postuma anche feroce, ma entra automaticamente a far parte di un pantheon da cui non è più rimossa, e in cui trovano posto tanto Luigi XVI che Napoleone, tanto Céline che Sartre. Qui, invece, l’ultimo arrivato pretende di fare piazza pulita di tutti quelli che lo hanno preceduto; così, benché non si possa non sottoscrivere la feroce critica che uno come Luca Beatrice ha indirizzato ai cascami ideologici dell’Arte Povera, bisognerebbe anche avere la magnanimità di ammettere che, ormai, è roba archiviata, fa parte della nostra storia

come il Futurismo o la poesia visiva. Così, in una mostra sull’italianità quello che più stupisce non è la presenza di Guttuso (mossa senz’altro talentuosa), ma invece la mancanza degli autentici eroi anti-italiani: se siamo d’accordo su Cattelan, perché non inserire le indimenticabili due puntate di Carmelo Bene da Costanzo del 1994? In quell’operazione mediatica, in cui un personaggio così poco televisivo come Bene ebbe il coraggio e la follia di darsi in pasto a un pubblico immensamente più grande di lui, alligna tutta la forza malapartiana dell’italianità più paradossale e più vera. E non dovremmo dire lo stesso degli interventi televisivi di De Dominicis, o del dimenticato ma pazzescamente geniale Orlando Furioso di Luca Ronconi (1975), che, a rivederlo con gli occhi di oggi, non può non ricordare le elaborate meccaniche visive di una Tacita Dean o di un Matthew Barney? E quando un artista di vaglia come Alfredo Jaar, nella sua ultima personale italiana, si spinge a chiedere con grandi manifesti “dove sta Gramsci”, l’operazione risulta inevitabilmente ideologica perché Gramsci è elevato a bandiera della benedetta “coscienza nazionale”, che l’Italia proprio non ha e la cui mancanza è anzi la sua caratteristica, e le sue “ceneri” andrebbero invece accostate senza timore a quelle dei pochi che hanno condiviso con lui il destino di plasmare questo paese nel bene e nel male, sia pur da sponde politicamente diverse, come Croce, o persino Gentile, della cui storica riforma scolastica siamo tutti (finora!) inevitabilmente figli e debitori. Queste sono le cose che gli artisti di oggi mostrano a tratti di intendere sennonché, forse, un po’ troppo tardi. Ormai, ora che ci stavamo riappassionando al nostro paese, altre realtà vanno affacciandosi sul palcoscenico

della Storia, e forse è l’Europa tutta a essere destinata a un inevitabile declino. Adesso, che avevamo capito di contare qualcosa, non per le nostre presunte e sempre ripetute virtù, ma proprio per i nostri difetti, adesso è il momento di prender congedo. D’altra parte, questo strano destino è in linea con una indimenticabile intuizione di uno dei migliori dis-italiani che mai abbiano calcato il suolo natìo, cioè Pier Paolo Pasolini, che poco prima di morire ebbe a dire: “È dunque assolutamente necessario morire, perché, finché siamo vivi, manchiamo di senso”.



*Marco Senaldi, critico d’arte e filosofo, collabora con la cattedra di Educazione Estetica dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca.

giovedì 9 aprile 2009

Ricostruiamo la Casa dello studente.

Sinistra e Libertà ha aperto un Conto corrente bancario dedicato alla sottoscrizione in favore delle popolazioni dell'Abruzzo: Sinistra e Libertà Solidarietà Abruzzo IT 82 B 0832703221 000000003346 da utilizzare per versamenti attraverso bonifici. I soldi raccolti contribuiranno alla ricostruzione della Casa dello studente.

martedì 7 aprile 2009

Appello alla Solidarietà con l’Abruzzo.



Cari compagni e compagne, amici e amiche,
stiamo cercando di organizzare una rete di solidarietà e primo aiuto per la popolazione abruzzese colpita dal sisma. Tutte le nostre iniziative saranno coordinate con la Protezione Civile, da cui stiamo attendendo informazioni e direttive più dettagliate.

RETE DI ACCOGLIENZA SFOLLATI

Stiamo predisponendo una rete di persone disponibili ad ospitare gli sfollati. Per questa ragione vi chiediamo, se abitate in regioni prossime alle zone interessate dal sisma e siete nella condizione di ospitare qualcuno, di comunicarci a partire da ora le seguenti informazioni:
nome, cognome, indirizzo, telefono, indirizzo e-mail, numero delle persone che potete accogliere, numero delle stanze e durata approssimativa della disponibilità.
Il nostro indirizzo e-mail è sinistraeliberta.volontari@gmail.com e tel. Annagrazia 328.8638712

GRUPPI DI VOLONTARI

Stiamo comunicando alla Protezione Civile le disponibilità dei nostri militanti, attivisti e simpatizzanti a recarsi in Abruzzo per fornire assistenza, aiuto e soccorso alla popolazione. Chi di voi fosse disponibile può comunicarcelo fin da ora all’indirizzo: sinistraeliberta.volontari@gmail.com e al numero di tel. Annagrazia 328.8638712. Comunicateci anche, nel caso le aveste, le competenze specifiche che potrebbero essere utili ai soccorsi (es. medici, ingegneri, infermieri, psicologi, assistenti sociali, cuochi).

RACCOLTA COPERTE, MEDICINALI, VESTIARIO, MATERIALI UTILI A RIMUOVERE LE MACERIE

Stiamo verificando con la protezione civile la reale necessità di una raccolta di materiale di cui sopra. Nelle prossime ore vi daremo nuove informazioni attraverso le newsletter e il nostro sito, e nel caso fosse realmente utile predisporremo centri di raccolta.

RACCOLTA FONDI PER L’EMERGENZA ABRUZZO

Stiamo raccogliendo fondi da destinare all’emergenze immediata e i soccorsi. Per farlo stiamo aprendo un apposito conto corrente di Sinistra e Libertà che sarà attivo da domani.

DONAZIONI DI SANGUE

Pare dagli ultimi aggiornamenti che non ci sia un’emergenza sangue, in ogni caso se si dovesse ripresentare questo problema chi vuole donarlo può farlo
in Abruzzo: presso l'ospedale di Pescara - Dipartimento di Medicina Trasfusionale PO "Spirito Santo" Via Fonte Romana 8 - 65124 Pescara Telefono 0854252687. Oppure ci si può rivolgere agli altri ospedali abruzzesi.
Nel resto d’Italia si può donare sangue in tutte le sedi Avis del paese. Per trovare quella più vicina: www.avis.it

venerdì 3 aprile 2009

Il 4 aprile per un nuovo Piano nazionale del lavoro.

di Alessandro Sabiucciu Mps

Sabato saremo a Roma, a fianco della CGIL, con le nostre bandiere, con i nostri programmi. Non si tratta solamente di una scelta, pur importante, di solidarietà verso la più grande organizzazione sindacale sottoposta ad un attacco virulento da parte della destra che governa l’Italia. Si tratta di scendere in piazza per rivendicare misure concrete, a favore del lavoro, in una crisi dalle conseguenze drammatiche per i lavoratori e gli strati più deboli della popolazione, per sostenere una diversa qualità della relazione tra ambiente e lavoro attraverso la quale costruire anche le condizioni di uscita dalla crisi, per porre un argine alla deriva autoritaria della democrazia che si manifesta a partire dalla negazione del diritto di voto ai lavoratori.
Il governo Berlusconi persevera nella pratica degli annunci (operazioni di marketing politico), senza che alcun provvedimento concreto si sia ancora visto, mentre le condizioni materiali delle persone continuano a peggiorare, come confermato da tutti gli indicatori statistici (CIG, CIGS, Mobilità, iscrizioni al collocamento). Cresce l’incertezza e l’insicurezza sociale ed aumentano i processi di fragilizzazione delle identità individuali, in un quadro di precarietà sistemica. Senza una chiara ripresa del conflitto sociale, senza una ritrovata, ricostruita, capacità della sinistra di definire un progetto politico unificante per questa società frantumata, c’è il pericolo che si saldino, ancora di più, le derive razziste con le spinte populiste: una miscela devastante, tesa a perseguire una “privatizzazione del tutto” (dall’acqua alla scuola), che colpirà tutte le reti di protezione sociale.

Credo che la posta in gioco sia chiara e possiamo già anticipare, dai segnali che arrivano dai territori per numero di pullman e di treni speciali, che la partecipazione sarà grandiosa. La straordinaria riuscita della manifestazione sarà utile ad impedire il consolidamento di un blocco sociale conservatore, con venature persino reazionarie, razziste e xenofobe, e potrà aiutare la definizione di una piattaforma sociale, culturale, politica, per la quale noi del Movimento per la Sinistra ci rendiamo disponibili. Dalla difesa del Contratto Nazionale di Lavoro, al raddoppio della durata della Cassa Integrazione per coprire tutto il periodo della crisi, all’aumento dell’indennità di disoccupazione, fino al rilancio degli investimenti sulla ricerca, l’istruzione, sulle energie rinnovabili e sulle tecnologie dolci come sfida anche occupazionale per il presente ed il futuro prossimo, tutte le proposte della CGIL sono condivisibili.

Vogliamo portare il nostro contributo proponendo una totale ed incondizionata “moratoria” dei licenziamenti, che serve soprattutto per quelle lavoratrici e lavoratori precari e o della piccola e piccolissima impresa e dell’artigianato: moratoria che si può ottenere estendendo, erga omnes, la cassa integrazione a tutte e tutti a prescindere sia dai settori merceologici di appartenenza e che dalla dimensione occupazionale della struttura di lavoro. L’obiettivo deve essere: nessun licenziamento durante la crisi! Per realizzarlo serve un po’ di “deficit spending” con buona pace dei turbo liberisti.

Nell’immediato queste misure servono come una sorta di “terapia della riduzione del danno”, sono utili a salvaguardare soglie fondamentali di reddito e di consumi, sono imprescindibili per mantenere un “pavimento” dei diritti ed evitare di passare da una crisi economica, per quanto gravissima, ad una depressione economica che travolgerebbe soprattutto i più deboli.

La rimessa in campo di una sinistra degna di questo nome non può realizzarsi, però, limitandosi ad interventi, per quanto importanti, di natura congiunturale. Serve un PIANO NAZIONALE per il LAVORO. Dopo la sconfitta alla Fiat degli anni ’50, Giuseppe Di Vittorio seppe riaprire i percorsi politici e propose il Piano per il Lavoro. Oggi serve uno scatto di analoga forza politica. Serve al mondo del lavoro ed al sindacato e serve alla sinistra politica.

La ricostruzione della centralità sociale del lavoro, la messa in campo di una proposta complessiva di ridisegno dei diritti del lavoro, oggi devastati dalle diverse legislazioni e dalla polverizzazione produttiva, la possibilità di sviluppare nuove piattaforme sociali unitarie anche attraverso forme di salario sociale, passano solo attraverso un disegno strategico di grande spessore culturale, politico e sociale. Un Piano Nazionale per il Lavoro come strumento per la tutela dei diritti, per una stagione di sviluppo economico armonico tra lavoro e ambiente, come piattaforma per la ricostruzione della sinistra politica in Italia ed in Europa. Proponiamo alla CGIL di avviare i confronti per costruirlo sfidando, per questo obiettivo, l’insieme delle forze di sinistra e democratiche.