mercoledì 30 luglio 2008

Vendola:Tenere aperta una prospettiva per la Rifondazione.

di Antonella Marrone - LIBERAZIONE
Molto semplicemente, Nichi Vendola, il giorno dopo, dopo Chianciano, parla della più bella sconfitta della sua vita.
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Perché?
Perché ho la coscienza di aver fatto una buona battaglia. Cito San Paolo, sperando di non suscitare le ira di qualcuno e considero questa la più bella sconfitta della mia vita. Tre mesi di grande tensione politica e culturale, di affiatamento staraordinario dentro un nuovo gruppo dirigente e di governo di un processo politico che qualcuno voleva portare nell'arena, nelle volgarità e nelle contumelie. E che noi abbiamo sempre saputo mantenere sul piano della discussione politica.
C'è anche un po' di stanchezza per tutto questo?

No, non sono stanco. Mi sono sentito in una vicenda che mi metteva alla prova psicologicamente. Essere oggetto di dileggio...E c'è anche chi ha voluto vedere la mia gestualità come l'ostensione del corpo sacro del leader. Davvero una buia notte, una regressione grottesca. A tratti sembrava un film di Bunuel.Hai avuto la sensazione di trovarti davanti a qualcosa di "impalpabile" ma impossibile da superare?Ho avuto la percezione che fosse stato compiuto un lavoro scientifico, seminare veleni, costruire odio, mirarlo nei mie confronti e di alcuni altri compagni

Ieri, durante la conferenza stampa a Chianciano, hai parlato delle accuse di leaderismo che ti sono state rivolte ma hai sottolineato come al contrario sia stato Ferrero il vero leader con la sua candidatura sottotraccia.

Non c'è esempio nella storia variegata del leaderismo, dal cesarismo al bonapartismo, al peronismo, che non dica cosa è la deriva plebiscitaria: gli oligarchi costruiscono tutta la propria strategia a partire dal richiamo basista, dall'appello a coloro che stanno alla base. E costruiscono così un percorso che è pericoloso perché vive più di risentimenti che di sentimenti e perché in quel percorso, talvolta, più che la dimensione del collettivo c'è la dimensione della folla. Magari folla sollecitata nei suoi istinti più beceri.

In che senso, allora, Paolo Ferrero è stato più leader di te?

Perché è stato il leader a partire dal fatto che si è sottratto alla platea congressuale, nel percorso congressuale è stato il leader in sonno. In qualche modo ha costruito esattamente con un'operazione molto risibile di marketing politico, ha costruito se stesso come antileader come anticasta, come anti governo. Paradosso vuole che fosse il ministro che nel governo Prodi ha avuto l'esposizione più alta.

Ha fatto autocritica su quell'esperienza...

Di quell'esperienza di governo lui si è assunto la responsabilità collettiva, che viene però pagata individualmente soltanto da Franco Giordano. È stato notato un po' da tutti, alla fine di questo percorso è il segretario del paradossi: dell'assemblea delle minoranze e ministro antigovernista. Ha cercato di comporre una paziente tela con culture politiche, storie, appartenenze incociliabili sulla base di un'unica piattaforma: diventare segretario.

C'è chi ha evocato, per l'occasione, il voto utile: utile per mandare a casa Vendola Il voto utile è stata una ricerca di mesi. Ma dentro Chianciano non è stato voto utile, è stato l'allargamento politico, la costruzione di una piattaforma politica che tenesse insieme Falce e Martello, Ernesto, la piattaforma di chi detesta la sola idea della Sinistra Europea con quella di chi pensa che bisogna immediatamente uscire da tutte le esperineze di governo.

Che altro c'è in questa piattaforma?

Un partito che assembla vari minoritarismi nel nome di un comunismo generico, retorico, urlato. Un comunismo che rompe con la storia di Rifondazione Comunista, un comunismo che produce una mutazione genetica dentro Rc, oltre al fatto che espelle dalla linea politica la mozione di maggioranza. È stata marginalizzata un'intera area politico-culturale che è stata quella che, attorno alla figura di Fausto Bertinotti, ha costruito anche la fortuna di questo partito.

Chì è stato minoranza, sino ad oggi, lamenta una mancanza di democrazia interna nell'era bertinottiana, dice di essere stato emarginato...

Nelle varie stagioni ci possono essere stati atteggiamenti sbagliati, come quelli incarnati, in perfetta buona fede, da quei compagni che sono gli interpreti più militari della linea politica... penso a Ramon Mantovani e alla violenza che ha sempre esercitato in tutti i momenti critici. Anch'io sono stato minoranza in questo partito, lo ha ricordato proprio Ramon. A dimostrazione del fatto che non sono proprio un bertinottiano duro e puro

A Chianciano c'erano ex bertinottiami duri e puri che sembravano però ferreriani convinti ...

Ho visto anch'io molti bertinottiani duri e puri di tutta la vita, diventare i protagonisti della guerra iconoclastica contro Fausto. Estremisti dell'ultim'ora. Taluni compagni delle posizioni più minoritarie oggi criticano l'elettoralismo e l'istituzionalismo. Ho visto molti sottosegretari e sottosegretarie mancate o candidati mancati, capovolgere d'amblé gli antichi convincimenti, diventare quasi teorici della dittatura del proletariato.A proposito di elezioni.

I giornali titolano: Rifondazione spaccata. Gli amici del bar chiedono: ma alle europee che succede?

La fenomenologia dei nostri comportamenti non merita di essere descritta come un gigantesco gossip autodistruttivo ma sia pure nella sua carica di degrado, questo fenomeno di autocannibalismo è molto indicativo del problemi, delle malattie della sinistra e propone al Rc un campo di ricerca autocritica impegnativo. Quando non c'era questa contesa così aspra, quando ancora non c'era, mi sono permesso di dire che c'è un tema tra di noi, oltre che nella costruzione della poltica e dell'immaginario, che dobbiamo proporci: il tema dell'odio. Odio come struttura della struttura della costruzione del discorso, della retorica, della emotività. Di una parte che noi intendiamo rappresentare. E l'odio è stato seminato al di là di qualunque ragionevolezza.

Per esempio?

Non abbiamo drogato il tesseramento; è documentabile dove ci sono stati i picchi del tesseramento. Noi consideraiamo la partecipazione del corpo largo del partito un fatto positivo, mentre consideramo che la politica desertificata, dei piccoli numeri, di intere province in cui votano pochi compagni, come il simbolo di una residualità . Ho il dovere di dirlo ai compagni. Mi è stata attirbuita l'intezione di sciogliere il partito o di portarlo nell'alveo del Pd. Mi è stato attribuito il ruolo di evocatore di una sorta di Bolognina, ma io fui il primo a reagire pubblicamente alla Bolognina con un articolo sul manifesto: "Caro Pci, non capisco e non mi adeguo".

Nascerà un'area : "Rifondazione della sinistra". Tra le aree sarà decisamente quella maggioritaria e che rapporto avrà con il resto delle aree in questa geometria assai variabile del partito?

Vedi, tra noi e l'area assemblata per dare una piattaforma e un governo a questo partito ci sono degli abissi. Differenze culturali e politiche. Segnalo un punto che è emblematico. Secondo i compagni dell'attuale maggiornaza più che con la vittoria della destra dobbiamo fare i conti con la sconfitta della sinistra. Prevale l'elemento della sconfitta, dunque, per incapacità politica e organizzativa. Questa lettura contiene la vocazione alla sconfitta, ama la sconfitta, la cerca come la propria culla. È incredibile, non coglie minimamente la mutazione antropologica che sta dietro alla vittoria elettorale della destra. Non coglie l'elemento inaudito di egemonia culturale e di radicamento sociale di queste destre. Non sa leggere. Ed esce da questa analisi minimalista con una prospettiva che è assolutamente una regressione al mito dell'organizzazione, al volontarismo soggettivistico, persino alla diffidenza nei confronti della teoria, della cultura. Odio maniacale nei confronti della poesia.

Troppa complicazione intellettualistica nella lotta di classe?

Nella nuova versione di Paolo Ferrero la lotta di classe è semplicemente lotta del basso verso l'altro. Come dire che da Spartaco alla Fiom è tutto uguale. Francamente l'idea di rimettere in piedi un partitino anni Settanta, minoritario, nel deserto, nella solitudine di una sinistra smarrita sulla strade della diaspora, è una idea sconvolgente. E io lo posso dire con sincerità, perché una volta morto il Pci mi sono battutto perché nessuno si illudesse nella prospettiva della resurrezione di un cadavere. Ma io non è che credevo che non si potesse rifare il Pci perché si dovesse fare Dp!

E ora, che succede? Diciamo che per quanto possa sembrare ancora presto, la domanda però è quella che circola con più insistenza?

La Rifondazione comunista che io ho contribuito a creare, è morta, seppellita a Chianciano. Il danno è profondo e durevole. Sappiamo però che energia possa catalizzare Rc e per me resta una leva decisiva per la ricostruzione di una prospettiva di riforma intellettuale e morale. Punto i piedi qui. Qui mi fermo.Rifondazione è sempre stata il luogo del mio senso e del mio dissenso. Dicendo a tutti i compagni e le compagne che hanno sostenuto la mozione 2 che abbiamo accumulato un patrimonio di ricerca politica e di solidarietà umana, anche nell'esercizio del limite: fermarsi un attimo prima che la vis polemica schiudesse la porta del baratro. Non è consentito abbandonare adesso. Abbiamo il dovere di tenere aperta una prospettiva per Rifondazione comunista. Lavoreremo per contrastare qualunque prospettiva di afasia, qualunque stategia che uccida la prospettiva politica nella retorica di un ritorno ad un sociale largamente sconosciuto. Dobbiamo fare tessere, portare pezzi di popolo in questo partito. La battaglia sarà a viso aperto. Non ci sono vendette, non c'è da segare il ramo su cui è seduto Ferrero. Dobbiamo ricostruire processi partecipati nei territori, un cantiere che rigeneri la sinistra. Far vivere il nostro punto di vista di comunisti come un punto vivo. Quando il comunismo diventa la putrefazione del pensiero è un guaio. Perché c'è bisogno di una lettura che colga la radice dei fenomeni sociali. C'è bisogno di ricostruire analisi e orizzonti.

29/07/2008

lunedì 28 luglio 2008

Rifondazione per la Sinistra.

In Italia c’è un grande bisogno di opposizione. Il governo Berlusconi sta dando vita, attraverso ogni suo quotidiano atto, ad una forma di “regime leggero”, ottenuto dall’impasto tra politiche populiste, liberiste ed autoritarie.
Oggi è in atto un attacco alle condizioni di vita di milioni di donne e di uomini, ai diritti dei lavoratori (a partire dal contratto collettivo di lavoro), all’uso sistematico della dichiarazione di emergenza contro i migranti, i rom, le lotte ambientaliste.
C’è bisogno di opposizione, ma essa manca poiché non c’è una sinistra capace di darle vita. L’attuale opposizione presente in Parlamento non è in grado di esercitare una azione efficace, o perché essa è muta socialmente (come nel caso giustizialista dell’Italia dei Valori) o perché non ha i fondamenti necessari per costituirsi come opposizione sociale nel paese. È il caso del Pd, nato esclusivamente in funzione del governo e quindi incapace di agire l’opposizione come terreno della rilegittimazione della politica di massa.Il compito di Rifondazione Comunista è quello di contribuire a ricostruire l’opposizione nel paese. Vanno riprese le lotte e il conflitto sociale, la tessitura di relazioni e l’individuazione di un progetto di alternativa di società. Va rigenerata la sinistra di questo paese, in un processo di ricostruzione paziente che è fatto di reinsediamento sui territori, di alleanze con soggetti sociali organizzati, di inclusione e partecipazione di donne e uomini che sentono l’urgenza e la necessità dell’azione di una nuova sinistra in Italia.
Bisogna costruire una vasta e ricca mobilitazione permanente, una opposizione plurale, civile e sociale, alle destre. È il primo compito di Rifondazione, anche nella contesa con il Pd, dentro il suo insediamento elettorale, tra il nostro popolo.
Le stesse elezioni europee non possono essere un banale terreno di rivincita, ma la prosecuzione delle lotte della sinistra continentale nel nostro paese, che deve raccogliere e capitalizzare l’opposizione al modello europeo che si è venuto costruendo, quello delle banche e delle tecnocrazie. Il nostro è e rimarrà un europeismo popolare e di sinistra. Per questo ribadiamo la nostra adozione del programma comune che, per la prima volta, rappresenterà l’intero Partito della Sinistra europea nella prossima competizione elettorale.
Per questo motivo Rifondazione comunista ribadisce l’impegno a presentarsi autonomamente con il proprio simbolo e con il programma della Sinistra europea, impegnandosi a riformare nel prossimo Parlamento europeo il Gruppo della sinistra unitaria (Gue-Ngl).
Bisogna tornare nella società, non fuggendo dalla politica, anzi criticando in radice qualunque sciagurata ipotesi di autonomia del sociale e di autonomia del politico. Il politicismo è una prigione. Ma l’esodo dalla politica è la rinuncia al cambiamento.
In questo quadro è indispensabile il ruolo, autonomo e combattivo, delle forze sindacali. Contro il sindacato, inteso come struttura basilare della coalizione dei lavoratori, si sono mosse pesantissime azioni di delegittimazione da parte del Governo e di Confindustria. Tante sono, tuttavia, le responsabilità oggettive e soggettive di tale indebolimento. Va ricostruita la sinistra, anche perché senza di essa, senza la sua azione politica e sociale, la stessa azione del sindacato ne viene indebolita. Oggi, più di ieri, ci sarebbero tutte le ragioni per l’indizione di uno sciopero generale: dalla catena di omicidi bianchi sul lavoro alla politica antisociale del governo. Le condizioni affinché lo sciopero generale ci sia vanno costruite da molti attori sociali e politici, noi tra questi. A tal fine consideriamo fondamentale la ripresa di un’iniziativa che rafforzi la sinistra sindacale, per l’opposizione e per la battaglia contro le politiche concertative di questi anni. Le forze sindacali, autonome ed indipendenti dai partiti e dalle forze padronali e di governo, partecipano in maniera decisiva alla ricostruzione di campo più ampio ed efficace della sinistra.
Ma la sinistra è un progetto innanzitutto di popolo. Di un popolo che può e deve trovare voce e rappresentanza nella società italiana. Esso si è, nel corso degli anni, organizzato in molte forme, dalle associazioni al volontariato, fino alle forme di autorganizzazione di lotte sociali ed ambientali. Tale esperienze, molto ricche e feconde, sono una base di un possibile ripopolamento di un tessuto democratico logorato dall’egemonia del pensiero e delle idee della destra.
Occorre una opposizione capillare fatta di mobilitazioni molteplici, capillari, decentrate e democratiche, fino a prevedere mobilitazioni generali che impegnino il partito a farsene interprete e protagonista, insieme a associazioni, forze politiche, movimenti e singoli individui che non si rassegnano alla condizione presente.
La nostra piattaforma è quella che lotta per i diritti sociali e quelli civili, per le libertà e le garanzie, per la difesa della Costituzione repubblicana e per una nuova idea di “beni comuni”, per la pace e per la giustizia sociale in ogni parte del mondo (a partire dalla organizzazione delle prossime mobilitazioni contro il G8 del 2009 in Italia e dall’impegno contro la Nato e per il ritiro delle truppe italiane dall’Afghanistan).
Difesadel contrato collettivo nazionale, aumento del potere d’acquisto dei salari, salario sociale, politiche contro la disoccupazione e la precarietà, iniziative per una politica di rilancio del Mezzogiorno, estensione e promozione del welfare pubblico, piani per l’edilizia popolare, rilancio della scuola e dell’università pubbliche, diritti rivendicati dai movimenti lgbtq contro la discriminazione e per una nuova cittadinanza, difesa intransigente dei diritti di cittadinanza dei migranti, politiche ambientali (a partire dal no alla Tav e all’energia nucleare). Sono solo alcuni dei nostri obiettivi prioritari in questo contesto. L’alternativa di società è per noi sempre più indispensabile.Dalla sconfitta per ricostruire
Rifondazione comunista è oggi di fronte al compito più difficile dalla sua nascita. La sconfitta del 13 e 14 aprile è stata di dimensioni storiche. Una sconfitta prevedibile, ma non scontata. Nelle elezioni scorse la vittoria delle destre è apparsa come l’esondazione di un’acqua scura lungamente accumulata negli anni. La destra ha vinto nella società, prima ancora che nella politica. Noi siamo chiamati ad una ricollocazione strategica.
Gli anni dell’esperienza del governo dell’Unione sono risultati fallimentari. Non abbiamo inteso quanto fosse improba la nostra richiesta di rendere “permeabile” il governo dall’azione dei movimenti sociali. Non siamo stati all’altezza di padroneggiare la congiuntura e chiederci il perché del governo, oltre ad essere stati del tutto inefficaci nell’azione concreta del come governare. La concreta forma del Pd ci fa dire che è impossibile un accordo organico per il governo del paese. E’ quindi sbagliata la proposta della costruzione di un nuovo centrosinistra. Va fatto un bilancio senza sconti alla concreta evoluzione di quel progetto ed della compatibilità nostra con esso.
Il nostro rapporto con il Pd non può che partire dall’autonomia progettuale e politica del nostro partito ed è indispensabile proporsi ad esso in alternativa rispetto al suo progetto strategico. In ogni caso, data la nostra presenza in tante esperienze di governo locale (che vanno governate in primo luogo dalle decisioni dei livelli territoriali corrispondenti) ed in vista delle prossime competizioni amministrative, va tratto un giudizio da tali esperienze per il futuro, che costituisca la base per un rilancio della nostra efficacia dentro le istituzioni a tutti i livelli. Tracciare un bilancio politico amministrativo ci serve per dispiegare a pieno la nostra forza politica, facendo della critica alle politiche liberiste e della questione morale i nostri pilastri fondamentali. In questo nuovo quadro l’azione a livello locale deve poter essere occasione per creare spazi di controtendenza, senza cedere a logiche di generalizzazione di giudizi o di autoesclusioni. Ma è indubbiamente necessario che le differenze culturali e programmatiche si manifestino in modo chiaro e percettibile.
Il nostro rapporto con le altre forze organizzate della sinistra non può che partire dal bilancio sull’esperienza della Sinistra,l’arcobaleno. Essa è stata un fallimento e riteniamo non più riproducibile quel modello di cartello elettorale. Tuttavia è nostro interesse rilanciare forme di collaborazione nel quadro più ampio della sinistra, declinando però l’invito che ci è stato fatto dal congresso del Pdci di unificare le sole forze che si definiscono comuniste nel paese.
Dal fallimento del governo e della sinistra,l’arcobaleno dobbiamo estrarre la necessaria lezione per impedire che anche l’opposizione fallisca.
Il congresso, una tappa della rifondazione
Nel nostro congresso si sono confrontate posizioni politiche alternative fra loro, delle quali una ha conseguito l’ampia maggioranza relativa dei voti. Nessuna delle proposte politiche registrate nel dibattito congressuale, la costituente di sinistra, la federazione delle sinistre, il partito sociale, l’unità dei comunisti, la svolta operaia hanno conseguito la maggioranza assoluta dei consensi. Resta dunque aperto il campo della ricerca politica, che noi collochiamo nel quadro della ricostruzione e rigenerazione della sinistra.
Tale ricerca deve tener conto di una situazione mutata rispetto alla fase di apertura del dibattito congressuale. Il dibattito congressuale è stato aspro e teso, ma assai partecipato. Esso, in ogni caso, ci consegna materiali per una possibile ricostruzione unitaria del partito che poggi su basi politiche solide e di prospettiva e non sulla sommatoria indistinta di culture politiche e progetti strategici divaricati e tenuti insieme solo da una negazione, la negazione della storia stessa delle trasformazioni e delle innovazioni di Rifondazione comunista. Nella nostra storia è stata sempre la politica a guidare i nostri passi, non la gestione. Chi si prende la responsabilità di spaccare il partito in maniera dolorosa, lo fa contro gli interessi della nostra intera comunità politica.
Per questo riteniamo di dover “cercare ancora” e di lavorare ad un rilancio del progetto strategico di Rifondazione comunista, contribuendovi anche con un dibattito aperto e pluralistico, sulle basi teoriche delle nostre acquisizioni collettive: dalla riflessione sul pensiero della differenza e del femminismo, alla nonviolenza, passando per tutte le rielaborazioni dei concetti appartenenti alla cultura storica della sinistra. L’innovazione politica e culturale sono state la nostra tensione costante, iscritta nel nostro stesso nome: rifondazione. Abbiamo fatto questo percorso nell’elaborazione e nel vivo delle lotte di Genova e del movimento altermondista. Vogliamo continuare a farlo, nel vivo del rapporto con i movimenti sociali e politici del paese.
La nostra comunità è mortificata del risultato elettorale e scossa dall’asprezza dello scontro durante il congresso. La cura che dobbiamo ad essa non può che partire da una nuova stagione di apertura verso l’esterno, verso nuovi iscritti ed aderenti che ravvivino le nostre organizzazioni, troppo spesso esangui in tanta parte del paese.
Vogliamo che vi sia una nuova stagione di democrazia interna e di ripresa di percorsi partecipativi, nella formazione delle decisioni e nella individuazione degli organismi dirigenti. Gli stessi contributi della conferenza di Carrara debbono essere aggiornati ed estesi rispetto al bisogno di costruzione condivisa della nostra comunità.
Consideriamo la critica alla cultura maschile e monosessuata del partito un impegno prioritario, nella prossima fase, della nostra azione politica interna all’organizzazione.

Per una rifondazione della Sinistra. L'intervento di Nichi Vendola a Chianciano.

Siamo qui, insieme, segnati da tante nostre stanchezze, bisognosi di misurare tutta la lunghezza della nostra sconfitta, ma anche sfibrati dalla pesantezza delle nostre divisioni. Ma qui, insieme, nelle forme che la razionalità politica saprà suggerire, dobbiamo ritrovare il bandolo di quella matassa che si è ingarbugliata: disarmando le parole che hanno acceso l’odio e spento la politica, riannodando i fili spezzati delle relazioni personali, non occultando le diversità (di cultura e di strategia) ma esercitando coerenza rispetto all’idea che le diversità non sono una minaccia ma una ricchezza. Appunto, imparando a conoscerci piuttosto che a prenderci reciprocamente le impronte digitali, imparando a confrontarci tra noi non col metro delle nostre biografie e delle nostre pregresse appartenenze, bensì col gusto di metterci in gioco, di far vivere le sensibilità come preziosi punti di connessione con interessi e protagonisti sociali, di scambiarci esperienze ed idee: altrimenti anche la nostra democrazia interna sarà una saga di anime morte, non allargamento e arricchimento, non capire di più e sentire di più e raccontare di più, ma semplicemente contarsi, separarsi, mummificarsi in un correntismo che ci chiude in noi stessi e nelle nostre fissità. Non sto invocando il galateo né ponendo una pura questione metodologica: le forme della nostra convivenza dicono per intero la cifra della nostra cultura politica, ovvero della nostra capacità di attraversare il deserto della sconfitta, non per cercare un riparo, un’oasi ideologica o un bunker burocratico, ma per ritrovare un orizzonte di speranza per rimettere a punto una mappa e ridarci un orientamento, perché la nostra offerta di politica possa incrociare una diffusa domanda di senso.Non abbiamo perso solo noi, non abbiamo perso solo le elezioni. Abbiamo perso molto di più: un intero abbecedario civile, un universo di simboli e valori, persino una certa cognizione generale di ciò che è giusto e di ciò che è ingiusto. Abbiamo perso la sfida del Novecento: quella contesa di classe e di civiltà che ha trasmutato il lavoro da merce povera e sporca, da compravendita di braccia, da dimensione biologica e privata, in epopea di ribellione e dignità, in dimensione sociale e narrazione corale, in emersione di un popolo che perdeva le fattezze opache della plebe e assumeva il volto nitido del moderno proletariato delle campagne e delle città. Il lavoro, fondamento costituzionale della democrazia repubblicana, pietra angolare di un duraturo e contrastato processo di incivilimento, oggi sembra regredito a quel fangoso punto di partenza: mercificato, alienato, parcellizzato, spogliato di legami sociali, , sempre più povero di tutele, nemmeno più raccontato o rappresentato se non nelle sequenze mortuarie delle cronache degli incidenti. La solitudine operaia è il prodotto finale di questa scientifica frantumazione dei corpi sociali che crepano di liberismo, di precarietà, di concertazioni che concertano la resa, di corporativismo che hanno progressivamente spoliticizzato le questioni del salario, dell’orario, persino della disoccupazione. E’ la solitudine di chi trova più consolazione nella cocaina che non nel sindacato. I contratti atipici sono la tipicità del lavoro intermediato da un caporalato arcaico e ipermoderno, di borgata e planetario. La precarietà è il racconto generale del lavoro senza classe. E rimbalza dal recinto produttivo fin dentro ogni interstizio della vita, di quella nuda vita che galleggia nella società liquida, di quella vita subordinata e serializzata, magari di quella vita migrante che precipita fuori di metafora e nella società liquida letteralmente affoga. Solo il mercato è solido, è l’unica terra, l’unico orizzonte, l’unica neo-socialità che residua nel tempo dell’individualismo proprietario: individui proprietari forse di null’altro che di pulsioni al consumo. Se non posseggono niente sarà colpa delle mani agili di un fanciullo rom o sinti o extra comunitario o extra terrestre: tagliare quelle mani, ammanettarle, manipolarle, manometterle, sarà la fantasia punitiva e l’ideologia vendicativa da offrire alla platea vastissima dei proprietari senza proprietà e dei ceti mediocri. Il capro espiatorio è una dura incombenza sociale, lo individui e lo bracchi e lo sacrifichi a qualche dio non per sadismo spirituale ma per necessità economica: indicare un nemico rinsalda il senso di appartenenza alla propria comunità, consente di trovare un colpevole delle inquietudini collettive, nelle stagioni di crisi e recessione sposta il tiro del disagio proletario su bersagli sottoproletari. La guerra tra poveri torna come idea di governo della transizione: ma è ovviamente un governo di guerra, una epifania di ombre premoderne che ottenebrano il diritto e limitano i diritti mentre le garanzie di libertà perdono il proprio respiro universalistico e diventano volgari guarentigie per l’establishment.I ricchi e potenti invocano l’habeas corpus e non tollerano che le loro voci siamo intercettate, mentre per i poveri e per gli irregolari vale la dura lex che alla pena del vivere aggiunge pene supplementari, pene grondanti pedagogie autoritarie, pene senza delitto, castighi senza colpa: per punire i poveri e perpetuare la povertà per punire i disobbedienti ed eternizzare l’obbedienza. Se la precarizzazione della società alimenta un crescente dolore sociale, la risposta del potere sarà una produzione seriale di paure. La destra è una gigantesca fabbrica di paure. E dunque più precarietà comporterà più repressione, il mercatismo sarà accompagnato dal sorvegliare e punire di quella deriva securitaria che è già scritta dentro la nostra attualità politica. E la Chiesa ratzingeriana spaventata dai ritmi violenti della secolarizzazione, si ergerà a sua volta come magistero della paura: paura dei desideri, paura della soggettività femminile, paura della libertà. E la sua gerarchia si sentirà protetta dagli imprenditori politici del ciclo della paura che la ricambieranno appaltandole il privato sociale, anzi la privatizzazione confessionale del sociale. Quanto lontane suonano le parole della “Gaudium et spes” e che cesura radicale dalla temperie di quel cattolicesimo conciliare che si apriva alla storia e progettava una Chiesa compagna del mondo.Nel mappamondo della precarietà scompaiono modi secolari di produzione di socialità: la città si spezza in cumuli di periferie, anzi si generalizza la forma di periferia che storicamente rappresenta la sintesi mirabile dell’alleanza tra rendita fondiaria e speculazione edilizia; si vive in non-luoghi; si struttura una condizione di nomadismo coatto, il mito delle radici è la sublimazione retorica di uno sradicamento senza precedenti. Le comunità si aggrappano ai territori, mere astrazioni geografiche assumono la dimensione di piccole patrie, un microcosmo di terra e sangue offre surrogati di identità e persino alfabeti politici. In questi spazi volatili, in questi tempi senza memoria e senza futuro, le generazioni faticano a raccontarsi e a scambiarsi storie e sentimenti: i vecchi vengono delocalizzati come esuberi dell’economia domestica, i bimbi con i crediti e i debiti scolastici vengono ammaestrati al mercato e alla competitività, l’educazione permanente della gioventù è affidata alle veline e ai velinari. Su questo piano inclinato è scivolata la sinistra. I nostri riferimenti sociali non ci hanno più capito: loro perdevano reddito e certo non guadagnavano in servizi, e poi perdevano in previdenza e poi perdevano in Welfare, alla fine hanno perso anche la pazienza e si sono congedati da noi, dal liberismo temperato del centro-sinistra ma anche dalle intemperanze improduttive della sinistra radicale. Tra il governo Prodi e il Paese reale vi è stato un terribile cortocircuito di intelligenza sociale e di efficacia politica. E al vuoto che si andava formando a sinistra noi abbiamo opposto - bisogna dirlo anche se è facile dirlo con il senno di poi - non una grande costruzione corale, una disseminazione di cantieri, una rete di pratiche sociali e la incubazione nell’immaginario collettivo di un’idea, di un programma, di un sogno: no, abbiamo opposto la precaria convivenza di apparati e infine un cartello elettorale. Quella sinistra arcobaleno affogata nel diluvio di aprile. Mentre il Pd consumava tutte le sue eredità nella velleità di un’autosufficienza che in realtà indicava il compimento dell’esodo dalla storia del movimento operaio e il congedo (da destra) delle culture politiche novecentesche. E quindi non solo la destra ha vinto, ma noi abbiamo perso. La destra ha prima convinto e poi vinto, e non solo nelle urne, ma nei sogni e negli incubi dell’opinione pubblica: ha vinto contro le tasse e contro la casta e contro gli zingari e contro i trans, ha vinto contro i fantasmi del pianerottolo e contro la monnezza del sottoscala. Ha vinto la lingua della destra, un impasto di plebeismo piccolo-borghese e di perbenismo clericale che sintonizzano le veline di Mediaset con l’industria del sacro, l’Isola dei famosi con l’ampolla del Dio Po, le telefonate oniriche di Berlusconi con le piroette no-global di Tremonti. Questa destra gioca con disinvoltura estrema la partita dell’egemonia, costruisce parole e scenografie suggestive, “parla come mangia” e entra dritta nello stomaco popolare: ma le sue scelte di politica economica hanno il segno della ferocia classista, i salari e le pensioni languiranno a lungo nella foresta di Sherwood ma di Robin Hood non vi sarà traccia, i tagli alla spesa pubblica saranno una secca decurtazione di diritti e di servizi socio-sanitari. Benetton forse salverà Alitalia, ma il salvataggio al netto di migliaia di esuberi, lo pagherà con i rincari delle tariffe autostradali e il federalismo viene annunciato mentre il Sud viene saccheggiato di risorse finanziarie e persino delle prerogative di spesa dei fondi comunitari.Questo è lo scandalo contro cui scendere in piazza e ricostruire un blocco sociale di opposizione: non c’è bisogno di volgarità per opporsi, c’è bisogno di politica. Di una politica centrata su una incandescente questione di disuguaglianza e di ingiustizia sociale. Le leggi ad personam sono oscene, ma non sono più oscene delle norme razziali. O della voglia di mutare le regole di ingaggio per i soldati italiani impegnati in Afghanistan. O del ritorno al business nucleare. O della cancellazione delle sanzioni alle imprese che violano le norme sulla sicurezza dei lavoratori. Bisogna costruire una vasta e ricca mobilitazione permanente, una opposizione plurale, civile e sociale, alle destre. È il primo compito di Rifondazione, anche nella contesa senza sconti e senza anatemi con il partito veltroniano, discutendo e costruendo luoghi comuni con le altre forze della sinistra di alternativa, predisponendosi alla battaglia elettorale per le amministrative del prossimo anno. E preparandosi a far vivere le pure imminenti elezioni europee non come un banale terreno di rivincita, ma come la prosecuzione della lotta della “sinistra europea” che deve raccogliere e capitalizzare il disagio continentale verso il modello di unificazione dettato dall’Europa delle tecnocrazie e delle banche. Bisogna tornare nella società, non fuggendo dalla politica, anzi criticando in radice qualunque sciagurata ipotesi di autonomia del sociale e di autonomia del politico. Il politicismo è una prigione. Ma l’esodo dalla politica è la rinuncia al cambiamento. Se non concordiamo su questo, a che vale citare i classici o celebrare Gramsci?Un partito politico lo si può sciogliere in tanti modi. Per decisione soggettiva dei suoi gruppi dirigenti. Ma anche perché lo si lascia deperire, non lo si alimenta, non lo si ossigena. Io non voglio sciogliere il mio partito. Voglio che viva ma per vivere dev’essere sempre fedele al suo nome e dunque infedele ai richiami della nostalgia e dell’identitarismo: fedele al compito di rifondare. Se stesso, un’idea del mondo, una pratica della trasformazione. E di rifondare una grande sinistra di popolo. Vorrei un partito aperto, curioso, promotore di partecipazione, capace di ascolto, libero da quella boria che ci rende spesso accademici della chiacchiera. Vorrei in questo partito tenere vivo e costante il confronto sui pensieri lunghi, sugli orizzonti strategici, sapendo che il comunismo è un cammino impervio, che dovremmo imparare a seminare senza la fretta di guadagnare il raccolto, che dovremmo porre correttamente e con radicalità le domande a cui cerchiamo risposta: domande di senso, di qualità del vivere e anche del morire, di qualità del produrre e del consumare, domande sui nostri corpi sessuati e sulla grammatica degli amori, domande sui dilemmi della biopolitica e sulle ferite della biosfera, domande sulla violenza sublimata in potere e dal potere esercitata in regime di monopolio, disseminata attraverso i suoi apparati, perfino sacralizzata.In ciò che vi ho detto vi è la proposta di una ricomposizione della nostra comunità politica. Vi è una ipotesi di governo del partito sulla base di una piattaforma programmatica. Per me, in questa fatica congressuale, non vi è null’altro che non sia tutto intero il senso della mia militanza e della mia vita.

martedì 22 luglio 2008

Avellino: L'inchiesta de il manifesto.

di Astrit Dakli - il manifesto - sabato 19 luglio.
Quella di Astrit, credo, è una foto, volutamente, mossa, scattata al capoluogo irpino. E, come in tutti gli scatti in cui la messa a fuoco risulta, per chi conosce già il panorama, imprecisa lascia emergere con forza alcuni dettagli.
La città è quella, la gente, pure, gli spazi, anzi quegli interstizi di resistenza e di cittadinanza, a sinistra, sono proprio loro.
Il pezzo, uno scatto fotografico da "turista", agendo da un punto di vista altro riesce, comunque, a catturare alcune importanti verità, in una dimensione, se è possibile, ancora più vera, nonostante, o, forse, proprio grazie al fuori fuoco di alcuni elementi.
G.B.
IL CLUB DEGLI AVELLINESI RESISTENZE A SINISTRA NEL REGNO DI DE MITA

L'impegno politico nel cuore bianco della Campania, dove la maggioranza vuole ancora «morire democristina»: ci si ritrova in luoghi «privati», come «Zia Lidia social club», tra discussioni, film e libri per non rassegnarsi al dominio della destra e fronteggiare il declino dei partiti.
AVELLINO

Zia Lidia ha novant'anni, la voce ridotta a un mormorìo, le gambe che ormai non le permettono più di andarsene in giro. Di fatto è prigioniera del suo grande appartamento, dove un tempo abitavano in parecchi e ora invece vive lei sola, con una badante che la aiuta. «Sola», però, è un termine burocratico: in realtà zia Lidia sola non è per niente. Già da qualche anno ha scelto di aprire la sua casa e di trasformarla nella sede permanente di un club, un circolo politico-culturale fatto di amici e aperto a chiunque vi venga portato da uno dei soci. Nell'appartamento si proiettano film, si leggono poesie, si discute di politica: nel giro di tre-quattro anni, per buffo che possa parere, il Zia Lidia Social Club - e con esso la casa della signora - è diventato uno degli svincoli cruciali della sinistra avellinese, un luogo di incontro, iniziativa e comunicazione insostituibile. Non è l'unico, ovviamente: ci sono anche il bar Tony, la libreria Petrozziello, il negozio di dischi Ananas&Bananas, tutti in fila a pochi metri di distanza sul Corso principale della città, ormai pedonalizzato e teatro dello struscio serale - quando il tempo lo permette. Come la casa di zia Lidia, sono tutti luoghi di origine e perfino di aspetto vagamente «anni '70» nell'arredo semplice, un po' liso e demodé, così come nel contenuto merceologico: al bar non si ordinano cocktail alla moda ma bibite altrove quasi introvabili come il mix di aperol e cedrata, in libreria la selezione dei volumi esposti segue rigidi criteri qualitativi con poche concessioni al marketing imposto dai grandi editori, tra i dischi la parte del leone la fanno i vinili di jazz e classica. E i gestori sono tutti personaggi «importanti»: più giovani di una generazione rispetto a zia Lidia, ma come lei «a sinistra da sempre» e come lei decisi a giocare fino in fondo la partita, in sfida a ogni pensiero unico e a ogni senso comune dominante. Non è facile essere così, in una città come Avellino, da cinquant'anni feudo assoluto di Ciriaco De Mita e Nicola Mancino e democristiana nell'animo - tanto da rendere la vita complicata persino all'altrove dilagante destra berlusconica, che qui non ha mai sfondato alle amministrative. Solo nelle ultime politiche del 13-14 aprile la destra è riuscita a essere maggioritaria (non in provincia, comunque). Ma lo è stata più per le lacerazioni interne al Pd (contro il quale l'anziano don Ciriaco, escluso dalle candidature, ha presentato una lista propria, che non ha portato in parlamento nessuno però ha fatto danni seri all'elettorato) che per meriti propri. No, non è facile essere di sinistra qui, nonostante le tradizioni di lotta operaia e di impegno culturale e politico che in città risalgono ancora agli anni Cinquanta, e che in alcuni momenti hanno avuto qualche presa anche sul governo cittadino (l'ultima volta, alla fine del decennio scorso, con le giunte di centrosinistra del sindaco Di Nunno); però loro ci riescono benissimo: e anche con qualche successo commerciale, seppur faticoso. Tutti vivono il loro lavoro come una vera e propria missione educativa nei confronti dei giovani. Disobbedienza culturaleAntonio Petrozziello, per esempio, rivendica per la sua libreria (che appartiene alla sua famiglia dal '72 ma è attiva addirittura da fine '800) «un ruolo trasversale, di contatto tra aree diverse anche lontane tra loro, perché solo nella relazione con gli altri, nella comunicazione tra diversi, sta la radice dell'impegno culturale e politico». Così Antonio, che non nasconde affatto la sua vicinanza alla sinistra radicale, non ha paura di invitare per dibattiti e presentazioni di libri anche uomini di cultura vicini alla destra, purché si tratti di veri studiosi, non di personaggi da salotti tv. E cerca di coinvolgere i ragazzi che frequentano la libreria, promuovendo iniziative culturali. «A me piacciono le minoranze - dice - anche quelle interne ai diversi partiti, compresi i partitini della sinistra. E' tra queste minoranze che si trova lo spirito critico, la voglia di non essere ubbidienti...». Come lui anche Michele Campora, da 31 anni cerca di difendere il gusto per la buona musica dal diluvio commerciale che occupa le radio e le tv, e si ostina a parlare, spiegare, far ascoltare qualcosa a ogni giovane cliente. Alla porta accanto Antonio Capone, gestore del bar Tony, ricorda le lotte operaie degli anni '70-'80 - a un tiro di schioppo dalla città c'è Pratola Serra, con la fabbrica di motori Fiat, che all'epoca era la fabbrica dell'Alfa-Nissan «Arna» - e periodicamente cerca di dare lezioni di politica ai ragazzi che fanno tappa al suo bancone; «ma è inutile - brontola - sono bravi ma non possono capire cosa vuol dire far politica sul serio, come facevamo noi, ogni giorno a dar volantini ai cancelli, a lottare insieme alla gente che aveva dei bisogni seri...». E i partiti? Non dovrebbero essere loro a raccogliere e gestire le istanze politiche dei cittadini? «Qui abbiamo molti luoghi - quelli che hai visto e altri ancora - che rappresentano sacche di resistenza, spazi agibili scelti dalla gente», dice Rino De Vinco, un ragazzo già «veterano» di Genova 2001. «Purtroppo è difficile trovare questo spazio dentro Rifondazione, che pur è il partito di tutta questa gente che si ritrova altrove. E' un paradosso che delle case private siano vissute come luoghi pubblici, mentre dei luoghi pubblici come i circoli di Rifondazione sono gestiti come proprietà privata di pochi». Michela Mancusi, una delle più giovani anime del Zia Lidia Social Club, vede anche lei i partiti della sinistra - e in particolare il Prc, che in città ha la presenza maggiore - come «ambienti chiusi, dove ci si può inserire davvero solo se la pensi esattamente come loro. E per giunta ora sono anche divisi alla morte al loro interno, ognuno ha come nemico principale il suo compagno 'dell'altra mozione'. Noi siamo quasi tutti iscritti, ma è diventato davvero difficile stare lì dentro». C'è il fatto, che pesa, della marginalità istituzionale in cui le forze dell'Arcobaleno si sono ritrovate - dopo un periodo in cui nella giunta comunale c'era anche un rappresentante del Prc - adesso la giunta è tutta del Partito democratico (e di fatto in maggioranza composta di ex Dc, sotto l'incrollabile influenza di De Mita). Quella della sinistra radicale è una marginalità che produce impotenza politica e chiusura su se stessi, finendo con l'autoalimentarsi: in pratica, gli iscritti ai partiti arcobaleno finiscono col far politica altrove mentre i loro dirigenti elaborano strategie a volte discutibili, come la scelta di un giovane notabile, già in consiglio comunale con una lista civica di centrodestra, come candidato sindaco alle prossime comunali del 2009.Dentro il tunnelUn esempio tipico di questo distacco è rappresentato dalle ultime vicende urbanistiche cittadine e in particolare dalla «battaglia del tunnel», il sottovia che dovrebbe attraversare da nord a sud tutto il centro storico di Avellino, consentendone la pedonalizzazione. Un progetto che divide la stessa giunta Pd (gli assessori ex diessini ne vorrebbero una variante più lunga e completa, gli ex margheritini puntano invece a una variante con due grandi parcheggi sotterranei) e che è stato contestato rumorosamente da varie organizzazioni civiche. Tra queste in prima fila il Centro Donne, un'associazione ormai più che ventennale che ha sempre lavorato su temi culturali, più che politici o amministrativi. «Ma su questa faccenda abbiamo avuto un atteggiamento diverso», racconta Franca Troisi, una delle fondatrici. «Per la prima volta abbiamo messo le mani su una questione concreta, l'abbiamo studiata, discussa, ci siamo messe in rete con altri gruppi e associazioni, abbiamo comunicato con la città. E anche se non abbiamo ottenuto i risultati che volevamo, siamo cresciute molto. Be', su tutta questa storia abbiamo trovato sostegno e collaborazione anche a destra, mentre i partiti dell'Arcobaleno si sono distinti per assenza o, nel caso del Prc, assoluta incapacità di agire». Come che sia, i lavori del tunnel stanno andando avanti, sia pure a rilento e senza una chiara indicazione di quale sarà la variante finale.Altra vicenda che divide è quella dell'Eliseo: grande e pregevole edificio razionalista degli anni '30, già sede della Gioventù Littoria, poi cineteatro, caduto in abbandono e occupato alla fine degli anni '90 da un folto gruppo di ragazzi. Alla fine il Comune l'ha ripreso e restaurato (si trova proprio nel centro della città), ma non ha ancora deciso che farne, e l'edificio sta lì, transennato e chiuso, fra le pressioni della sinistra radicale (e in particolare dei giovani raccolti da Zia Lidia) che ne vorrebbero fare un luogo aperto e politicamente impegnato, e quelle opposte del Pd, che punta invece a trasformarlo in un museo del cinema. «Noi l'abbiamo chiesto in gestione per farne un centro multimediale - racconta Antonio Spagnuolo, presidente del circolo culturale ImmaginAzione - ma sappiamo già quel che ci diranno: prendetelo, ma non vi daremo neanche un euro di finanziamento. E senza finanziamenti, che possiamo fare?». Il circolo si considera erede dell'esperienza di Camillo Marino, intellettuale comunista avellinese fondatore nel '59, con Pasolini e D'Onofrio, del festival del cinema neorealista «Laceno d'Oro», ripreso nel 2007 dopo vent'anni di interruzione volontaria, dovuta ai tentativi di appropriarsene da parte di alcuni leader politici locali.

martedì 15 luglio 2008

Sinistra e femminismo.

di Giuseppina Buscaino - Intervento al Congresso provinciale del PRC-SE di Avellino -
“Non c’è sinistra senza femminismo” se vogliamo che il principio della democrazia di genere e la critica delle strutture patriarcali si realizzino in una pratica politica adeguata.
E’ fondamentale per la sinistra il rapporto con il femminismo, che ha profondamente rivoluzionato il modo di intendere la politica stessa. Esso ha dunque carattere fondativo per la nuova sinistra. La liberazione dall’oppressione sessista, dalla divisione sociale del lavoro, dal familismo sarà opera delle donne stesse, che avranno bisogno del contributo maschile, contributo che gli uomini possono dare mettendo in discussione se stessi.
Affrontiamo questa questione perché Rifondazione comunista è stato e continua ad essere un partito fortemente segnato dai limiti tradizionali della politica maschile.
Come può un partito organizzato verticisticamente accogliere e comprendere il pensiero delle donne? E, di seguito, capire come porsi in relazione con le soggettività emerse negli ultimi anni: Gay, lesbiche, trans, ma anche immigrati con culture diverse…Entrare in relazione vuol dire essere disposti a farsi mettere in discussione. Se sono all’interno di una struttura che mi impedisce di “ascoltare” “vedere” come potrò, onestamente, essere disposto a cambiare?
Come si è detto ripetutamente, il fortino politico identitario dovrà essere scardinato dagli apporti di chi si è tenuto o è stato costretto ai margini.I desideri, i progetti, le istanze periferiche dovrebbero modificare e ricentrare il centro. Nel partito si è presentato un ostacolo serio e cioè la mancata innovazione del suo modello di organizzazione, malgrado la sollecitazione forte che è venuta dall'esperienza delle donne. E' mancata la sperimentazione del passaggio da una struttura verticale, piramidale, ad una struttura orizzontale, a rete, capace di esaltare il saper fare, il fare società, i processi di socializzazione, la partecipazione, il valore dell'esperienza e della persona. Non abbiamo bisogno di un dibattito che conduca ad una semplice ristrutturazione dell’apparato dirigente del partito, adesso è il momento delle scelte e delle azioni concrete per la modificazione. Anche nel nostro partito come nella società le donne vivono situazioni che inducono l’interiorizzazione della subalternità che spinge ad adeguarsi a modelli poco apprezzabili, ma visti come inevitabili. Le donne spesso non vogliono avere ruoli di responsabilità perché a volte il pregiudizio sulle donne è dentro le donne stesse oppure le compagne sono oberate di responsabilità familiari. Per affermare i diritti delle donne, le donne devono essere se stesse, senza pregiudizi dentro di sé. Crediamo a questo punto che se i compagni credono nell’uguaglianza allora devono valorizzare le compagne ed aiutarle ad inserirsi. Nella nostra federazione ci sono poche donne, noi vorremmo che valorizzaste queste compagne. Per fare in modo che ci sia un numero adeguato di donne che abbiano ruoli dirigenti nel partito, è necessario parlare delle quote rosa. Quote rosa” è un’espressione che è diventata di uso comune, a indicare la difficoltà delle donne a imporsi in ambito politico e sociale. Non è molto gratificante per una donna essere eletta per il rispetto delle quote rosa e non per meriti personali, ma non può esserci un'autentica democrazia finché le voci delle donne non saranno ascoltate. E l’unico modo per assicurare alle donne la partecipazione in numero superiore a quello attuale, sono le quote rosa. La nostra sfida in questi anni è stata la rifondazione del comunismo. Per essere soggetto politico della trasformazione non possiamo non essere soggetto politico in trasformazione. La questione di genere ci rivela che c’è una dicotomia nel nostro partito fra pratiche e parole. Tutti quanti parlano bene ma razzolano male. E’ questa l’altra faccia della nostra sfida: l’innovazione. Quella sfida ancora tutta davanti a noi, di saper portare la critica fin dentro il cuore delle nostre storie politiche e personali, mettersi in gioco, non provare nostalgie per le “rigidità” e le certezze del passato. Il comunismo non è un’identità né un’appartenenza, ma un processo di trasformazione molecolare che ci attraversa intrecciando la costruzione di percorsi di liberazione alla esposizione, alla contaminazione con l’altra e l’altro. Noi donne vogliamo superare le mozioni e vogliamo confrontarci con associazioni, con movimenti femministi sulla base di bisogni e desideri di esseri umani in carne ed ossa. Qui nella federazione di Avellino poiché le donne siamo poche non siamo molto in contatto con le associazioni che si interessano dei problemi delle donne. Crediamo che sia necessario che tutte le compagne della federazione si incontrino per discutere e per contattare associazioni come per esempio il telefono rosa. Vogliamo essere presenti nelle associazioni. Non vogliamo lasciare spazi a strumentalizzatori. Ad Avellino abbiamo avuto interessanti esperienze con il Centro donna, con lo zia Lidia Social Club e con Rosso Fisso con cui ci siamo organizzati per fare volantinaggi per informare la gente sulla violenza contro le donne e abbiamo organizzato un pullman per andare a Roma alla manifestazione.
Noi vogliamo esserci e contare, ma per essere incisive dobbiamo contattarci e discutere insieme e vogliamo incontrare anche donne che non sono comuniste, vogliamo interessarci di tutte le donne.
Noi abbiamo sempre battaglie da combattere. Siamo svantaggiate sul lavoro, i posti di potere sono esclusiva degli uomini, che ogni tanto ce ne cedono qualcuno, e in politica siamo poche. Anche la bellezza è un fattore discriminante: siamo giudicate in base all’aspetto fisico, talvolta anche dai compagni.
Oggi il problema più grosso è non riuscire a consentire alla donna di affermarsi professionalmente e avere anche una famiglia. O deve scegliere o è condannata a un doppio lavoro, difficilmente riconosciuto. Nel sud c’è il grosso problema della disoccupazione femminile.
Il femminismo esiste ancora ma è minacciato dalla competizione tra donne, portate a farsi la guerra perché hanno interiorizzato modelli maschili. E invece dovremmo unire le forze, per esempio per combattere il precariato dei giovani e tutelare la maternità. Gli asili costano e non tutte possono permetterseli.
Senza contare la difficoltà per una neomamma di ottenere il part-time. Tante donne rinunciano ai figli per questi motivi, non per leggerezza, come teme la Chiesa con il costante tentativo di strapparci conquiste fatte trent’anni fa come la 194. Bisogna avere la forza di rivendicare la parità, al di là dei pregiudizi.
Noi non vogliamo costruire un ghetto di donne separate dal mondo degli uomini che lottano per difendere diritti esclusivamente femminili. I problemi delle donne sono anche, in maniera imprescindibile, problemi degli uomini. La nostra lotta è una lotta di civiltà che deve coinvolgere gli uomini in prima persona mediante l’abbandono di ogni forma di settarismo. Vogliamo costruire un partito fondato sulla parità. Alle logiche guerresche della politica e di una società tutta declinata al maschile opponiamo la forza della delicatezza.

domenica 13 luglio 2008

www.rossofisso.org


Da qualche giorno è finalmente on-line il sito di RossoFisso.


*
RossoFisso è un’associazione di promozione sociale. Crediamo che la costruzione di un’alternativa culturale, sociale e politica debba poter nascere e svilupparsi a partire dalle piccole cose, dal vissuto quotidiano di ognuno di noi. Vogliamo agire con trasparenza, democraticamente, all’interno di tutti quei processi di movimento che pongono al centro una diversa qualità della vita, del lavoro, della produzione e della distribuzione. Ci sentiamo coinvolti rispetto a tutto quello che ci accade intorno e, per questo, rivendichiamo il diritto a partecipare. Vogliamo contribuire a mutare la qualità della politica, della democrazia e del potere, nella consapevolezza della necessità di aprire nuovi spazi entro cui intelligenza, sensibilità e corporeità possano esistere come rinnovati agenti della trasformazione. La nostra iniziativa si costruisce all’interno delle lotte per la pace, nell’antifascismo, contro il razzismo, per la democrazia, la giustizia sociale, il femminismo, l’ecologia ed i nuovi diritti. Siamo donne ed uomini, ragazze e ragazzi, ed avvertiamo forte, sopra e dentro di noi, il peso del tempo presente. Conosciamo la cifra del nostro vissuto quotidiano fatto di quella precarietà che la globalizzazione e le politiche neoliberiste hanno elevato, specie per le nuove generazioni, a dimensione esistenziale. RossoFisso, quindi, è una spia luminosa, più o meno sempre accesa, nel lungo percorso di questa generazione. Una piccola luce che ci indica la necessità di trovare del carburante nuovo per proseguire il nostro viaggio in un mondo in cui le idee, per fortuna, costano meno della benzina, ma, immensamente, valgono di più.

La rifondazione, la sinistra, la società: Niente è immutabile.

di Giuseppina Buscaino
Alcuni compagni hanno bisogno di trovare colpevoli dentro al partito, ma la realtà dei fatti è molto più complessa e Bertinotti ce lo aveva anticipato già nel luglio 2007 in “Alternative per il socialismo” aveva detto: “La sinistra in Europa si trova oggi di fronte alla sfida più difficile della sua storia: quella dell’esistenza politica. Non è solo come è successo tante altre volte , il rischio della sconfitta, dello scompaginamento, di un duro ma temporaneo ridimensionarsi della sua forza: quel che si affaccia è l’orizzonte di un vero e proprio declino”.
Rossana Rossanda lucidamente aveva parlato all'inizio della campagna elettorale della sfida, per la Sinistra l'Arcobaleno, consistente nel portare a casa la pelle. La crisi era evidente, il rischio di scomparsa era, drammaticamente prevedibile.
Se non ci fossimo candidati per andare al governo, nel 2006, non avremmo preso il 7% e poi l’essere stati al governo, un governo che nonostante la sinistra antagonista avesse più del 10%, ci ha ignoranti facendo vincere e comandare persone come Dini. Noi ci troviamo comunque in una situazione difficile. Siamo criticati perché troppo moderati e perché troppo estremisti se vogliamo fare cadere il governo, e in tutto questo abbiamo avuto difficoltà nel raggiungere le persone e nel riuscire ad essere incisivi in un mondo in cambiamento.
In pochi anni l’evoluzione storica ha prodotto nuove situazioni e nuovi problemi sociali. Se certe mutazioni prima avvenivano in molti anni, oggi basta poco tempo, c’è stata un’accellerazione dei cambiamenti sociali , una mutazione rapida dei problemi, una frammentazione che ha cambiato profondamente la società.
Oliviero Bea ha scritto un libro in cui parla del declino dell’Italia e della tristezza dei suoi abitanti. La situazione è grave, questo Berlusconi mi sembra addirittura più pericoloso dei precedenti Berlusconi e all’opposizione c’è un Pd che non è in grado di contrastare la barbarie che avanza. Quindi le ricette semplici come il ritorno nel fortino non mi convincono, scelgo la complessità e la contaminazione. Bisogna darci, e soprattutto dare al Paese, motivi di speranza, che solo dalla sinistra possono provenire, per un modello sociale e politico di società diverso, per un modello di sviluppo economico diverso, fondato su quelle che sono le ragioni di esistenza del nostro partito e delle nostre varie associazioni e movimenti, di questo universo plurale che vuole diventare un soggetto unitario che abbia la forza di affermare le ragioni della pace, dell'uguaglianza, della giustizia sociale, dell'equa distribuzione, della legalità, dell'ambientalismo, dell'importanza e del rispetto delle diversità, della dignità della persona, del lavoro, dei lavoratori e dei loro diritti.
Dobbiamo rifondare un partito non strutturato su vecchi modelli, un partito in cui ci sia più democrazia, un luogo per discutere, elaborare e confrontarsi, per far partecipare e decidere democraticamente tutte le persone che ne fanno parte.L’identità è importante, ma attenzione all’identità, all’affiliazione come strumento “assoluto” della propria identità. L’affiliazione è un processo affine a quelli religiosi e/o settari, oggi rinvigoriti dalla crisi di civiltà e dalla crescita dei fondamentalismi. Ma se è vero, come dice Amartya Sen, che “l’identità può anche uccidere , uccidere con trasporto”, è vero allora che una delle priorità che questa fase ci consegna è proprio la liberazione dall’assolutismo identitario: ovvero la ricerca e la pratica di quella identità molteplice, ricca, nell’era della complessità. La questione che si pone è che per alcuni: riformisti e rivoluzionari siano inconciliabili.
Un editorialista della Stampa Luigi Spina Dice: “i riformisti di Margherita e Ds non possono fare finta di aver perso quando non hanno mai combattuto, se non tra loro”. E poi aggiunge: “Sono più riformatrici le sinistre radicali oggi che i riformisti”. Questa dicotomia fra riformisti e rivoluzionari, io credo che non esista oggi. Il punto è che ci siano riformisti che veramente vogliano cambiare la società in favore dei più deboli per creare pari opportunità a tutti. Allora il punto dirimente è che ci siano persone nella sinistra che veramente vogliano operare questi cambiamenti. Fino ad adesso il riformismo è servito per fare delle controriforme come per esempio cancellare lo stato sociale e quando sento parlare di riforme mi vengono i brividi. Quello che distingue gli Sd dal Pd è che gli Sd si considerano socialisti quindi appartenenti alla nostra tradizione e i Pd liberali, tradizione estranea a noi ed anzi facente parte di una dottrina politico-economica opposta alla nostra. E’ vero gli Sd hanno fatto un cammino diverso da noi, ma abbiamo cinque anni di tempo per discutere e credo che possa venirne qualcosa di buono. E così sarebbe più ampia la possibilità per la sinistra di uscire dalla minorità. Il rischio è, tante sinistre divise e senza voti e senza capacità di rappresentanza.

Ciò che ha cambiato la nostra società è il modello americano che ha inciso molto nella globalizzazione. La globalizzazione neoliberista non è un fenomeno improvviso e accidentale, ma il risultato di consapevoli scelte politiche, adottate e imposte nel corso di alcuni decenni.
Alla base del neoliberismo c’era - e c’è - l’idea che lo Stato debba intervenire il meno possibile, che le leggi debbano esser di tipo negativo, che indichino cioè tutto quello che non deve essere fatto, e che la libertà economica possa essere messa sullo stesso piano di tutte quelle libertà - di religione, d’espressione, etc - faticosamente conquistate a partire dal diciassettesimo secolo. Tale libertà, inoltre, viene intesa come la possibilità di usare a piacimento il proprio potere economico, senza tener conto della distanza che separa chi gode di quella libertà perché è ricco e chi invece non può disporne perché povero. In questo modo si progetta una società totalmente individualistica, in cui non è più lo Stato, ma è il mercato a decidere ciò di cui la gente ha bisogno.
Questo tipo di società produce disuguaglianze e quindi ci sono solo due opzioni: modificare il sistema, oppure ritrovarsi con molta gente inutile, dal punto di vista lavorativo.
Nella fase attuale del capitalismo è intervenuto un cambiamento importante: se i marxisti criticavano lo sfruttamento, oggi invece dovremmo criticare soprattutto l’esclusione. Non è un caso che il consolidamento di questo capitalismo sia proceduto di pari passo con lo smantellamento del stato sociale e del sistema keynesiano di tassazione e distribuzione della ricchezza, mirato proprio all’inclusione. Tutto questo di cui ho parlato si è insinuato nella nostra società e la sinistra non è riuscita ad impedirlo, il nemico era troppo forte e ben organizzato. La vittoria del capitalismo presuppone la distruzione delle soggettività politiche che si sono opposte ad esso.
Ci aiuta a capire le ragioni della sconfitta l'analisi dei vincitori, l'analisi della destra italiana. E' già stata chiamata la Nuova destra. Non credo impropriamente; essa ha mostrato una forza propria considerevole, una presa dura e originale con la modernizzazione che investe la società italiana. Non l'eredità del fascismo, non l'assolutizzazione dello stato nazione e neppure il liberismo. L'ingresso della destra nella modernizzazione, l'ha deideologizzata, consentendole di recuperare poi pezzi e tracce delle diverse tradizioni della destra e di ricomporle in una politica definita proprio sulle risposte da dare alla crisi sociale e politica e istituzionale provocata dalla stessa modernizzazione. Non fascista, ma in grado di usare elementi di quella cultura e della sua eredità nel coltivare l'avversione dura e prepotente ad ogni diversità specie quando l'insicurezza si tramuta in paura e la figura del capro espiatorio può servire per combattere le proprie paure.
Non più la patria-nazione, ma un pragmatico uso del territorio, fino a comprendere persino la piccola patria delle leghe, per esorcizzare lo storico problema delle migrazioni di massa nel mondo globalizzato delle diseguaglianze. Neppure pienamente liberista perché non è d’accordo con i parametri di Maastricht ma vi aderisce pienamente per quel che riguarda il tema cruciale del rapporto lavoro-impresa-mercato fino a configurarsi come il partito dell'impresa (e della Confindustria). Tutto ciò è in sintonia con la scomposizione della società e la ricompone restaurando valori politici e sociali spacciandoli per nuovi, per la modernità.
I valori della resistenza vengono occultati e la nuova destra smette di essere minoritaria. Neppure i precedenti governi Berlusconi avevano risolto alla destra questo problema storico.
Adesso l’Italia è davvero entrata in una nuova era politica.
Bisogna risalire alla causa di fondo della sconfitta per affrontarla ed organizzarci per costruire una vera opposizione.
L'allargamento della democrazia e la sua apertura alla democrazia partecipata ha coinciso con l'ascesa della sinistra, così nella crisi della democrazia si consuma la crisi della sinistra e il suo crollo elettorale.
Il rapporto, quello delle diverse forze della sinistra radicale, con il governo Prodi è ciò che ha fatto traboccare il vaso della crisi della sinistra. Si sono moltiplicati i punti di rottura tra partiti e movimenti, tra la sinistra sociale e politica. La latente crisi del rapporto tra le istituzioni e il paese, dovuta alla mancata realizzazione delle attese riforme sociali è esplosa con la denuncia della casta. Siamo stati considerati al pari degli altri partiti che fanno solo demagogia per potersi assicurare la poltrona. L’elettorato si è sentito indifeso di fronte ai bassi salari, alla precarietà, all’incertezza e all’insicurezza del vivere. Purtroppo la sinistra non ha retto la difficilissima prova del governo Prodi e del discredito del sistema politico nel suo insieme.
Il Prc, in particolare da Genova in poi, aveva scelto, pur nel rispetto pieno delle autonomie e delle diversità di ruolo, un rapporto di scambio imprescindibile col movimento. Aveva operato profonde rotture e innovazioni nella cultura politica, fino alla scelta della nonviolenza dell’apertura ai movimenti e dell'esplorazione di nuovi linguaggi della politica e della partecipazione. Ma nel partito si è presentato un ostacolo serio e cioè la mancata innovazione del modello di organizzazione del partito, malgrado la sollecitazione forte che è venuta dall'esperienza delle donne. E' mancata la sperimentazione del passaggio da una struttura verticale, piramidale, ad una struttura orizzontale, a rete, capace di esaltare il saper fare, il fare società, i processi di socializzazione, la partecipazione, il valore dell'esperienza e della persona.
Sono d’accordo con Bertinotti quando a proposito dello stare al governo dice: “Io temo che l'allergia radicale al governo nasca anche dalla povertà di idee" e che "se non c'è un disegno forte, ad esempio quello di governare in modo alternativo la composizione di classe, se non c'è un'ambizione egemonica, si rimane incastrati nella tattica e si lascia agli altri uno spazio enorme". Non vedo, sul terreno di medio periodo, una risposta facile al problema. La risposta alle domande non verrà a breve; essa passerà, se sapremo trovarla, per nuove esperienze sociali e nuova ricerca politica. Quel che è certo è che questa esperienza di governo, quella del governo Prodi, ha fatto tracimare il vaso e la crisi ci ha investito frontalmente”. Vanno indagate le connessioni e i nessi tra condizione sociale e coscienza collettiva. Ci vorrà tanto, tanto lavoro d'inchiesta.Nel nostro paese permane una sinistra diffusa che non è stata cancellata dalla sconfitta elettorale. Esiste nei movimenti, nei sindacati, nelle reti solidali, nelle associazioni,, nei gruppi di donne, nelle espressioni del mondo cattolico che si sottraggono alla normalizzazione ratzingeriana. Non è in discussione lo scioglimento del Partito della Rifondazione Comunista. L’esperienza della sinistra arcobaleno mostra però il fallimento della formula della federazione. Una nuova sinistra non può nascere all’interno di forme vecchie. Per questo pensiamo all’avvio di una vera e propria costituente che si rivolga ai soggetti politici disponibili e alla sinistra diffusa sul territorio. Un processo che metta in comunicazione l’alto e il basso – esperienze locali e nazionali. Niente è immutabile – il Pci nasce dalla scissione del Psi nel 1921, nel 1989 dopo la bolognina il Pci cessa di esistere e nasce il Pds e una parte del partito fonda il Prc associandosi ad altre forze politiche di sinistra e adesso continuiamo la nostra rifondazione.
La sinistra deve ritrovare la sua funzione storica nella società. Nella difesa dei più deboli. Nella lotta alle povertà. Contro le ingiustizie. Deve ristabilire la connessione sentimentale con la sua gente. Dobbiamo rifondare un partito della sinistra che abbia la capacità di voler essere espansivo e non minoritario. Nuovo ed innovativo. Una sinistra libertaria.. Mettiamo da parte i personalismi,le correnti, i proporzionalismi e quant’altro.
Voglio concludere citando Brecht: "Ci dicono che il mondo è cambiato. Bene. Cambiamo il mondo cambiato."

martedì 8 luglio 2008

8 luglio contro il governo Berlusconi.

Il Movimento politico per la Sinistra aderisce alla manifestazione dell’8 luglio contro il governo Berlusconi e le sue scelte politiche in materia di giustizia, di economia e di lavoro, di scuola e di immigrazione.
Berlusconi, pur di sottrarre se medesimo dal normale iter dei provvedimenti giudiziari che lo riguardano, non ha esitato a aprire le porte a una potenziale crisi costituzionale, la quale avrebbe coinvolto Csm e presidenza della Repubblica, e che a fatica il presidente Napolitano ha cercato di evitare. Per di più Berlusconi non ha esitato a dichiarare nelle sue esternazioni sempre più rabbiose nei confronti della magistratura che sono il complesso delle istutizioni del nostro Paese che fanno da ostacolo alla sua azione di governo. Bisogna supporre, quindi, non solo la magistratura, ma il Parlamento, gli enti locali, la stessa Presidenza della Repubblica. Se si va avanti così si profila alle porte una vera e propria emergenza democratica.
E tutto ciò accade mentre il paese precipita in una spirale di inflazione e depressione, a causa della crisi internazionale, che ha fatto schizzare alle stelle tutti prezzi dei prodotti di prima necessità. Tante famiglie italiane a reddito fisso, che vivono di stipendi e pensioni, sono ormai sulla soglia della disperazione. E non si vede all’orizzonte, da parte del governo ma anche dell’opposizione presente in Parlamento, l’indicazione di misure efficaci capaci di fronteggiare questa situazione.

Sull’immigrazione e sulla sicurezza siamo di fronte a misure che creano sconcerto nell’opinione pubblica di tutta l’Europa, che chiama in causa l’intera politica sulla giustizia dell’attuale maggioranza, mentre nel silenzio generalizzato si è avviato un processo di smantellamento della scuola pubblica che non ha precedenti.
L’Italia non può aspettare. E’ necessario che, oggi e non in autunno, l’opposizione che è nel Paese si organizzi e faccia sentire la sua voce.
Sono queste le ragioni per le quali invitiamo tutte le associazioni che hanno aderito al Movimento nell’assemblea del 22 giugno al Piccolo Eliseo a organizzare la partecipazione alla manifestazione dell’8 luglio.
L’esecutivo del movimento politico della sinistra

Maria Luisa Boccia , Elio Bonfanti , Bruno Ceccarelli , Paolo Ciofi , Anna Cotone, Piero Di Siena , Antonello Falomi , Pietro Folena , Ciro Pesacane , Bianca Pomeranzi , Tiziano Rinaldini , Mario Sai

sabato 5 luglio 2008

ECCO LE NOSTRE IMPRONTE DIGITALI: CITTADINI DEL MONDO, SIAMO TUTTI ROM.

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SIT IN presso VILLA COMUNALE di AVELLINO
Domenica, 6 luglio, ore 10:00-13:00
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Prendere le impronte digitali ai bambini ROM è una misura barbara e razzista. Assumere i bambini innocenti e deboli come nemici è il segno di un disegno autoritario, vera metastasi del crepuscolo della democrazia.
Di più: ogni discriminazione alimenta paura, odio e insicurezza, esattamente il contrario degli obiettivi retoricamente annunciati.

Il censimento di una minoranza etnica in nome della sicurezza di tutti è solo un alibi per discriminare e reprimere: la storia plurisecolare insegna che censire le minoranze è sempre preludio di ghettizzazione, detenzione, caccia all’uomo, massacri, sterminio.

I diritti dell’uomo, di tutti gli uomini, non possono essere delimitati dai confini geografici, dalla lingua, dalla religione, dai costumi, dall’orientamento sessuale.

La sicurezza è accoglienza, scuola, casa, sanità, lavoro per chiunque, ROM o cittadino italiano. La sicurezza è certezza del diritto, del lavoro e sul lavoro. Affermare tali diritti per una minoranza o per lo straniero è una battaglia di civiltà per tutti.

Dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (ONU, a. 1948, artt. 1 e 2):
« Articolo 1 - Siamo tutti liberi ed uguali
Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.

Articolo 2 - Non discriminare
a) Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.

b) Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico internazionale del paese o del territorio sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità. »


Quaderni irpini, Gesualdo (AV)