domenica 13 luglio 2008

La rifondazione, la sinistra, la società: Niente è immutabile.

di Giuseppina Buscaino
Alcuni compagni hanno bisogno di trovare colpevoli dentro al partito, ma la realtà dei fatti è molto più complessa e Bertinotti ce lo aveva anticipato già nel luglio 2007 in “Alternative per il socialismo” aveva detto: “La sinistra in Europa si trova oggi di fronte alla sfida più difficile della sua storia: quella dell’esistenza politica. Non è solo come è successo tante altre volte , il rischio della sconfitta, dello scompaginamento, di un duro ma temporaneo ridimensionarsi della sua forza: quel che si affaccia è l’orizzonte di un vero e proprio declino”.
Rossana Rossanda lucidamente aveva parlato all'inizio della campagna elettorale della sfida, per la Sinistra l'Arcobaleno, consistente nel portare a casa la pelle. La crisi era evidente, il rischio di scomparsa era, drammaticamente prevedibile.
Se non ci fossimo candidati per andare al governo, nel 2006, non avremmo preso il 7% e poi l’essere stati al governo, un governo che nonostante la sinistra antagonista avesse più del 10%, ci ha ignoranti facendo vincere e comandare persone come Dini. Noi ci troviamo comunque in una situazione difficile. Siamo criticati perché troppo moderati e perché troppo estremisti se vogliamo fare cadere il governo, e in tutto questo abbiamo avuto difficoltà nel raggiungere le persone e nel riuscire ad essere incisivi in un mondo in cambiamento.
In pochi anni l’evoluzione storica ha prodotto nuove situazioni e nuovi problemi sociali. Se certe mutazioni prima avvenivano in molti anni, oggi basta poco tempo, c’è stata un’accellerazione dei cambiamenti sociali , una mutazione rapida dei problemi, una frammentazione che ha cambiato profondamente la società.
Oliviero Bea ha scritto un libro in cui parla del declino dell’Italia e della tristezza dei suoi abitanti. La situazione è grave, questo Berlusconi mi sembra addirittura più pericoloso dei precedenti Berlusconi e all’opposizione c’è un Pd che non è in grado di contrastare la barbarie che avanza. Quindi le ricette semplici come il ritorno nel fortino non mi convincono, scelgo la complessità e la contaminazione. Bisogna darci, e soprattutto dare al Paese, motivi di speranza, che solo dalla sinistra possono provenire, per un modello sociale e politico di società diverso, per un modello di sviluppo economico diverso, fondato su quelle che sono le ragioni di esistenza del nostro partito e delle nostre varie associazioni e movimenti, di questo universo plurale che vuole diventare un soggetto unitario che abbia la forza di affermare le ragioni della pace, dell'uguaglianza, della giustizia sociale, dell'equa distribuzione, della legalità, dell'ambientalismo, dell'importanza e del rispetto delle diversità, della dignità della persona, del lavoro, dei lavoratori e dei loro diritti.
Dobbiamo rifondare un partito non strutturato su vecchi modelli, un partito in cui ci sia più democrazia, un luogo per discutere, elaborare e confrontarsi, per far partecipare e decidere democraticamente tutte le persone che ne fanno parte.L’identità è importante, ma attenzione all’identità, all’affiliazione come strumento “assoluto” della propria identità. L’affiliazione è un processo affine a quelli religiosi e/o settari, oggi rinvigoriti dalla crisi di civiltà e dalla crescita dei fondamentalismi. Ma se è vero, come dice Amartya Sen, che “l’identità può anche uccidere , uccidere con trasporto”, è vero allora che una delle priorità che questa fase ci consegna è proprio la liberazione dall’assolutismo identitario: ovvero la ricerca e la pratica di quella identità molteplice, ricca, nell’era della complessità. La questione che si pone è che per alcuni: riformisti e rivoluzionari siano inconciliabili.
Un editorialista della Stampa Luigi Spina Dice: “i riformisti di Margherita e Ds non possono fare finta di aver perso quando non hanno mai combattuto, se non tra loro”. E poi aggiunge: “Sono più riformatrici le sinistre radicali oggi che i riformisti”. Questa dicotomia fra riformisti e rivoluzionari, io credo che non esista oggi. Il punto è che ci siano riformisti che veramente vogliano cambiare la società in favore dei più deboli per creare pari opportunità a tutti. Allora il punto dirimente è che ci siano persone nella sinistra che veramente vogliano operare questi cambiamenti. Fino ad adesso il riformismo è servito per fare delle controriforme come per esempio cancellare lo stato sociale e quando sento parlare di riforme mi vengono i brividi. Quello che distingue gli Sd dal Pd è che gli Sd si considerano socialisti quindi appartenenti alla nostra tradizione e i Pd liberali, tradizione estranea a noi ed anzi facente parte di una dottrina politico-economica opposta alla nostra. E’ vero gli Sd hanno fatto un cammino diverso da noi, ma abbiamo cinque anni di tempo per discutere e credo che possa venirne qualcosa di buono. E così sarebbe più ampia la possibilità per la sinistra di uscire dalla minorità. Il rischio è, tante sinistre divise e senza voti e senza capacità di rappresentanza.

Ciò che ha cambiato la nostra società è il modello americano che ha inciso molto nella globalizzazione. La globalizzazione neoliberista non è un fenomeno improvviso e accidentale, ma il risultato di consapevoli scelte politiche, adottate e imposte nel corso di alcuni decenni.
Alla base del neoliberismo c’era - e c’è - l’idea che lo Stato debba intervenire il meno possibile, che le leggi debbano esser di tipo negativo, che indichino cioè tutto quello che non deve essere fatto, e che la libertà economica possa essere messa sullo stesso piano di tutte quelle libertà - di religione, d’espressione, etc - faticosamente conquistate a partire dal diciassettesimo secolo. Tale libertà, inoltre, viene intesa come la possibilità di usare a piacimento il proprio potere economico, senza tener conto della distanza che separa chi gode di quella libertà perché è ricco e chi invece non può disporne perché povero. In questo modo si progetta una società totalmente individualistica, in cui non è più lo Stato, ma è il mercato a decidere ciò di cui la gente ha bisogno.
Questo tipo di società produce disuguaglianze e quindi ci sono solo due opzioni: modificare il sistema, oppure ritrovarsi con molta gente inutile, dal punto di vista lavorativo.
Nella fase attuale del capitalismo è intervenuto un cambiamento importante: se i marxisti criticavano lo sfruttamento, oggi invece dovremmo criticare soprattutto l’esclusione. Non è un caso che il consolidamento di questo capitalismo sia proceduto di pari passo con lo smantellamento del stato sociale e del sistema keynesiano di tassazione e distribuzione della ricchezza, mirato proprio all’inclusione. Tutto questo di cui ho parlato si è insinuato nella nostra società e la sinistra non è riuscita ad impedirlo, il nemico era troppo forte e ben organizzato. La vittoria del capitalismo presuppone la distruzione delle soggettività politiche che si sono opposte ad esso.
Ci aiuta a capire le ragioni della sconfitta l'analisi dei vincitori, l'analisi della destra italiana. E' già stata chiamata la Nuova destra. Non credo impropriamente; essa ha mostrato una forza propria considerevole, una presa dura e originale con la modernizzazione che investe la società italiana. Non l'eredità del fascismo, non l'assolutizzazione dello stato nazione e neppure il liberismo. L'ingresso della destra nella modernizzazione, l'ha deideologizzata, consentendole di recuperare poi pezzi e tracce delle diverse tradizioni della destra e di ricomporle in una politica definita proprio sulle risposte da dare alla crisi sociale e politica e istituzionale provocata dalla stessa modernizzazione. Non fascista, ma in grado di usare elementi di quella cultura e della sua eredità nel coltivare l'avversione dura e prepotente ad ogni diversità specie quando l'insicurezza si tramuta in paura e la figura del capro espiatorio può servire per combattere le proprie paure.
Non più la patria-nazione, ma un pragmatico uso del territorio, fino a comprendere persino la piccola patria delle leghe, per esorcizzare lo storico problema delle migrazioni di massa nel mondo globalizzato delle diseguaglianze. Neppure pienamente liberista perché non è d’accordo con i parametri di Maastricht ma vi aderisce pienamente per quel che riguarda il tema cruciale del rapporto lavoro-impresa-mercato fino a configurarsi come il partito dell'impresa (e della Confindustria). Tutto ciò è in sintonia con la scomposizione della società e la ricompone restaurando valori politici e sociali spacciandoli per nuovi, per la modernità.
I valori della resistenza vengono occultati e la nuova destra smette di essere minoritaria. Neppure i precedenti governi Berlusconi avevano risolto alla destra questo problema storico.
Adesso l’Italia è davvero entrata in una nuova era politica.
Bisogna risalire alla causa di fondo della sconfitta per affrontarla ed organizzarci per costruire una vera opposizione.
L'allargamento della democrazia e la sua apertura alla democrazia partecipata ha coinciso con l'ascesa della sinistra, così nella crisi della democrazia si consuma la crisi della sinistra e il suo crollo elettorale.
Il rapporto, quello delle diverse forze della sinistra radicale, con il governo Prodi è ciò che ha fatto traboccare il vaso della crisi della sinistra. Si sono moltiplicati i punti di rottura tra partiti e movimenti, tra la sinistra sociale e politica. La latente crisi del rapporto tra le istituzioni e il paese, dovuta alla mancata realizzazione delle attese riforme sociali è esplosa con la denuncia della casta. Siamo stati considerati al pari degli altri partiti che fanno solo demagogia per potersi assicurare la poltrona. L’elettorato si è sentito indifeso di fronte ai bassi salari, alla precarietà, all’incertezza e all’insicurezza del vivere. Purtroppo la sinistra non ha retto la difficilissima prova del governo Prodi e del discredito del sistema politico nel suo insieme.
Il Prc, in particolare da Genova in poi, aveva scelto, pur nel rispetto pieno delle autonomie e delle diversità di ruolo, un rapporto di scambio imprescindibile col movimento. Aveva operato profonde rotture e innovazioni nella cultura politica, fino alla scelta della nonviolenza dell’apertura ai movimenti e dell'esplorazione di nuovi linguaggi della politica e della partecipazione. Ma nel partito si è presentato un ostacolo serio e cioè la mancata innovazione del modello di organizzazione del partito, malgrado la sollecitazione forte che è venuta dall'esperienza delle donne. E' mancata la sperimentazione del passaggio da una struttura verticale, piramidale, ad una struttura orizzontale, a rete, capace di esaltare il saper fare, il fare società, i processi di socializzazione, la partecipazione, il valore dell'esperienza e della persona.
Sono d’accordo con Bertinotti quando a proposito dello stare al governo dice: “Io temo che l'allergia radicale al governo nasca anche dalla povertà di idee" e che "se non c'è un disegno forte, ad esempio quello di governare in modo alternativo la composizione di classe, se non c'è un'ambizione egemonica, si rimane incastrati nella tattica e si lascia agli altri uno spazio enorme". Non vedo, sul terreno di medio periodo, una risposta facile al problema. La risposta alle domande non verrà a breve; essa passerà, se sapremo trovarla, per nuove esperienze sociali e nuova ricerca politica. Quel che è certo è che questa esperienza di governo, quella del governo Prodi, ha fatto tracimare il vaso e la crisi ci ha investito frontalmente”. Vanno indagate le connessioni e i nessi tra condizione sociale e coscienza collettiva. Ci vorrà tanto, tanto lavoro d'inchiesta.Nel nostro paese permane una sinistra diffusa che non è stata cancellata dalla sconfitta elettorale. Esiste nei movimenti, nei sindacati, nelle reti solidali, nelle associazioni,, nei gruppi di donne, nelle espressioni del mondo cattolico che si sottraggono alla normalizzazione ratzingeriana. Non è in discussione lo scioglimento del Partito della Rifondazione Comunista. L’esperienza della sinistra arcobaleno mostra però il fallimento della formula della federazione. Una nuova sinistra non può nascere all’interno di forme vecchie. Per questo pensiamo all’avvio di una vera e propria costituente che si rivolga ai soggetti politici disponibili e alla sinistra diffusa sul territorio. Un processo che metta in comunicazione l’alto e il basso – esperienze locali e nazionali. Niente è immutabile – il Pci nasce dalla scissione del Psi nel 1921, nel 1989 dopo la bolognina il Pci cessa di esistere e nasce il Pds e una parte del partito fonda il Prc associandosi ad altre forze politiche di sinistra e adesso continuiamo la nostra rifondazione.
La sinistra deve ritrovare la sua funzione storica nella società. Nella difesa dei più deboli. Nella lotta alle povertà. Contro le ingiustizie. Deve ristabilire la connessione sentimentale con la sua gente. Dobbiamo rifondare un partito della sinistra che abbia la capacità di voler essere espansivo e non minoritario. Nuovo ed innovativo. Una sinistra libertaria.. Mettiamo da parte i personalismi,le correnti, i proporzionalismi e quant’altro.
Voglio concludere citando Brecht: "Ci dicono che il mondo è cambiato. Bene. Cambiamo il mondo cambiato."

1 commento:

Anonimo ha detto...

cara giuseppina se questo tuo intervento fosse stato la presentazione del documento al congresso di avellino sarebbe stato interessante ascoltarti e discuterne