martedì 15 luglio 2008

Sinistra e femminismo.

di Giuseppina Buscaino - Intervento al Congresso provinciale del PRC-SE di Avellino -
“Non c’è sinistra senza femminismo” se vogliamo che il principio della democrazia di genere e la critica delle strutture patriarcali si realizzino in una pratica politica adeguata.
E’ fondamentale per la sinistra il rapporto con il femminismo, che ha profondamente rivoluzionato il modo di intendere la politica stessa. Esso ha dunque carattere fondativo per la nuova sinistra. La liberazione dall’oppressione sessista, dalla divisione sociale del lavoro, dal familismo sarà opera delle donne stesse, che avranno bisogno del contributo maschile, contributo che gli uomini possono dare mettendo in discussione se stessi.
Affrontiamo questa questione perché Rifondazione comunista è stato e continua ad essere un partito fortemente segnato dai limiti tradizionali della politica maschile.
Come può un partito organizzato verticisticamente accogliere e comprendere il pensiero delle donne? E, di seguito, capire come porsi in relazione con le soggettività emerse negli ultimi anni: Gay, lesbiche, trans, ma anche immigrati con culture diverse…Entrare in relazione vuol dire essere disposti a farsi mettere in discussione. Se sono all’interno di una struttura che mi impedisce di “ascoltare” “vedere” come potrò, onestamente, essere disposto a cambiare?
Come si è detto ripetutamente, il fortino politico identitario dovrà essere scardinato dagli apporti di chi si è tenuto o è stato costretto ai margini.I desideri, i progetti, le istanze periferiche dovrebbero modificare e ricentrare il centro. Nel partito si è presentato un ostacolo serio e cioè la mancata innovazione del suo modello di organizzazione, malgrado la sollecitazione forte che è venuta dall'esperienza delle donne. E' mancata la sperimentazione del passaggio da una struttura verticale, piramidale, ad una struttura orizzontale, a rete, capace di esaltare il saper fare, il fare società, i processi di socializzazione, la partecipazione, il valore dell'esperienza e della persona. Non abbiamo bisogno di un dibattito che conduca ad una semplice ristrutturazione dell’apparato dirigente del partito, adesso è il momento delle scelte e delle azioni concrete per la modificazione. Anche nel nostro partito come nella società le donne vivono situazioni che inducono l’interiorizzazione della subalternità che spinge ad adeguarsi a modelli poco apprezzabili, ma visti come inevitabili. Le donne spesso non vogliono avere ruoli di responsabilità perché a volte il pregiudizio sulle donne è dentro le donne stesse oppure le compagne sono oberate di responsabilità familiari. Per affermare i diritti delle donne, le donne devono essere se stesse, senza pregiudizi dentro di sé. Crediamo a questo punto che se i compagni credono nell’uguaglianza allora devono valorizzare le compagne ed aiutarle ad inserirsi. Nella nostra federazione ci sono poche donne, noi vorremmo che valorizzaste queste compagne. Per fare in modo che ci sia un numero adeguato di donne che abbiano ruoli dirigenti nel partito, è necessario parlare delle quote rosa. Quote rosa” è un’espressione che è diventata di uso comune, a indicare la difficoltà delle donne a imporsi in ambito politico e sociale. Non è molto gratificante per una donna essere eletta per il rispetto delle quote rosa e non per meriti personali, ma non può esserci un'autentica democrazia finché le voci delle donne non saranno ascoltate. E l’unico modo per assicurare alle donne la partecipazione in numero superiore a quello attuale, sono le quote rosa. La nostra sfida in questi anni è stata la rifondazione del comunismo. Per essere soggetto politico della trasformazione non possiamo non essere soggetto politico in trasformazione. La questione di genere ci rivela che c’è una dicotomia nel nostro partito fra pratiche e parole. Tutti quanti parlano bene ma razzolano male. E’ questa l’altra faccia della nostra sfida: l’innovazione. Quella sfida ancora tutta davanti a noi, di saper portare la critica fin dentro il cuore delle nostre storie politiche e personali, mettersi in gioco, non provare nostalgie per le “rigidità” e le certezze del passato. Il comunismo non è un’identità né un’appartenenza, ma un processo di trasformazione molecolare che ci attraversa intrecciando la costruzione di percorsi di liberazione alla esposizione, alla contaminazione con l’altra e l’altro. Noi donne vogliamo superare le mozioni e vogliamo confrontarci con associazioni, con movimenti femministi sulla base di bisogni e desideri di esseri umani in carne ed ossa. Qui nella federazione di Avellino poiché le donne siamo poche non siamo molto in contatto con le associazioni che si interessano dei problemi delle donne. Crediamo che sia necessario che tutte le compagne della federazione si incontrino per discutere e per contattare associazioni come per esempio il telefono rosa. Vogliamo essere presenti nelle associazioni. Non vogliamo lasciare spazi a strumentalizzatori. Ad Avellino abbiamo avuto interessanti esperienze con il Centro donna, con lo zia Lidia Social Club e con Rosso Fisso con cui ci siamo organizzati per fare volantinaggi per informare la gente sulla violenza contro le donne e abbiamo organizzato un pullman per andare a Roma alla manifestazione.
Noi vogliamo esserci e contare, ma per essere incisive dobbiamo contattarci e discutere insieme e vogliamo incontrare anche donne che non sono comuniste, vogliamo interessarci di tutte le donne.
Noi abbiamo sempre battaglie da combattere. Siamo svantaggiate sul lavoro, i posti di potere sono esclusiva degli uomini, che ogni tanto ce ne cedono qualcuno, e in politica siamo poche. Anche la bellezza è un fattore discriminante: siamo giudicate in base all’aspetto fisico, talvolta anche dai compagni.
Oggi il problema più grosso è non riuscire a consentire alla donna di affermarsi professionalmente e avere anche una famiglia. O deve scegliere o è condannata a un doppio lavoro, difficilmente riconosciuto. Nel sud c’è il grosso problema della disoccupazione femminile.
Il femminismo esiste ancora ma è minacciato dalla competizione tra donne, portate a farsi la guerra perché hanno interiorizzato modelli maschili. E invece dovremmo unire le forze, per esempio per combattere il precariato dei giovani e tutelare la maternità. Gli asili costano e non tutte possono permetterseli.
Senza contare la difficoltà per una neomamma di ottenere il part-time. Tante donne rinunciano ai figli per questi motivi, non per leggerezza, come teme la Chiesa con il costante tentativo di strapparci conquiste fatte trent’anni fa come la 194. Bisogna avere la forza di rivendicare la parità, al di là dei pregiudizi.
Noi non vogliamo costruire un ghetto di donne separate dal mondo degli uomini che lottano per difendere diritti esclusivamente femminili. I problemi delle donne sono anche, in maniera imprescindibile, problemi degli uomini. La nostra lotta è una lotta di civiltà che deve coinvolgere gli uomini in prima persona mediante l’abbandono di ogni forma di settarismo. Vogliamo costruire un partito fondato sulla parità. Alle logiche guerresche della politica e di una società tutta declinata al maschile opponiamo la forza della delicatezza.

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