mercoledì 30 luglio 2008

Vendola:Tenere aperta una prospettiva per la Rifondazione.

di Antonella Marrone - LIBERAZIONE
Molto semplicemente, Nichi Vendola, il giorno dopo, dopo Chianciano, parla della più bella sconfitta della sua vita.
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Perché?
Perché ho la coscienza di aver fatto una buona battaglia. Cito San Paolo, sperando di non suscitare le ira di qualcuno e considero questa la più bella sconfitta della mia vita. Tre mesi di grande tensione politica e culturale, di affiatamento staraordinario dentro un nuovo gruppo dirigente e di governo di un processo politico che qualcuno voleva portare nell'arena, nelle volgarità e nelle contumelie. E che noi abbiamo sempre saputo mantenere sul piano della discussione politica.
C'è anche un po' di stanchezza per tutto questo?

No, non sono stanco. Mi sono sentito in una vicenda che mi metteva alla prova psicologicamente. Essere oggetto di dileggio...E c'è anche chi ha voluto vedere la mia gestualità come l'ostensione del corpo sacro del leader. Davvero una buia notte, una regressione grottesca. A tratti sembrava un film di Bunuel.Hai avuto la sensazione di trovarti davanti a qualcosa di "impalpabile" ma impossibile da superare?Ho avuto la percezione che fosse stato compiuto un lavoro scientifico, seminare veleni, costruire odio, mirarlo nei mie confronti e di alcuni altri compagni

Ieri, durante la conferenza stampa a Chianciano, hai parlato delle accuse di leaderismo che ti sono state rivolte ma hai sottolineato come al contrario sia stato Ferrero il vero leader con la sua candidatura sottotraccia.

Non c'è esempio nella storia variegata del leaderismo, dal cesarismo al bonapartismo, al peronismo, che non dica cosa è la deriva plebiscitaria: gli oligarchi costruiscono tutta la propria strategia a partire dal richiamo basista, dall'appello a coloro che stanno alla base. E costruiscono così un percorso che è pericoloso perché vive più di risentimenti che di sentimenti e perché in quel percorso, talvolta, più che la dimensione del collettivo c'è la dimensione della folla. Magari folla sollecitata nei suoi istinti più beceri.

In che senso, allora, Paolo Ferrero è stato più leader di te?

Perché è stato il leader a partire dal fatto che si è sottratto alla platea congressuale, nel percorso congressuale è stato il leader in sonno. In qualche modo ha costruito esattamente con un'operazione molto risibile di marketing politico, ha costruito se stesso come antileader come anticasta, come anti governo. Paradosso vuole che fosse il ministro che nel governo Prodi ha avuto l'esposizione più alta.

Ha fatto autocritica su quell'esperienza...

Di quell'esperienza di governo lui si è assunto la responsabilità collettiva, che viene però pagata individualmente soltanto da Franco Giordano. È stato notato un po' da tutti, alla fine di questo percorso è il segretario del paradossi: dell'assemblea delle minoranze e ministro antigovernista. Ha cercato di comporre una paziente tela con culture politiche, storie, appartenenze incociliabili sulla base di un'unica piattaforma: diventare segretario.

C'è chi ha evocato, per l'occasione, il voto utile: utile per mandare a casa Vendola Il voto utile è stata una ricerca di mesi. Ma dentro Chianciano non è stato voto utile, è stato l'allargamento politico, la costruzione di una piattaforma politica che tenesse insieme Falce e Martello, Ernesto, la piattaforma di chi detesta la sola idea della Sinistra Europea con quella di chi pensa che bisogna immediatamente uscire da tutte le esperineze di governo.

Che altro c'è in questa piattaforma?

Un partito che assembla vari minoritarismi nel nome di un comunismo generico, retorico, urlato. Un comunismo che rompe con la storia di Rifondazione Comunista, un comunismo che produce una mutazione genetica dentro Rc, oltre al fatto che espelle dalla linea politica la mozione di maggioranza. È stata marginalizzata un'intera area politico-culturale che è stata quella che, attorno alla figura di Fausto Bertinotti, ha costruito anche la fortuna di questo partito.

Chì è stato minoranza, sino ad oggi, lamenta una mancanza di democrazia interna nell'era bertinottiana, dice di essere stato emarginato...

Nelle varie stagioni ci possono essere stati atteggiamenti sbagliati, come quelli incarnati, in perfetta buona fede, da quei compagni che sono gli interpreti più militari della linea politica... penso a Ramon Mantovani e alla violenza che ha sempre esercitato in tutti i momenti critici. Anch'io sono stato minoranza in questo partito, lo ha ricordato proprio Ramon. A dimostrazione del fatto che non sono proprio un bertinottiano duro e puro

A Chianciano c'erano ex bertinottiami duri e puri che sembravano però ferreriani convinti ...

Ho visto anch'io molti bertinottiani duri e puri di tutta la vita, diventare i protagonisti della guerra iconoclastica contro Fausto. Estremisti dell'ultim'ora. Taluni compagni delle posizioni più minoritarie oggi criticano l'elettoralismo e l'istituzionalismo. Ho visto molti sottosegretari e sottosegretarie mancate o candidati mancati, capovolgere d'amblé gli antichi convincimenti, diventare quasi teorici della dittatura del proletariato.A proposito di elezioni.

I giornali titolano: Rifondazione spaccata. Gli amici del bar chiedono: ma alle europee che succede?

La fenomenologia dei nostri comportamenti non merita di essere descritta come un gigantesco gossip autodistruttivo ma sia pure nella sua carica di degrado, questo fenomeno di autocannibalismo è molto indicativo del problemi, delle malattie della sinistra e propone al Rc un campo di ricerca autocritica impegnativo. Quando non c'era questa contesa così aspra, quando ancora non c'era, mi sono permesso di dire che c'è un tema tra di noi, oltre che nella costruzione della poltica e dell'immaginario, che dobbiamo proporci: il tema dell'odio. Odio come struttura della struttura della costruzione del discorso, della retorica, della emotività. Di una parte che noi intendiamo rappresentare. E l'odio è stato seminato al di là di qualunque ragionevolezza.

Per esempio?

Non abbiamo drogato il tesseramento; è documentabile dove ci sono stati i picchi del tesseramento. Noi consideraiamo la partecipazione del corpo largo del partito un fatto positivo, mentre consideramo che la politica desertificata, dei piccoli numeri, di intere province in cui votano pochi compagni, come il simbolo di una residualità . Ho il dovere di dirlo ai compagni. Mi è stata attirbuita l'intezione di sciogliere il partito o di portarlo nell'alveo del Pd. Mi è stato attribuito il ruolo di evocatore di una sorta di Bolognina, ma io fui il primo a reagire pubblicamente alla Bolognina con un articolo sul manifesto: "Caro Pci, non capisco e non mi adeguo".

Nascerà un'area : "Rifondazione della sinistra". Tra le aree sarà decisamente quella maggioritaria e che rapporto avrà con il resto delle aree in questa geometria assai variabile del partito?

Vedi, tra noi e l'area assemblata per dare una piattaforma e un governo a questo partito ci sono degli abissi. Differenze culturali e politiche. Segnalo un punto che è emblematico. Secondo i compagni dell'attuale maggiornaza più che con la vittoria della destra dobbiamo fare i conti con la sconfitta della sinistra. Prevale l'elemento della sconfitta, dunque, per incapacità politica e organizzativa. Questa lettura contiene la vocazione alla sconfitta, ama la sconfitta, la cerca come la propria culla. È incredibile, non coglie minimamente la mutazione antropologica che sta dietro alla vittoria elettorale della destra. Non coglie l'elemento inaudito di egemonia culturale e di radicamento sociale di queste destre. Non sa leggere. Ed esce da questa analisi minimalista con una prospettiva che è assolutamente una regressione al mito dell'organizzazione, al volontarismo soggettivistico, persino alla diffidenza nei confronti della teoria, della cultura. Odio maniacale nei confronti della poesia.

Troppa complicazione intellettualistica nella lotta di classe?

Nella nuova versione di Paolo Ferrero la lotta di classe è semplicemente lotta del basso verso l'altro. Come dire che da Spartaco alla Fiom è tutto uguale. Francamente l'idea di rimettere in piedi un partitino anni Settanta, minoritario, nel deserto, nella solitudine di una sinistra smarrita sulla strade della diaspora, è una idea sconvolgente. E io lo posso dire con sincerità, perché una volta morto il Pci mi sono battutto perché nessuno si illudesse nella prospettiva della resurrezione di un cadavere. Ma io non è che credevo che non si potesse rifare il Pci perché si dovesse fare Dp!

E ora, che succede? Diciamo che per quanto possa sembrare ancora presto, la domanda però è quella che circola con più insistenza?

La Rifondazione comunista che io ho contribuito a creare, è morta, seppellita a Chianciano. Il danno è profondo e durevole. Sappiamo però che energia possa catalizzare Rc e per me resta una leva decisiva per la ricostruzione di una prospettiva di riforma intellettuale e morale. Punto i piedi qui. Qui mi fermo.Rifondazione è sempre stata il luogo del mio senso e del mio dissenso. Dicendo a tutti i compagni e le compagne che hanno sostenuto la mozione 2 che abbiamo accumulato un patrimonio di ricerca politica e di solidarietà umana, anche nell'esercizio del limite: fermarsi un attimo prima che la vis polemica schiudesse la porta del baratro. Non è consentito abbandonare adesso. Abbiamo il dovere di tenere aperta una prospettiva per Rifondazione comunista. Lavoreremo per contrastare qualunque prospettiva di afasia, qualunque stategia che uccida la prospettiva politica nella retorica di un ritorno ad un sociale largamente sconosciuto. Dobbiamo fare tessere, portare pezzi di popolo in questo partito. La battaglia sarà a viso aperto. Non ci sono vendette, non c'è da segare il ramo su cui è seduto Ferrero. Dobbiamo ricostruire processi partecipati nei territori, un cantiere che rigeneri la sinistra. Far vivere il nostro punto di vista di comunisti come un punto vivo. Quando il comunismo diventa la putrefazione del pensiero è un guaio. Perché c'è bisogno di una lettura che colga la radice dei fenomeni sociali. C'è bisogno di ricostruire analisi e orizzonti.

29/07/2008

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