Per continuare, è questa la dedica che Mario Capanna ha posto ieri sera sui libri dei ragazzi di adesso e di qualche anno fa. Ed è con questa pubblicazione, Il Sessantotto al futuro, che l’autore chiude la trilogia cominciata con Formidabili quegli anni e proseguita con Lettera a mio figlio sul Sessantotto. Il ’68, quindi, come rivoluzione ancora da compiersi in un mondo globalizzato, incapace di arrestare la sua spirale di crescita progressiva, incurante del rischio di non sopravvivere alle proprie scelte e, quindi, meno intelligente di una lumaca, che, per come argomentava ieri Capanna, ha, almeno, l’intelligenza di arrestare la costruzione del proprio guscio. Pena, la sua stessa esistenza. Capanna, quindi, prova a dimostrare di come la voce del ’68 sia in grado, adesso, con accresciuta attualità, in proporzione all’aumento dei pericoli che minacciano la specie umana e la Terra, di parlare alle attuali contraddizioni della società, non solo l’antica dicotomia tra capitale e lavoro ma capace di attraversare il tema della sostenibilità e del rapporto tra uomo e natura. Redistribuzione della ricchezza, decrescita, alternomondismo, energie rinnovabili, nuovi diritti e nuove libertà sembrano queste le parole che legano il ’68 di quarant’anni fa all’attuale stagione dei movimenti che, oggi, in maniera carsica, stanno attraversando, il tempo presente pronti, ancora una volta, ma bisognerà lavorare per questo, a venir fuori. Ancora centrale, appare, quindi, la domanda di senso che Hanna Arendt, poneva sul Sessantotto: “Che cosa realmente è accaduto”? E, soprattutto, diciamo noi, cos’è che accadrà? La risposta, ancora adesso, come individuava la Arendt, sta nella scoperta di quella che il diciottesimo secolo aveva chiamato la “felicità pubblica”, di quando l’uomo partecipando alla vita pubblica apre a se stesso una dimensione di esperienza umana che altrimenti gli rimane preclusa e che in qualche modo rappresenta parte di una “felicità completa”. “Sous les pavès il y la plage”, scrivevano i ragazzi del Maggio. Sotto l’asfalto, la spiaggia, ad Avellino, al più, il buco del tunnel. Quanta strada c’è ancora da fare per la via del mare?
Generoso Bruno
Generoso Bruno
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