giovedì 1 gennaio 2009

L'arrocco e la fine.

di Ritanna Armeni - il Riformista del 30/12/08.

Ci sono articoli che si scrivono con imbarazzo e con qualche sofferenza.
Questo è uno di quelli. Per chi ha creduto per anni in un progetto politico
radicale e avvincente come quello che ha portato alcuni anni fa alla nascita
del partito di Rifondazione comunista non è facile comunicare un'analisi e
una percezione netta che la porta dire che quel progetto è morto. Quel che
mi spinge a fare oggi un'affermazione tanto drastica è la recente vicenda di
Liberazione. Il tentativo di chiudere l'esperienza di quel quotidiano
attraverso un editore discusso e normalizzatore o attraverso il diktat del
partito mi pare davvero l'atto di chiusura di un'esperienza politica
importante sia per chi ci ha creduto e partecipato sia per la storia
politica del Paese.

Rifondazione comunista è nata dopo la svolta della Bolognina riunendo nella
stessa formazione gruppi, tendenze e culture diverse della sinistra
italiana.

Ingraiani, cossuttiani, togliattiani, trotskisti e appartenenti ai gruppi
della sinistra estrema degli anni Settanta. Nonché una parte consistente di
quel popolo comunista socialmente e politicamente messo ai margini dalla
nascita modernizzatrice del Pds.

Questa formazione aveva certamente un'identità di classe, ma anche una
connotazione conservatrice e arretrata. Poteva diventare un piccolo mostro
politico identitario e settario con gli occhi rivolti nostalgicamente al
passato e scarsa capacità di analizzare e cambiare il presente.

Così non è stato come anche i meno dogmatici e i più intelligenti dei suoi
avversari si sono accorti.

Il tentativo fatto negli anni che sono seguiti alla scissione dal Pci ha
capovolto alcune facili previsioni e ha delineato un altro percorso. Il
leader politico che l'ha perseguito con davvero straordinario coraggio e
audacia, Fausto Bertinotti, si è posto l'obiettivo ambizioso di cambiare la
sinistra, tutta la sinistra, a cominciare dal partito di cui era leader
smantellando a uno a uno quei muri ideologici e culturali che la
condannavano a un ruolo di retroguardia nel mondo dominato dall'ideologia
neoliberista nella sua fase trionfante.

Questo è stato il tentativo di introdurre nella politique politicienne di
cui erano imbevuti i partiti italiani, le grandi questioni sociali. Questo
lo sforzo di penetrare e di farsi penetrare dei grandi movimenti di massa
(anche quelli che andavano oltre la tradizione del movimento operaio come il
movimento no global) a costo di scalfire il moloch del partito. Questo è
stato soprattutto l'innovazione culturale ed eversiva nella cultura della
sinistra (anche di quella moderna e moderata) del riconoscimento degli
"orrori" e non solo degli "errori" del comunismo e la lotta contro lo
stalinismo. Inteso come concezione del potere, dello Stato e anche di quei
rapporti fra le persone che permeano fortemente le relazioni nella politica.
Questa infine l'affermazione della non violenza come idea forte, costitutiva
di una sinistra che rifiutava davvero fino in fondo l'ideologia
dell'avversario. E quindi si pronunciava contro la guerra, per la pace,
sempre. La scommessa era grande e rischiosa. Si poteva cambiare radicalmente
se stessi rimanendo altrettanto radicalmente critici nei confronti di un
mondo dominato dall'ingiustizia sociale nelle sue forme più profonde e
pervasive?

Non è stato ovviamente un percorso semplice e privo di errori. Chiunque
abbia partecipato a quell'esperienza potrebbe elencarli. Chi scrive, ad
esempio, rimprovera a quel percorso un eccesso di illuminismo e cioè una
eccessiva fede nelle idee e una scarsa attenzione alla relazione delle
persone; una solo formale attenzione alla cultura femminile e una
sostanziale indifferenza all'innovazione della forma partito. Ma quel
percorso era comunque permeato da una profonda ricerca innovativa. E dalla
convinzione che una sinistra radicalmente cambiata nei suoi contenuti e
nelle sue forme avrebbe potuto portare (questa la seconda audace scommessa)
un contributo necessario al governo del Paese.

Bene, tutto questo è stato spazzato via. Questo progetto è stato sconfitto.
Il modo in cui siamo stati al governo è stato il catalizzatore. Il che non
significa - sia ben chiaro - che esso fosse sbagliato. La storia è piena di
sconfitte di idee e progetti giusti. La recente crisi del capitalismo ha
riabilitato, e con una forza incredibile persino per chi le ha sostenute,
molte idee considerate fino a qualche mese fa "estremiste" e oggi adottate
dai più potenti leader mondiali. Ma dobbiamo dirci, a costo di essere
crudeli innanzitutto con chi ci ha creduto e con chi ci crede ancora che è
stato battuto. Oggi al suo posto ci sono due entità. Rimane un partito che
si chiama Rifondazione comunista, che vuole vivere e per farlo si affida a
quella che negli scacchi è chiamata "la mossa dell'arrocco" ma che non ha
alcun collegamento con quei progetti che ho sinteticamente riassunto. In
esso permane una spinta anticapitalistica ma che pare indirizzarsi verso
forme di neopopulismo più che verso la ricerca di efficaci forme di lotta
sociale. C'è ancora un residuo di critica al potere e alle gerarchie, ma
ridotta a qualche facile demagogia e a un inevitabile qualunquismo.

Poi c'è l'entità (non so definirla diversamente) di coloro che con questo
progetto non sono d'accordo, vedono il ritorno indietro verso una nostalgica
inefficacia, che vorrebbero proseguire nel cammino cominciato, che tentano,
ma, a loro volta, non sono in grado (per difficoltà oggettive o per difetti
soggettivi) di riprendere in altre forme e in una situazione ben più
difficile quel percorso di innovazione politica.

Rimaneva Liberazione, un quotidiano eretico e audace. Capace di dire cose
nuove, di aprire percorsi inesplorati e, naturalmente, di fare errori. Il
tentativo di chiuderlo (e con quali metodi) mi pare la dimostrazione più
chiara e dolorosa della fine di un'esperienza. Mi spinge a parlare di
"morte". Per me scriverlo con tanta chiarezza non è facile, ma significa
almeno poter cominciare a elaborare il lutto. E darsi la possibilità di
ricordare ed esaminare criticamente, duramente e onestamente il passato. Mi
pare - almeno personalmente - la condizione per poter nominare il futuro e
impegnarsi di nuovo.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Sono completamente daccordo con Armeni.

Franco