venerdì 22 febbraio 2008

Palestina, le punizioni collettive di Tel Aviv "LIBERAZIONE 19 FEBBRAIO 2008" di Luisa Morgantini*



Ondata di retate, sequestri e uccisioni in Cisgiordania.
I racconti dei testimoni del villaggio di Beit Ummar.



Dopo tre giorni consecutivi di assedio e coprifuoco israeliano a Beit Ummar, un piccolo villaggio palestinese di 10mila abitanti a pochi km da Hebron nel sud della Cisgiordania, venerdì scorso i carri armati se ne sono andati e l'acqua e la luce sono state ripristinate. Qui i tank israeliani e gli agenti dello Shin Bet -secondo testimoni locali almeno 30 veicoli e bulldozer- sono entrati nel villaggio all'una di notte circa di mercoledì 13 febbraio, portando avanti rastrellamenti di casa in casa, prelevando i civili di sesso maschile dai 18 ai 25 anni e distruggendo abitazioni, infrastrutture, negozi, come anche testimoniato dai Christian Pacemaker Teams (CPT) che a Maan news hanno confermato la brutalità dell'invasione: «I soldati hanno circondato la moschea, impedito qualsiasi movimento nel villaggio per persone, automobili ma anche medicinali e ambulanze».
«Una vera e propria punizione collettiva è stata inflitta ai ragazzi e agli uomini del villaggio, sequestrati e condotti nel campo di calcio di un cortile di una scuola dove sono stati picchiati ripetutamente e almeno in 85 trattenuti per ore al freddo di temperature sotto lo zero», ha raccontato al telefono, con disperazione ed impotenza, Ali Abu Awwad, palestinese di 35 anni e pacifista gandhiano che insieme ad Elik El Hanan, israeliano, raccontano al mondo il loro bisogno di pace e giustizia. Entrambi hanno sofferto sulla propria pelle un lutto famigliare a causa del conflitto: Ali ha perso un fratello, ucciso a freddo da un soldato israeliano ad un check point, Elik, una sorella, rimasta vittima di un attentato kamikaze nel 1997. Oggi insieme sono attivisti del Parents Circle -Forum di oltre 500 famiglie israeliane e palestinesi che hanno perso i propri cari ma che da più di 12 anni diffondono un messaggio forte: «Se noi che abbiamo pagato il prezzo più alto possiamo continuare a parlare, allora tutti potrebbero farlo» dice Ali a chiusura di "Madri", documentario di Barbara Cupisti (Rai Cinema) sulle testimonianze di 15 mamme israeliane e palestinesi che hanno avuto i propri figli uccisi, presentato lo scorso settembre al Festival di Venezia.
Al telefono Ali, che è anche fondatore di Al Tariq "la via" -movimento di diverse associazioni palestinesi che ogni giorno lottano per il diritto ad uno stato libero, per la fine dell'occupazione, contro la logica del nemico e ogni violenza- ha detto che dei volantini con la scritta «Non siete stati capaci di educare i vostri figli a non tirare le pietre. Ora lo faremo noi» sono stati lasciati a Beit Ummar dai soldati israeliani che hanno occupato alcune case del villaggio per farne il loro quartier generale.
Durante l'invasione, inoltre, le forze di occupazione israeliana hanno demolito con bulldozer case e negozi del centro del villaggio, distrutto gli impianti e le tubature per l'acqua e le fogne, confiscato computer, documenti, telefoni cellulari, senza motivare le ragioni di queste operazioni, e sequestrato 25 persone, tuttora in stato di arresto e rinchiuse nelle carceri israeliane, ma ancora non si sa dove: tra queste anche minori come Muntaser Fakhri Ikhlayel, 15 anni e suo cugino Adam Hasan Ikhalyel di 16, arrestati a Beit Ummar mercoledì notte, e come anche Youssef Hassan Abarneh, manager locale di Fatah e cofondatore di Al Tariq, che si vanno ad aggiungere agli oltre 11mila prigionieri politici palestinesi tuttora nelle prigioni israeliane in Israele e nei Territori Occupati.
Nelle ultime settimane Beit Ummar era stato lo scenario di varie manifestazioni da parte della cittadinanza che protestava contro l'amministrazione del villaggio da parte di Hamas. Non sarà un caso che tra i 25 arrestati delle ultime ore vi siano, oltre a Youssef Hassan Abarneh, anche altri dirigenti locali di Fatah a cui l'amministrazione di Hamas aveva consegnato le chiavi del Consiglio municipale in segno di distensione con la piazza.
Intanto le chiusure, i raid e le invasioni israeliani si succedono in tutta la Cisgiordania e a Gaza: nella sola giornata di mercoledì scorso almeno 60 persone sono state sequestrate in West Bank dall'esercito Israeliano ed è del 15 febbraio la notizia della morte di Fawzia Abdel Fattah, un'anziana palestinese malata di cuore che non è riuscita a raggiungere in tempo l'ospedale perché respinta al checkpoint dai soldati israeliani nei pressi di Tulkarem, mentre era accompagnata dal marito 71enne Mahmoud Yussef Qab.
Secondo Palestine Monitor, dal 28 novembre, data della Conferenza di pace di Annapolis, gli attacchi israeliani, circa 880 in Cisgiordania e a Gaza, sono cresciuti del 220%, 178 palestinesi sono stati uccisi, tra cui 3 bambini, e circa 617 feriti.Tutto questo senza una protesta da parte della Comunità Internazionale e da Beit Ummar non si tirano neppure i Kassam.
Sembra chiaro che il governo israeliano non sappia e non voglia uscire da una politica militarista, coloniale e di conquista di terre come dimostra ampiamente la politica di espansione di colonie nei territori palestinesi e voglia continuare a tenere il medio Oriente in conflitto permanente, basta vedere l'assassinio extraterritoriale compiuto contro il dirigente di Hezbollah Imad Mughniyeh- a Damasco. Uccidono, distruggono e sono convinti di dover essere capiti e amati, ma per essere amati bisogna saper amare e rispettare. Non mi sembra sia il caso del governo e dell'esercito israeliano. Però non disperiamo, perchè tante sono le voci in Israele come quelle di Elik che difendono il futuro del loro paese manifestando con tanti palestinesi davanti il muro di Bi'lin o al valico di Eretz a Gaza denunciando con forza che la politica di occupazione militare e di espansione coloniale serve solo a rafforzare nell'uno e nell' altro campo forze estremiste e fondamentaliste.

*Vicepresidente del Parlamento Europeo
19/02/2008
www.luisamorgantini.net; luisa.morgantini@europarl.europa.eu;

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Care tutte e tutti,

vi invio sotto l’ennesima notizia del tentativo in Inghilterra di arrestare ufficiali dell’esercito Israeliani che si sono macchiati per aver commesso reati che violano apertamente la Quarta Convenzione di Ginevra e che quindi sono perseguibili dalla legge.


In questo caso Scotland Yard ha deciso nel settembre 2005 di non arrestare un sospettato di crimini di guerra, il maggior Generale Doron Almog, che aveva dato l’autorizzazione il 10 gennaio 2002 ai bulldozer israeliani di distruggere 59 case nel campo profughi di Rafah , nella Striscia di Gaza. I documenti sono apparsi solo oggi: la polizia britannica ha deciso di non fermare Almog che era a bordo di un aereo della compagnia El Al all’aeroporto di Heathrow per timore di uno scontro armato con il servizio di sicurezza israeliano.


Purtroppo anche in quell’occasione , nonostante l’impegno del Palestinian Centre for Human Rights e dei loro rappresentanti in Inghilterra presso le Corti di competenza, riuscendo ad ottenere un mandato di arresto per Almog, l’ufficiale fu lasciato ripartire dalla polizia britannica.


Vi invio sotto il comunicato del Palestinian Centre for Human Rights; la notizia è apparsa oggi anche sul Guardian e sull’Ansa.


L’avviso di arresto era stato emesso da una Corte Inglese, esattamente dal giudice distrettuale Timothy Workman in seguito alle richieste presentate da avvocati inglesi che agiscono per conto delle vittime palestinesi a cui furono demolite le case nel 2002 a Gaza.

Secondo la legge britannica, i crimini di guerra sono di una tale gravità che ciò consente alle Corti inglesi di avere la giurisdizione per perseguire i sospettati di tali crimini, anche se sono stati commessi non su suolo inglese.

Vi rinnovo la richiesta fatta già tempo fa: vi sono persone competenti (avvocati, associazioni di avvocati…) pronte ad impegnarsi perché anche in Italia si tenti di fare quello che accade nel Regno Unito: cercare di usare la legalità per fermare i criminali di guerra?

Un abbraccio

Luisa Morgantini



La polizia inglese temeva " un confronto armato" con gli il servizio di sicurezza Israeliano all’aeroporto di Heathrow

L’IPCC (Indipendent Police Complaint Commission) rivela perchè il sospettato di crimini di guerra Doron Almog è sfuggito all’arresto l’11 settembre del 2005.

Il 10 gennaio 2002 i bulldozer israeliani hanno distrutto 59 case nel campo profughi di Rafah , nella Striscia di Gaza. Gli abitanti scapparono dalle loro case in una giornata piovosa, molti di loro perdendo tutto ciò che era in loro possesso. Tra questi senza casa, molti bambini sono stati terrorizzati e traumatizzati. L’ufficiale del Comando che autorizzò la demolizione delle case era il Generale maggiore (riservista) Doron Almog.

La distruzione di proprietà non giustificata da una reale necessità militare e portata avanti illegalmente è una grave violazione della Quarta Convenzione di Ginevra.

La punizione collettiva di civili è anch’essa vietata secondo le Convenzioni di Ginevra.

Nel corso degli anni, molti civili palestinesi hanno cercato di ottenere un’ indennità , pacificamente e legalmente, presso le Corti Israeliane per incidenti di questa natura. Purtroppo le Corti hanno dichiarato queste questioni non soggette a poter essere "giudicabili"(anche questo di fatto è una violazione della Convenzione).

Offrire alle persone che subiscono un danno o un’ingiustizia una via per essere risarcite senza l’uso della violenza è fondamentale per preservare il ruolo della legalità.

Come Doron Almog è sfuggito all’arresto

Il 10 settembre 2005 il magistrato capo di Londra, Timothy Workman ha emesso un avviso di arresto per Almog, con l’accusa di aver commesso una grave violazione della Quarta Convenzione di Ginevra del 1949 che nel Regno Unito è un reato criminale contrariamente all’Atto del 1957 della Convenzione di Ginevra.

L’avviso di arresto fu trasmesso all’Unità dell’Anti terrorismo e Crimini di Guerra della polizia Cittadina che però ha fallito nell’eseguire il mandato di arresto, dal momento che Almog, che era stato avvisato tempestivamente in merito all’arresto dallo staff dell’Ambasciata Israeliana, si rifiutò di abbandonare il volo che era appena atterrato all’aeroporto Heathrow e i poliziotti inglesi decisero di non andare sull’aereo per arrestarlo.

Una delle vittime di Almog, Mr Abdul Matar, ha presentato una denuncia accusando la polizia inglese per aver avvisato tempestivamente Almog e per non averlo arresto. La MPS (Servizio di Polizia cittadina) inizialmente ha rifiutato di registrare la denuncia ma in seguito all’intervento dell’Indipendent Police Complaint Commission (IPCC) i dettagli scioccanti sulle loro inadempienze sono state rese pubbliche!

-Il MPS no solo aveva informato 6 diverse agenzie di polizia e sicurezza dell’esistenza della denuncia "segreta", ma aveva reso pubbliche informazioni confidenziali ad un "partner fidato" (un civile, non ancora identificato) per avere dei consigli in merito a come comportarsi

-Il partner fidato aveva istruito un avvocato per rappresentare Mr Almog e aveva condotto indagini sulla locale comunità ebraica a Solihull (che Almog doveva visitare) per verificare gli appuntamenti fissati per l’ufficiale israeliano

-La polizia britannica ha anche contattato la compagnia aerea El Al mentre Mr Almog era in viaggio verso il Regno Unito (più tardi El Al ha negato l’accesso alla polizia britannica all’aereo, sul quale c’era Almog)-

Non stupisce quindi che Mr Almog sia stato avvisato per tempo dell’esistenza di una denuncia a suo carico e che decise così di non lasciare l’aeroplano l’11 settembre. Stupiscono invece le ragioni per le quali il Sovrintendente del Dipartimento MacBrayne e il Comandante McDowall (della polizia britannica) abbiano decisodi non salire sull’aeroplano:

- Non era abbastanza chiaro se la polizia fosse legalmente autorizzata a salire sull’aeroplano e se fossero preoccupati del rischio di un confronto armato con il servizio di sicurezza israeliano

- la polizia era preoccupata del’impatto sull’opinione pubblica di un’operazione di polizia all’interno dell’aeroporto inglese e dell’impatto sulla comunità dell’arresto di un ex comandante Israeliano

E’ preoccupante che per evitare tali rischi, si sia arrivati all’inadempienza della polizia britannica.

Doron Almog ha 54 anni, era GOC del Comando Sud dell’esercito Israeliano dall’8 dicembre 2000 al 7 Luglio 2003. All’interno dei Territori Occupati è stato responsabile di uan lunga serie di violazioni dei diritti umani.

La persecuzione dei sospettati dei crimini di guerra è una strategia a lungo termine portata avanti dal PCHR per combattere la cultura dell’impunità che è endemica all’interno del sistema militare giuridico e politico israeliano.

Per maggiori info si possono contattare:

Raji Sourani, Avvocato e Direttore del PCHR- paleestinian Centre for Human Rights

pchr@pchrgaza.org sito web: www.pchrgaza.org phone: 00972 599 412919



Daniel Machover, partner phone: 0044 (0)7773 341096 oppure

Kate Maynard, Solicitor phone 0044 (0)7899 982977

Hickman & Rose socititors sito we: www. Hickmanandrose.co.uk

Traduzione a cura dell'Ufficio di Luisa Morgantini

www.luisamorgantini.net

Anonimo ha detto...

Care tutte e tutti,
finalmente al Convoglio di aiuti umanitari organizzato da Ong, attivisti isrealiani e organizzazioni per i diritti umani che era fermo dal 26 gennaio,

è stato permesso di entrare a Gaza.

Dopo lunghe negoziazioni con le autorità Israeliane, l'autorizzazione è stata concessa: 15 attivisti si sono recati ieri mattina al kibbutz di Kerem Shalom, dove le merci erano state stoccate, hanno decorato il cargo con enormi striscioni con la scritta "Fine del blocco a Gaza"! e hanno accompagnato il convoglio fino al Compound di Sufa al confine con la Striscia di Gaza: le merci sono finalmente state distribuite alle organizzazioni della Campagna Palestinese e Internazionale per porre Fine all'assedio di Gaza.

Sotto il comunicato stampa in inglese.

Un abbraccio

Luisa Morgantini







Coalition against the Gaza Siege

Press Release February 18, 2008


At noon today in the Sufa Border Crossing, donated foodstuffs and water filters at last reached their destination in Gaza



At Noon today, there at last arrived in their Gaza destination the goods carried in the supply convoy of the Israeli Peace and Human Rights organizations, two and a half weeks ago. After the authorization was given after long negotiations with the military authorities, some fifteen activists arrived this morning at the warehouses in Kibbutz Kerem Shalom and the Bedouin town of Rahat, where the goods had been stored, loaded them and decorated the cargo with enormous banners reading End the Blockade of Gaza!



The Israeli activists accompanied the cargo until the entrance of the Sufa Compound on the Gaza Strip border, where it was unloaded and transferred to Palestinian trucks and delivered to members of the Palestinian-International Campaign to End the Siege, based at Gaza City. The cargo consisted of five tons of basic foodstuffs purchased by the organizers from donations collected from Israel and all over the world, as well as water purification filters for the highly polluted water in the Strip. To these were added two tons of personal aid packages, prepared by many Israeli families as a a goodwill gesture to the Gaza inhabitants.



Members of the Palestinian Campaign intend to give the highest priority in distribution of the water filters received today to the Gaza Strip hospitals, where the need for clean water is particularly acute. The entry of water filters today follows many months when the Israeli siege caused a severe shortage of this item, indispensable for basic health, as of many other vital goods. The organizers hope that from now on, inhabitants of the Gaza Strip would be able to use the precedent created and import as many water filters as needed, without restrictions.



“Under conditions of the strangling siege of Gaza, the simple act of transporting a few tons of cargo some dozens of kilometres required two months of intensive effort by dozens of people in Israel and the Gaza Strip, with considerable help from peace seekers all over the world. This siege should be terminated forthwith. It is a manifestly immoral, gross violation of International Law which causes Israel nothing but damage. The suffering caused to the inhabitants of Gaza in no way benefits the inhabitants of Sderot. There is only one way to bring about the end of the shooting of Quassam Missiles at Israeli communities: a positive response to the many offers by Hamas leaders, to a complete and mutual ceasefire on both sides of the Gaza Strip border" said former Knesset Member Uri Avnery of Gush Shalom, who was among the activists accompanying the aid cargo to the Sufa Crossing. Dr. Eyad Sarraj of the Palestinian campaign spoke with the Israeli organizers on the phone and warmly thanked them. He told that the stores of goods brought into the Gaza Strip during the two weeks when the Egyptian border was open are in the process of running out, and that the feeling of siege and suffocation is reasserting itself. "We in Gaza greatly appreciate the manifestation of solidarity in the convoy of today. We hope that this is the start of a common struggle by the two peoples, to ensure peace and liberty to both."


Contact: Adam Keller 0506-709603, Ya’akov Manor 09-7670801 or
050-5733276, Dr. Eyad Sarraj 0599-408438, Marwan Diab 0599-462037
Stills of the action available from AP and Reuters. Video footage from AP as well as from Natalio Cohen 050-8102366 or Sergio Yahni 052-6375032.


Participating organizations: Gush Shalom, Combatants for Peace, Coalition of Women for Peace, ICAHD – The Israeli Committee Against House Demolitions, Bat Shalom, Bat Tzafon for Peace and Equality, Balad, Hadash, Adalah, Tarabut- Hithabrut, Physicians for Human Rights – Israel, AIC – The Alternative Information Center, Psychoactive – Mental Health Workers for Human Rights, ActiveStills, The Students Coalition (Tel Aviv University), New Profile, MachsomWatch, PCATI – The Public Committee Against Torture in Israel, Yesh Gvul, Gisha, Local Television on the Internet, Committee for Israeli-Palestinian Dialogue, “On the Left Side”, and Faculty for Palestinian-Israeli Peace (Israel).