mercoledì 26 novembre 2008

Ricominciamo, senza timori.

di Gennaro Migliore - Liberazione
Qual è il centro della nostra iniziativa politica? Dove la collochiamo? Ma soprattutto, cosa vuol dire "nostra", chi è il "noi" della politica di sinistra?
Sono queste, a parer mio, le interrogazioni che Fausto Bertinotti ripropone con le sue 15 tesi sulla sinistra, che hanno riavviato un dibattito di altissima densità politica e che hanno l'indubbio merito di porsi come testo aperto. Strumento e non fine della ricerca e dell'azione politica.
Credo sia opportuno partire da un'osservazione semplice: la nostra discussione non è più quella avviata due anni fa. Allora, nel pieno dell'esperienza del governo di centrosinistra, si combinavano due accadimenti: la presa d'atto del progressivo esaurimento, almeno in Europa, delle esperienze legate storicamente alla sinistra comunista e, in Italia, la costruzione di un nuovo soggetto a vocazione moderata, il Partito democratico. Ciò aprì un serrato confronto tra le forze che intendevano rivitalizzare il campo politico della sinistra, che appariva frammentato e sfibrato, anche in ragione dell'esperienza di governo. In quel contesto, appariva credibile una riproposizione in chiave tutta politica della sinistra. Una sinistra che, anche in assenza di un'iniziativa sociale autonoma, si ponesse l'obiettivo immediato di non dare per scontato l'esito bipolare del sistema politico italiano.
Fu un errore profondo, seppure fatto in totale buona fede. Pensavamo fosse possibile costruire un futuro per la sinistra evocandone esclusivamente la potenza aggregatrice. Invece l'assenza di un pensiero profondo in merito al modello di sviluppo e alle relazioni nella società, il deficit di un'azione capace di porsi su scala continentale, ci hanno resi estranei alla nostra stessa gente. Sradicati. La sconfitta elettorale ci ha brutalmente messi di fronte al nostro limite, ma, nell'immediato, è mancata una reazione adeguata al colpo subìto. Nel congresso di Rifondazione comunista è prevalsa un'accentuazione del soggettivismo. "Non è la destra che ha vinto, siamo noi che abbiamo perso". Quel che serve è un "partito sociale" capace di surrogare, "dal basso a sinistra" un tessuto sociale desertificato. A onor del vero, anche i sostenitori della mozione sconfitta, tra i quali io stesso, descrivevano una società impotente e una conseguente supplenza della sinistra unita, a partire da Rifondazione, come argine al dilagare del senso comune reazionario e del consenso raccolto dalla destra. Ma se proseguissimo, tutti, in questa direzione potremmo essere, tutti, definitivamente travolti.
Gli ultimi due mesi hanno sconvolto il quadro precedente, sia sul piano internazionale (con la crisi e la vittoria di Obama), che su quello nazionale (con l'onda e la rottura operata della Cgil). E' la novità di questa fase, da noi non prevista, che deve diventare la ragione fondante del nostro rinnovato impegno per esprimere, non più solo per rappresentare, la sinistra politica. Non possiamo più limitarci allo stanco rito del sostegno, per lo più esterno, alle mobilitazioni degli studenti o mondo del lavoro. Vanno ricercate relazioni, costruite mappe, inventate proposte che rendano credibile la nostra interlocuzione. Ad esempio, proporrei che nelle assemblee unitarie di tutta la sinistra a sostegno dello sciopero generale del 12 dicembre venissero discusse le inchieste operaie della Fiom e i punti concreti della piattaforma della Cgil, invece di continuare a baloccarci sull'equidistanza del Pd tra impresa e lavoro (argomento, ahimè, troppo noto per rivestire interesse). Dobbiamo elaborare nostre proposte, di segno opposto alla ricetta anticrisi dei governi europei, fatta di grandi opere e pubblicizzazione dei debiti contratti da avventurieri della finanza.
Galapagos, sul "manifesto", ha avvertito che la diminuzione del monte salari, nel corso dei prossimi mesi, sarà legata non solo alle dinamiche contrattuali, ma anche alla crescita impetuosa dei licenziamenti, ovvero al taglio dei salariati. E' infatti proprio in una condizione di crisi così acuta, che i poteri minacciati provano lo sfondamento autoritario. In questo quadro l'affermazione "Noi la crisi non la paghiamo" non è uno slogan. E' un programma politico, che richiede scelte attive finalizzate a nuove assunzioni, soprattutto in settori strategici (dalla ricerca allo sviluppo di nuove risorse energetiche e per la difesa dell'ecosistema), ed è anche una dichiarazione di intenti, perché comporta il moltiplicarsi degli atti di disobbedienza e di insubordinazione rispetto al nuovo ordine autoritario che la crisi vorrebbe giustificare.
La sinistra che nasce deve stare qui, al servizio, prima ancora che in rappresentanza, dell'eccedenza di conflitto che si sta producendo. Per questa ragione è improprio collocare la formazione del processo costituente della sinistra entro confini consueti e comunque esauriti, come quello di un nuovo centrosinistra. Non si tratta di negare l'interlocuzione con il Pd, ma di delineare l'autonomia di una proposta in grado rispondere alla sfida del fare politica in una società in subbuglio, priva di coordinate di rappresentanza riconoscibili. La sinistra, al tempo della crisi, deve avere un progetto di governo, inteso non come occupazione dei posti di potere ma come governo della trasformazione economica e sociale.
E' altrettanto decisivo rendere esplicita l'individuazione del "chi" possa esprimere la soggettività della sinistra. L'attuale panorama politico è inibito a pensarsi come il luogo privilegiato entro nel quale gli uomini e le donne della sinistra possono essere realmente rappresentati. Pesano la frammentazione dei soggetti politici, la nostra perdita di credibilità, il logoramento stesso della forma partito. Pesa la sconfitta. La costruzione di un processo di unificazione deve quindi andare ben oltre la somma dell'esistente. Deve riuscire a incrociare i tanti e le tante che stanno nell'onda, nelle lotte operaie, nei percorsi di attivismo ambientalista e di richiesta di nuovi statuti di cittadinanza. La resistenza delle forze oggi presenti è, mi si permetta l'uso di una terminologia così netta, egoista e inefficace. Comprendo, ovviamente, l'esigenza di svolgere un ruolo in questo contesto, e tuttavia, facendosi carico della sconfitta, bisogna, anche in questo caso, sapersi mettere al servizio di altri. Il nostro ruolo, oltre all'avanzare proposte, può essere il costruire strumenti di partecipazione orizzontale e pienamente rappresentativi dei vari territori, consegnando loro lo spazio ed il tempo delle decisioni sulle scelte.
La vittoria di Barack Obama ha dischiuso l'immaginario collettivo alla potenza trasformatrice della partecipazione. Una lezione certo antica, ma che ha bisogno di essere rivissuta nell'esperienza diretta dei potenziali protagonisti per essere percepita come possibilità concreta. Ed è soprattutto sulla partecipazione e sull'inclusione che possiamo contare per la nostra impresa. L'associazione "Per la sinistra" è nata con questa disposizione. Ecco perché essa è già un pezzo del percorso costituente, non la promessa di un tempo a venire.
In molti, non a torto, indicano però anche la presenza di urgenti contingenze, in particolare la necessità di fare opposizione al governo Berlusconi e le elezioni, amministrative ed europee. Fatico a pensare che le due cose, nell'immediato, possano essere concepite come percorsi incomunicabili. Il segretario di Rifondazione comunista ha scritto agli altri segretari delle forze della sinistra chiedendo un coordinamento delle forze politiche che hanno dato vita alla manifestazione dell'11 ottobre. Bene, anzi, peccato che nessuna forza l'abbia chiesto prima. Ma può bastare una richiesta del genere senza una proposta, visto anche il silenzio degli interlocutori? Non è invece possibile tentare di precisare, oltre che un luogo, anche una piattaforma comune di contenuti, per il breve periodo? Potremmo realizzare un programma minimo di intervento riconoscibile e potenzialmente efficace. Un'agenda di iniziative e di contenuti programmatici, immediatamente verificati con coloro che oggi sono in lotta. In questa chiave, anche il rapporto con il Pd potrebbe risultare più lineare, non stretto nella tenaglia tra sospetti di subalternità e rischi settarismo. Ma, allora, perché non comprendere che questa possibilità del coordinamento, che nasce dalla necessità diffusamente avvertita di fare "massa critica" per l'opposizione, possa spingerci a cercare anche soluzioni che garantiscano la necessaria efficacia nei prossimi appuntamenti elettorali?
È vero, si dirà, "le elezioni europee non hanno l'obiettivo di sostituire il governo Berlusconi". Ne siamo sicuri? Il blocco di consenso berlusconiano non risentirà del risultato elettorale, né di come esso si comporrà? L'azione anti frammentazione di una lista di coalizione, come suggerisce anche Mario Tronti, non rappresenta anche una risposta immediata e precisa alla attuale deriva bipartitica asimmetrica (quella cioè dove la destra è stabilmente maggioritaria)? Non è capitato a nessuno, oltre al sottoscritto, nonostante la delusione della Sinistra arcobaleno, di ascoltare gli appelli frequenti a non dividersi? E poi, qualcuno è in grado di spiegare perché mai una coalizione elettorale sarebbe stata più facilmente accettabile in presenza di uno sbarramento alto? Siamo sicuri che in quel caso non sarebbe stata presa per pura difesa del proprio interesse elettorale?
Ai più critici chiedo di fare la "prova", chiedendo alla nostra gente di esprimersi direttamente e democraticamente su questo punto. Sono convinto che anche l'efficacia dell'opposizione riprenderebbe per questa via vigore, poiché verrebbe percepita chiaramente la presa in carico di una responsabilità immediata di rappresentanza larga.
Per le elezioni amministrative le considerazioni sono più stringenti. Considero molto positive le costruzioni unitarie che si stanno producendo sui territori. Sarà la maggior vicinanza con i sentimenti e le aspettative delle persone, ma trovo in queste esperienze un grado di maturità e generosità ben superiore a quello dei gruppi dirigenti nazionali. Queste esperienze si basano sull'assunto, neanche troppo da esplicitare, che la legittimazione può avvenire solo attraverso una partecipazione orizzontale. Perciò si fa ricorso a strumenti ancora grezzi, ma utilissimi, dalle primarie alle consultazioni popolari. Guardare a queste esperienze, fuori dalla pretesa di dare la linea, può davvero insegnarci molto.
Ricominciamo, senza timori, a dare qualche segno di vita. Potrebbe essere più semplice del previsto.



26/11/2008

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