“Il massacro, a Genova, c’è stato di nuovo”. Sono queste le prime amare parole con cui Gennaro Imbriano , Segretario provinciale di Rifondazione, ha commentato la sentenza che ha, in buona parte, assolto i responsabili per il violento blitz alla scuola Diaz.
“Anche stavolta, così come era accaduto durante le giornate del G8, è stata colpita duramente la democrazia italiana e la nostra Costituzione.
Chi, come me, partecipò alle manifestazioni altermondialiste genovesi, ricorda perfettamente la sensazione di una autentica sospensione dello stato di diritto. Allora fu applicata, senza che nessuno lo dichiarasse apertamente, la ricetta riproposta in queste ore dal Senatore Cossiga: infiltrare il movimento, far accadere episodi di teppismo in stile black-block che poi potessero giustificare la violenza delle cariche e dei pestaggi a danno di pacifici manifestanti.
Questa sentenza assolutoria, pur in presenza di decine e decine di ragazzi letteralmente massacrati dalle forze di polizia, sembra un lasciapassare per chi oggi è chiamato, dal Governo, alla declinazione dell’emergenza e alla pratica della tolleranza zero. Contro l’Onda degli studenti, contro i migranti e i poveri, contro lo sciopero generale della Cgil, e anche contro gli ambientalisti e i comitati che si oppongono al Piano rifiuti di Bertolaso-Berlusconi.
La sinistra è chiamata alla costruzione, nella politica e nella società, di un ampio fronte di opposizione al Governo delle destre”.
domenica 16 novembre 2008
Genova. Sentenza sulla scuola Diaz: Un nuovo massacro.
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1 commento:
Il vuoto del diritto
di GIUSEPPE D'AVANZO - la Repubblica
COME per Bolzaneto, la sentenza del processo per i pestaggi nella scuola
Diaz è una sentenza pessima, quali saranno le motivazioni che la
sosterranno. È soprattutto una sentenza imprudente e pericolosa. Vengono
condannati soltanto i "picchiatori" del Reparto Mobile di Roma, il
comandante, il suo vice, i capisquadra.
Con loro, condannati i due poliziotti che s'inventarono, trasportandole
nella scuola, le due bottiglie molotov che avrebbero dovuto giustificare la
"perquisizione" diventata massacro di 93 persone sorprese nel sonno. Come
per Bolzaneto, questa sentenza avrebbe dovuto spiegare come, perché, con la
responsabilità di chi, nasce in una democrazia un "vuoto di diritto" che
liquida le regole del diritto penale e le garanzie costituzionali e consegna
la nuda vita delle persone, spogliata di ogni dignità e diritto, a una
violenza arbitraria, indiscriminata, assassina.
La risposta del tribunale è stata, più o meno, questa: c'è stato un gruppo
di esaltati che è andato oltre il lecito, tutto qui, e due disgraziati che
per metterci una pezza, a frittata fatta, hanno manipolato una prova.
L'intera catena di comando, a cominciare dal capo della polizia (nel 2001,
Gianni De Gennaro) si è fatta prendere la mano e ingannare come l'ultimo del
più sprovveduto dei gonzi. Così il Dipartimento della pubblica sicurezza è
stato convinto a stilare un comunicato in cui non c'è una frase che non
risulti falsa o controversa.
E' fuor di dubbio che la ricostruzione dell'accusa ne esca a pezzi.
L'assoluzione dei "vertici apicali" della polizia (Giovanni Luperi e
Francesco Gratteri) smentisce il lavoro dei pubblici ministeri. Avevano
sostenuto che l'"operazione Diaz" fu "decisa, pianificata e organizzata dal
vertice del Dipartimento della pubblica sicurezza"; che "l'iniziativa era
diretta al riscatto dell'immagine delle forze di polizia gravemente
compromessa dall'inefficace azione di contrasto alle violenze e
degenerazioni dell'ordine pubblico durante le manifestazioni di protesta
contro il vertice del G8".
Al contrario, per il tribunale non c'è stata alcuna pianificazione del
Dipartimento e le violenze brutali, i fermi e gli arresti illegali sono
farina del sacco di un pugno di subalterni che non sono riusciti a
controllare il loro odio. L'esito minimalista del processo non spiega troppe
cose (le perquisizioni arbitrarie, la costruzione di false prove, "la totale
inosservanza delle regole del diritto", quella notte e nei giorni
successivi) e soprattutto non "chiude" lo strappo creato tra le istituzioni
e una generazione che, in quei giorni, si riaffacciava sulla scena politica
dopo un lungo letargo.
Quale che siano le motivazioni della discutibile sentenza, è su questo
vulnus tra lo Stato e la società che bisogna riflettere perché i pestaggi
della Diaz e le torture di Bolzaneto pongono questioni che sarebbe
dissennato accantonare o anche soltanto trascurare. Qual è il mestiere delle
polizie in questa congiuntura politica? E quali sono le garanzie che venga
svolto in modo corretto?
In uno "Stato legislativo", dove quel che conta è la legalità e chi esercita
il potere agisce "in nome della legge", le burocrazie sono "neutrali", uno
strumento puramente tecnico che serve orientamenti politici diversi e anche
opposti, e le polizie hanno una funzione meramente amministrativa di
esecuzione del diritto. Questo governo, in carica anche nel 2001, ha
inaugurato la sua stagione "riformatrice" con ben altre convinzioni. Non
vuole essere l'anonimo esecutore di leggi e norme. Non intende governare in
nome della legge, ma in nome della "necessità concreta". Pretende che si
muova dietro le "emergenze" (autentiche o artefatte, che siano), dietro le
"situazioni" che ritiene prioritarie. Berlusconi s'immagina alla guida di
uno "Stato governativo" che si definisce per la qualità decisiva che
riconosce al comando concreto, applicabile subito, assolutamente necessario
e virtualmente temporaneo, sempre conflittuale perché esclude e differenzia.
In questo scorcio di legislatura si sta creando così un paradigma
istituzionale "duale" che affianca alla Costituzione una prassi di governo
che vive di decreti con immediata forza di legge e trasforma il comando in
un ininterrotto "caso d'eccezione" (immigrazione; sicurezza; Alitalia;
rifiuti di Napoli; riforma della scuola).
Nello "stato d'eccezione", le polizie hanno un ruolo essenziale. Berlusconi
evoca con regolarità un "diritto di polizia" e un uso della violenza o
minaccia poliziesca quando i suoi obiettivi appaiono non condivisi o in
pericolo (contro gli immigrati, contro i napoletani incivili, contro le
proteste negli aeroporti, contro le manifestazioni degli studenti). Chi,
nelle burocrazie, non sta al gioco, va a casa. Come è accaduto ieri al
prefetto di Roma, Carlo Mosca, custode di una concezione di burocrazia
professionale che, alla decisione politica (impronte per i bambini rom),
oppone il rispetto della legge e della Costituzione.
Mosca è stato "licenziato" perché Berlusconi chiede - al contrario - che le
burocrazie condividano la capacità di assumersi il suo stesso rischio
politico, come fossero un'élite politica e non istituzionale e non neutrale.
E' una novità di cui bisogna tener conto. E' quel che esplicitamente chiede
alle polizie Francesco Cossiga con la sua "ricetta democratica".
Cossiga ha spiegato come distruggere l'Onda, il movimento degli studenti:
"Bisogna infiltrare gli studenti con agenti provocatori pronti a tutto, e
lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi,
diano fuoco alle macchine, mettano a ferro e fuoco le città. Dopodiché,
forti del consenso popolare, le forze dell'ordine non dovrebbero avere pietà
e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li
rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare a sangue anche
quei docenti che li fomentano".
Cossiga (un uomo che sarebbe sciagurato considerare soltanto uno spericolato
irresponsabile) dice quel che altri, nella destra di governo, pensano
soltanto. Le polizie, nello "Stato governativo" preteso dalla destra, non
dovrebbero più avere soltanto una funzione di mera esecuzione del diritto,
ma farsi agenti attivi della sovranità del governo, muoversi in quell'area
indifferenziata tra violenza e diritto che sempre definisce, nel caso
d'eccezione, il comando del sovrano e il potere delle polizie.
Ora quel che si paventa per il domani è già accaduto ieri, a Genova, durante
i giorni del G8. E' accaduto proprio nelle forme augurate oggi da Cossiga.
Black Bloc che distruggono la città senza alcun contrasto. Black Bloc che si
allontanano indisturbati mentre appare la polizia che si avventa contro i
manifestanti inermi, pacifici, a braccia alzate e, nella notte, contro i 93
ospiti della scuola Diaz che si preparano al sonno o nel garage Olimpo di
Bolzaneto dove vennero ancora umiliati e torturati. Con il risultato che una
generazione che, per la prima volta, scopriva la dimensione politica fu
consegnata alla paura, alla solitudine, alla disillusione.
Dopo sette anni, la situazione non è diversa. Il governo è lo stesso, solo
più lucido, determinato e coeso intorno alla figura del leader carismatico.
Nelle strade c'è un nuovo movimento di giovani che rifiuta un progetto di
ordine sociale che annuncia esclusioni e differenze, che si oppone alla
caduta di ogni garanzia di eguaglianza. Che cosa faranno le burocrazie dello
Stato? Che cosa faranno le polizie sospinte nello spazio stretto tra la
politica e il diritto, tra la violenza e la legge? Il processo di Genova ci
dice che in uno Stato che si presenta come questurino c'è chi è disponibile
a un'illegalità criminale quando il dissidente diventa un "nemico" da
annientare.
Sono buone ragioni per non accontentarsi di una sentenza, per non chiudere
il "caso Genova" nel perimetro di un'aula giudiziaria. In un tempo di aspri
conflitti sociali, già inquinati da un estremismo fascista che minaccia
l'informazione, il sindacato dei lavoratori, le proteste sociali e le forme
di dissenso, il Paese deve sapere se può contare su una polizia fedele alla
Costituzione o dovrà fare i conti anche con una burocrazia della sicurezza
gregaria di un governo che prevede il rischio assoluto, il conflitto
continuo, lo "sfondamento", una polizia sottomessa a un ordine capace di
riservare all'interno del Paese la stessa ostilità che si riserva a un
minaccioso "nemico" esterno.
Anche ora che la sentenza di Genova circoscrive le responsabilità a pochi
"fuori di testa", dalle forze dell'ordine dovrebbero giungere all'opinione
pubblica limpide e inequivoche rassicurazioni. Chi ha a cuore la
Costituzione, nelle istituzioni, nella società, nella politica, dovrebbe
invocarle. Perché le sentenze per la Diaz e Bolzaneto più che rasserenare,
inquietano. Più che medicare le ferite, le fanno ancora sanguinare.
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