giovedì 12 giugno 2008

Le ragioni di una sconfitta.

di Fausto Bertinotti.
Questa volta indagare le ragioni della sconfitta è un'operazione politica di prima grandezza; un esercizio difficile e doloroso, una necessità inderogabile, il cui esito, unito all'ampiezza e alla qualità della sua condivisione, sarà assai influente sulle stesse sorti dell'impresa per la ricostruzione della sinistra in Italia. Sono la stessa natura e la profondità della disfatta a rendere la ricerca delle sue cause così impegnativa. Si tratta dunque di un lavoro da cominciare senza pensare di poter essere autosufficienti, e dunque cercando di attivare tutte le relazioni e le collaborazioni possibili a sinistra e nel campo delle diverse discipline, e da proseguire, senza pensare di poterlo chiudere e archiviare rapidamente. Decisiva, come sempre, sarà la capacità di tenere la ricerca in un rapporto concreto, dialogico con le esperienze di lotta e di movimento nel nuovo e difficile campo d'azione che si è venuto configurando dopo la sconfitta e col nuovo assetto istituzionale, politico e sociale del Paese. Aiuta la possibilità di capire le ragioni della sconfitta l'analisi dei vincitori, l'analisi della destra italiana. E' già stata chiamata la Nuova destra. Non credo impropriamente; essa ha mostrato una forza propria considerevole, una presa dura e originale con la modernizzazione che investe la società italiana. Nessuno più dei fattori identitari delle diverse destre italiane che avevano caratterizzato la loro storia ormai la definisce più. Non l'eredità del fascismo, non l'assolutizzazione dello stato nazione e neppure il liberismo.

L'ingresso della destra nella modernizzazione, candidandosi ad essere la forza più vocata ad accompagnarla, l'ha deideologizzata, consentendole di recuperare poi scampoli e tracce delle diverse tradizioni della destra e di ricomporle in una politica definita proprio sulle risposte da dare alla crisi sociale e politica e istituzionale provocata dalla stessa modernizzazione. Non fascista, ma in grado di usare elementi di quella cultura e dei suoi depositi nel coltivare l'avversione dura e prepotente ad ogni diversità specie quando l'insicurezza si tramuta in paura e la figura del capro espiatorio riemerge dalle tenebre come lenimento proprio delle paure. Non l'assolutizzazione della patria-nazione, ma un pragmatico e cinico uso del suolo nativo, fino a comprendere persino la piccola patria delle leghe, per esorcizzare lo storico problema delle migrazioni di massa nel mondo globalizzato delle diseguaglianze mortali. Neppure pienamente liberista così da smarcarsi rispetto al neoliberismo impotente dei suoi ideologi di centro-destra come di centro-sinistra - il partito di Maastricht - e contemporaneamente aderirvi pienamente sul tema cruciale del rapporto lavoro-impresa-mercato fino a configurarsi come il partito dell'impresa (e della Confindustria). Un potente arlecchino che rispecchia la scomposizione della società, il frantumarsi anche delle soggettività forti, un arlecchino che miscela i suoi colori e le sue cento tessere con gli istinti che animano la società civile confezionando un'idea generale di restaurazione che poi rinvia alla società trasformandola in politica, senza che però ne abbia più l'apparenza: una sottile proposta di complicità. La Nuova destra cambia il registro della politica e la destra smette di essere minoritaria, ruolo a cui l'aveva consegnata la rottura operata dalla Resistenza e il lungo dopoguerra italiano. Neppure i precedenti governi di Berlusconi avevano risolto alla destra questo suo problema storico. Ma ora l'Italia è davvero entrata in una nuova era politica. Bisognerà tornare su un tema propriamente gobettiano, quale quello dell'autobiografia di una nazione, per riflettere approfonditamente sulle onde lunghe che solcano la storia del nostro paese, sui costi e sulle impronte corrosive lasciate dalle mancate rivoluzioni e dalle maturazioni impedite in tornanti decisivi della sua storia, per capire meglio cosa sia accaduto nello scomporsi e nel formarsi delle coscienze e dei nuovi linguaggi in questa modernizzazione senza modernità che ci ha investito. Capire a fondo cosa sta prendendo corpo sulla disfatta della sinistra, sulla cocente sconfitta del PD e sulla vittoria della Nuova destra, oltreché essere una bussola per la costruzione dell'opposizione nel paese, è anche assai importante per risalire alla causa di fondo della sconfitta e per affrontarla. Ci sono parole che vanno maneggiate con cura, in politica, perché possono produrre, se si affermassero, quando sbagliate, guai molto seri. Tanto più sono pesanti, tanto più vanno vagliate con particolare attenzione. Una di queste è la parola regime. Proprio la considerazione della centralità dei movimenti nelle politiche della sinistra, proprio l'esigenza primaria di non sottovalutarne mai la realtà concreta quando si manifestano, né le loro possibilità di affermazione e di crescita, proprio l'esigenza di ricercarne tutti i varchi che si possano aprire nel sistema politico, economico e sociale induce ad una giusta diffidenza nei confronti di questa definizione della realtà che indica una situazione se non impossibile (quando mai ce n'è una?) certo molto chiusa. Perciò non ci convinse il ricorso al suo uso di fronte al precedente governo Berlusconi, quando, pur in presenza di elementi assai preoccupanti, grandi contraddizioni animavano, più in generale, il quadro del paese. Ben diversa è la condizione attuale. Credo si debba ora azzardare la tesi, in prima approssimazione e sottoponendola a verifica critica, che quello che sta prendendo corpo è un nuovo regime, il regime leggero. Prendendoci una qualche licenza, si può dire che lo connota l'a-privativa; privativa della stessa politica, se intesa in senso forte come, cioè, idea di società. Nessun terreno è escluso dalla privazione, nell'organizzazione della democrazia, della rappresentanza, del governo. Comincia dalla Repubblica. L'avvio l'ha fornito il discorso di Fini di apertura della legislatura e, più ancora, la fortissima area di consenso con cui è stato salutato quello che si proponeva come il discorso del primo Presidente della Camera della nuova Repubblica, seconda o terza che sia. Con l'arco costituzionale veniva fatto cadere il fondamento della Costituzione repubblicana, la discriminante antifascista, nella sua forza generatrice, almeno come potenzialità aperta, di una nuova nazione, di un altro paese. L'uscio tornava così sui vecchi cardini, ma proprio nel senso contrario a quello allora auspicato da Salvemini. Ci dovrebbe toccare, d'ora in poi, una Repubblica a-fascista e, dunque, a-antifascista , una Repubblica senza radici e senza storia. Al suo interno, il Parlamento non è più il luogo dello scontro tra governo e opposizione, del confronto rispettoso delle persone ma netto nell'opposizione delle politiche, affinché siano chiare le scelte e leggibili gli interessi che vengono rappresentati. Il Parlamento si presenta ora come luogo non già della rappresentanza, ma della governabilità, e tutto intero si configura come una sorta di governo allargato; solo resta una diversa nuance, ma all'interno della medesima dimensione, quello tra governo reale e governo ombra. Un Parlamento a-politico. E' come se sotto gli scranni del Parlamento ci fosse una gigantesca calamita che tira verso il governo, la calamita del mercato. La stessa forza che attrae dentro queste istituzioni, l'altra grande metà della politica, le relazioni sociali. Anche le relazioni sindacali che si stanno ridefinendo (perché con il governo?) vanno in direzione dell'allargamento del governo coinvolgendovi le parti sociali in una concertazione che da eccezione è diventata regola e ora si accinge a farsi sistema, vanificando ogni autonomia del sindacato, sospinto a farsi istituzione tra le istituzioni. Così la a privativa arriva direttamente al cuore della democrazia, al conflitto. Se negarlo è impossibile, quel che invece è possibile è sospingerlo in una dimensione patologica perché priva della legittimazione sociale e politica garantita solo dal riconoscimento del suo carattere progressivo e di attore della giustizia sociale. Relazioni sindacali e sociali a-conflittuali guidate da parametri esterni alla condizione di lavoro ne costituiscono il suggello. Si consuma così in un "regime leggero" la crisi profonda della rappresentanza democratica che ci costringe a percorrere un impegnativo cammino a ritroso per indagarne i prodromi, le anticipazioni, i processi di passivizzazione, di spoliticizzazione, le distrazioni colpevoli, gli errori della sinistra e i nostri in essa. E' infatti nella lunga e strisciante crisi della democrazia, nella progressiva sostituzione della rappresentanza col governo che si è consumata la crisi della sinistra. Così come, al contrario, nel caso italiano, cioè nella straordinaria stagione del cambiamento, l'allargamento della democrazia e la sua apertura alla democrazia conflittuale e partecipata aveva accompagnato l'ascesa della sinistra, così nella crisi della democrazia si consuma la crisi della sinistra e il suo crollo elettorale. E se quella è stata la stagione delle passerelle, dei ponti, delle cerniere che consentivano gli attraversamenti, le contaminazioni arricchenti, l'ingresso dei prima esclusi, questa che si vuol aprire oggi è la stagione del fortino: chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori. Dentro il sistema, dentro il governo allargato; fuori dal governo allargato, fuori dalla rappresentanza. La questione della sinistra nella politica, della sua disfatta come della sua possibile ricostruzione, si fa, forse, più chiara anche se non di più facile soluzione. In ogni caso è evidente che si tratta di un destino che condivide, di fatto, con le forze sociali e culturali che nella società si trovano ad affrontare il tema del loro riconoscimento, dell'inclusione. Per loro, in primo luogo, vale oggi il dentro o fuori. Bisognerà ricordare che la diffusione anche delle più orribili tendenze xenofobe e di discriminazione si alimentano nel corpo della società quando si rivelano, cinicamente funzionali a difendere assetti sociali, altrimenti indifendibili. Dall'impedire che tutto ciò si consolidi in regime dipende ormai il futuro della sinistra. L'avvento di quello ha segnato la cancellazione della sinistra. Il rischio ci era presente. Solo per testimoniarlo ci permettiamo di ricordare ciò che Alternative per il socialismo scrisse sul suo secondo numero, il luglio di un anno fa: "La sinistra in Europa si trova oggi di fronte alla sfida forse più difficile della sua storia: quella dell'esistenza politica. Non è solo, come è successo tante altre volte, il rischio della sconfitta, dello scompaginamento, di un duro ma temporaneo ridimensionarsi della sua forza: quel che si affaccia è l'orizzonte di un vero e proprio declino. E questa volta l'urgenza della risposta è davvero grande: non ci sono dati nè tempi lunghi nè solide certezze sugli strumenti con i quali attrezzarsi. E' un po' come quando tocca insieme correre e cercare la strada, ed è anche possibile che non si riesca a trovarla. Ma se finisse così l'esito sarebbe drammatico: l'eredità del movimento operaio del '900 ne sarebbe, semplicemente, cancellata". Rossana Rossanda lucidamente parlò all'inizio della campagna elettorale della sfida, per la Sinistra l'Arcobaleno, consistente nel portare a casa la pelle. La crisi era evidente, il rischio di scomparsa era, drammaticamente, nel novero delle cose prevedibili. Non ne avevamo però previsti i tempi e i modi, non avevamo previsto (non lo aveva previsto nessuno) la violenta accelerazione della crisi, il suo esito elettorale disastroso. La sinistra è stata messa dal voto fuori dal Parlamento; il PD è stato sconfitto. Per le forze della Sinistra l'Arcobaleno, la débâcle è senza appello. Ma è nel paese che si è aperto il vuoto più inquietante, il vuoto della sinistra politica.
(...)
*Questo articolo, di cui qui pubblichiamo solo la parte relativa alla premessa, appare oggi, per intero, sul quotidiano “La Repubblica”, informiamo, inoltre, che il testo completo sarà presente sul prossimo numero della rivista "Alternative per il socialismo".

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Le ragioni della sconfitta?
Articoli troppo lunghi!!!

Anonimo ha detto...

Verissimo, quello pubblicato era, infatti, un saggio... Nonostante la lunghezza, ci sembrava, però, utile tenerlo, almeno per qualche giorno, sul blog... Come vedi, abbiamo deciso di tenere on-line solo la parte iniziale fornendo, però, a chi ne ha voglia, tutte le indicazioni per trovare la parte rimanente rimandando per una lettura completa o al quotidiano la Repubblica - sia cartaceo che on line - o, ancora meglio, visto il pregio di ulteriori contributi di analisi, alla rivista "Alternative per il socialismo, in questi giorni in uscita. Grazie dell'attenzione e della pazienza.

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