domenica 22 marzo 2009

Vendola ad Avellino: «Ripartiamo dall’unità per restituire speranza al Paese».

di Marco Staglianò - Buongiorno Irpinia
«Lungi dal volere essere un cartello elettorale, Sinistra e Libertà rappresenta una speranza da costruire contro la fabbrica della paura berlusconiana. Ripartiamo oggi per un nuovo cammino, il cui approdo dovrà essere quello dell’unità della sinistra del ventunesimo secolo. Una sinistra unita e rinnovata, capace di superare le gabbie della chiusura identitaria, per coniugare il proprio capitale storico in un nuovo linguaggio capace di inserirsi nelle fratture di una società dinamica ed in continua evoluzione. Una sinistra che in Irpinia vuole contrastare l’avanzata di una destra antimeridionale ed antidemocratica, che cerca ancoraggio nel trasformismo demitiano. Una sinistra che vede nella propria coesione ideale e nella propria unità, la via maestra per spingere il Partito democratico sul terreno del rinnovamento e che proprio per questo, si presenterà alle prossime amministrative con liste unitarie, aperte anche a coloro che hanno scelto pretestuosamente di non essere qui stasera». Questo, in sintesi, il senso delle riflessioni sviluppate dal dirigente provinciale del Movimento per la Sinistra, Gennaro Imbriano, all’incontro tenutosi ier presso la sala convegni del Viva Hotel di Avellino, per presentare il nuovo cartello elettorale che ha unito Movimento per la Sinistra, Verdi, Sinistra democratica e Partito Socialista. Un progetto che se pare essere decollato a livello nazionale, in Irpinia si è arenato sullo scoglio delle divisioni, tra chi, come Sinistra democratica, ha scelto la strada del centrosinistra alternativo, e chi, invece, ha scelto di seguire la strada del confronto programmatico con il Pd. Il discorso di Imbriano, ha preceduto quello di diversi esponenti della sinistra irpina, tra cui quello del Presidente provinciale dei Verdi, Pasquale Puorro e del socialista Giuseppe Sarno. Ma a suonare la carica di «una sinistra che vuole rinascere dal rifiuto dei vecchi simboli e dalla nostalgia dei muri abbattuti dal peso della storia», ci ha pensato il Presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola. Un discorso avvolgente nella retorica ma solido nei contenuti, più volte interrotto dagli applausi di una platea tanto folta quanto partecipe, tra le cui fila spiccava la presenza di tanti dirigenti provinciali del Partito democratico, primo fra tutti, il segretario Vittoria. Parte da lontano Vendola. Parte, cioè, dalla descrizione di un mondo in evidente trasformazione, nell’ambito del quale «la vecchia Europa appare sempre più vecchia perchè avviatata sulle proprie paure. L’Europa della xenofobia e delle piccole patrie, che ha in una Chiesa Cattolica reazionaria, chiusa in un dogmatismo sterile e distante dal sentore degli stessi credenti, il suo vero emblema. Una Chiesa che per bocca del suo Pontefice, da un lato punta il dito contro l’uso del preservativo in Africa, e dall’altro riabilita, tra le fila del Clero, le peggiori espressioni del conservatorismo clerico fascista. Ma il mondo cambia. L’Africa violentata dal potere delle multinazionali vede lentamente fiorire nella sua pancia i semi dell’emancipazione. Il Sud America, che per tanti decenni è stato il teatro delle sperimentazioni dittatoriali di matrice statunitense, oggi risorge grazie al democratico diffondersi di un vero riformismo socialista. E poi c’è il coraggio di Obama. Di un Presidente che con quattro parole, nel proprio discorso di insediamento, ha consegnato definitivamente alla storia tutto il paradigma neoconservatore, dandoci l’esatta misura di quanto sia vecchia l’Europa, e di quanto in quest’Europa, l’Italia di Berlusconi assuma il ruolo più regressivo. Basti in tal senso riflettere su quanto siano distanti le risposte date alla crisi da questo esecutivo rispetto a quelle date da Obama sul fronte della tassazione, dell’istruzione e della sanità. Mentre li si tassano i redditi più alti, si finanzia l’istruzione e la ricerca e si investe nella sanità, qui si fa l’esatto contrario. Viviamo in un regime che fonda la propria forza sulla connessione tra regressione culturale e regressione civile. Un regime che nasconde la tragicità di una crisi che solo in Puglia ha visto negli ultimi due mesi, più di 25000 lavoratori andare in cassa integrazione. Una crisi alla quale si risponde non finanziando gli ammortizzatori sociali o proponendo una moratoria sui licenziamenti, ma offrendo al popolo bue, il capro espiatorio costituito dal diverso, dal rom, dal clandestino. Viviamo in un regime che ha rielaborato in senso regressivo il panorama valoriale di un popolo, imponendo per mezzo di un insopportabile strapotere mediatico, un vocabolario che non esito a definire parafascista. Definiscono gli studenti che protestano pacificamente, guerriglieri. Schedano i barboni. Invitano i medici a tradire il giuramento di Ippocrate, e violentano la sofferenza di un padre che cerca di regalare alla propria figlia una morte dignitosa. Istituiscono le ronde e per paura di quello che potrà accadere di qui a qualche mese, restringono il diritto allo sciopero ed attaccano il mondo del lavoro. Viviamo in un regime che ci ha fatto sprofondare nelle tenebre medioevali e al quale occorre opporsi con la speranza. Quella speranza che vogliamo e dobbiamo ricostruire ripartendo da noi stessi, dai nostri sogni e dalle nostre idee. Noi abbiamo l’orgoglio e l’ambizione di rappresentare una sinistra senza più aggettivi connotativi. Una sinistra consapevole dei propri fantasmi e vogliosa di liberarsi dalle vecchie gabbie identitarie. Una sinistra che vuole ripartire dal lavoro e dall’ambiente, per costruire un mondo davvero libero. Dobbiamo riappropriarci della parola libertà. Quella parola fa parte del nostro dna ma oggi pare essere di proprietà della destra. Ce l’hanno rubata. La vera libertà non è scegliere tra mille canali televisivi che ti propinano quoridianamente sempre la stessa merda. La verà libertà non è quella che vuole piegare l’esistenza delle donne ai bisogni degli uomini. La vera libertà è quella dai luoghi comuni, dalla paura e dall’ignoranza. Ma per ricostruire una sinistra capace di riappropriarsi della parola libertà, dobbiamo riaprire quel libro prodigioso che contiene tutte le parole del mondo. Dobbiamo comprendere che non basta sventolare una bandiera con la falce ed il martello per essere credibili. Servono simboli e linguaggi nuovi. Serve cioè una sinistra capace di rinominare e di descrivere il mondo con parole nuove. Al cospetto di un mondo nuovo, una sinistra che dice di sapere già tutto è destinata a morire precocemente. Il nostro cammino sarà lungo ed insidioso, ma se sapremo riscoprire il valore del dubbio, girando le spalle ad un’autoreferenzialità goffa e salottiera, potremo restituire la speranza al nostro popolo».

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