di Generoso Bruno - LIBERAZIONE
Andretta (Avellino) In più di diecimila, lunedì sera, hanno risposto all'appello di Vinicio Capossela e dei comitati anti-discarica in difesa dell'altipiano del Formicoso. Faceva strano vedere le interminabili file di automobili in sosta lungo le due strade che dal centro di Andretta arrancano, normalmente solitarie, verso il bacino di Pero Spaccone.Il Formicoso è uno spazio apparentemente fatto di nulla, se contrapposto, come da questo governo, alla Napoli del "tutto", miracoli compresi. Qui, a novecento metri sul livello del mare, dove il conflitto tra gli assi ortogonali sembra risolversi a vantaggio della quiete percettiva dell'orizzonte e, dove gli unici elementi che tagliano il nostro sguardo in verticale, come gigli votivi alla speranza di progresso, sono le strutture dei parchi eolici, a pochi giorni dai carotaggi disposti, per il 25 agosto, dal governo Berlusconi, si è aperta, con l'intervento di Vinicio Capossela, una settimana decisiva per un'intera provincia e per le sue comunità. Fin dalla prima sera di lunedì, la linea d'orizzonte tra Irpinia, Puglia e Basilicata è stata attraversata dai canti popolari a ritmo di tammorra e dai suoni percussivi, ancestrali, dell'electro-dub. Tanti gli artisti - Franco Arminio, Jambassa +Ketamo, Simone Carotenuto e i Tammorrati del Vesuvio, i Molotov, Pasquale e Paolo Iannarella, Caterina Pontelandolfo, i Folska - che nell'attesa del concerto di Vinicio Capossela, sul palco si sono avvicendati, quasi a sottolineare, tra gli interventi degli speaker ed i "comizi d'amore" del popolo del Formicoso, il legame matrilineare tra la terra e certi suoni bassi. Come poco più di mezzo secolo fa fecero i vecchi di queste terre, strappando il Formicoso al demanio ed al latifondo, qualche musicista lascia sventolare sul palco una bandiera rossa.Solo verso la mezzanotte, quindi, Vinicio Capossela, madre di Andretta e padre di Calitri, voce del Formicoso, prende la via del palco per cantare la rabbia del paesaggio. L'ingresso del cantautore irpino, è quello del giullare «allucinato - lo dice subito - da un Presidente del Consiglio che affida, sul tema dei rifiuti, la sua politica al simbolo littorio dello spazzolone» e, sulle note di "Marajà", lui stesso, armato di scopa, irride la demagogia del Berlusconi napoletano che, secondo il cantautore «sembrava, per avere la casa pulita, aver nascosto lo sporco sotto il tappeto». A Capossela, però, basta un cambio di cappello, chiaro, a tesa larga guarnito da lunga piuma, per cominciare ad essere, sotto una luna tintinnante come un antico tornese, il bardo dell'Irpinia d'Oriente. Vinicio Capossela ha cantato così, per oltre due ore, accompagnato anche dalla Banda musicale della città di Calitri, non le sue canzoni, quelle dei dischi, ma le canzoni che con la sua gente condivide, invitando sul palco, di volta in volta, come nell'officiare un antico rito, i cantori locali, autentici custodi delle parole e degli echi del Formicoso. Ancora una volta, l'esibizione di Vinicio Capossela e le canzoni della sua gente, a Pero Spaccone, sembrano rinnovare il miracolo di una cultura, popolare e resistente, che ancora conserva il sapore della fatica, il colore del grano ed il ricordo delle storie e de li cunti antichi. Sono le canzoni che danno il ritmo alla vita, alle sue stagioni, alla fatica, agli amori cortesi ma non troppo. Una opposizione popolare, quindi, alla concezione del mondo e della vita espressa dai governi e dalla cultura dei ceti dominanti che, sul tema dei rifiuti, sperimenta un nuovo modello di governance tesa ad imporre, con la forza, le scelte alle popolazioni all'interno di uno stato di normale emergenza e di eccezione. Diecimila persone sopra Pero Spaccone, l'altra sera, erano tante. Diecimila persone sopra Pero Spaccone, a difendere la terra, con tutto quel vuoto attorno che qualcuno vorrebbe riempire di mondezza, potrebbero, anche, non essere troppe. Ma da lunedì, in questo lembo dell'Irpinia d'Oriente, ci piace pensare che, come recita un antico testo ebraico, «non esiste spazio vuoto fra cielo e terra bensì tutto è pieno di schiere e moltitudini».
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