Per una rifondazione della Sinistra. L'intervento di Nichi Vendola a Chianciano.
Siamo qui, insieme, segnati da tante nostre stanchezze, bisognosi di misurare tutta la lunghezza della nostra sconfitta, ma anche sfibrati dalla pesantezza delle nostre divisioni. Ma qui, insieme, nelle forme che la razionalità politica saprà suggerire, dobbiamo ritrovare il bandolo di quella matassa che si è ingarbugliata: disarmando le parole che hanno acceso l’odio e spento la politica, riannodando i fili spezzati delle relazioni personali, non occultando le diversità (di cultura e di strategia) ma esercitando coerenza rispetto all’idea che le diversità non sono una minaccia ma una ricchezza. Appunto, imparando a conoscerci piuttosto che a prenderci reciprocamente le impronte digitali, imparando a confrontarci tra noi non col metro delle nostre biografie e delle nostre pregresse appartenenze, bensì col gusto di metterci in gioco, di far vivere le sensibilità come preziosi punti di connessione con interessi e protagonisti sociali, di scambiarci esperienze ed idee: altrimenti anche la nostra democrazia interna sarà una saga di anime morte, non allargamento e arricchimento, non capire di più e sentire di più e raccontare di più, ma semplicemente contarsi, separarsi, mummificarsi in un correntismo che ci chiude in noi stessi e nelle nostre fissità. Non sto invocando il galateo né ponendo una pura questione metodologica: le forme della nostra convivenza dicono per intero la cifra della nostra cultura politica, ovvero della nostra capacità di attraversare il deserto della sconfitta, non per cercare un riparo, un’oasi ideologica o un bunker burocratico, ma per ritrovare un orizzonte di speranza per rimettere a punto una mappa e ridarci un orientamento, perché la nostra offerta di politica possa incrociare una diffusa domanda di senso.Non abbiamo perso solo noi, non abbiamo perso solo le elezioni. Abbiamo perso molto di più: un intero abbecedario civile, un universo di simboli e valori, persino una certa cognizione generale di ciò che è giusto e di ciò che è ingiusto. Abbiamo perso la sfida del Novecento: quella contesa di classe e di civiltà che ha trasmutato il lavoro da merce povera e sporca, da compravendita di braccia, da dimensione biologica e privata, in epopea di ribellione e dignità, in dimensione sociale e narrazione corale, in emersione di un popolo che perdeva le fattezze opache della plebe e assumeva il volto nitido del moderno proletariato delle campagne e delle città. Il lavoro, fondamento costituzionale della democrazia repubblicana, pietra angolare di un duraturo e contrastato processo di incivilimento, oggi sembra regredito a quel fangoso punto di partenza: mercificato, alienato, parcellizzato, spogliato di legami sociali, , sempre più povero di tutele, nemmeno più raccontato o rappresentato se non nelle sequenze mortuarie delle cronache degli incidenti. La solitudine operaia è il prodotto finale di questa scientifica frantumazione dei corpi sociali che crepano di liberismo, di precarietà, di concertazioni che concertano la resa, di corporativismo che hanno progressivamente spoliticizzato le questioni del salario, dell’orario, persino della disoccupazione. E’ la solitudine di chi trova più consolazione nella cocaina che non nel sindacato. I contratti atipici sono la tipicità del lavoro intermediato da un caporalato arcaico e ipermoderno, di borgata e planetario. La precarietà è il racconto generale del lavoro senza classe. E rimbalza dal recinto produttivo fin dentro ogni interstizio della vita, di quella nuda vita che galleggia nella società liquida, di quella vita subordinata e serializzata, magari di quella vita migrante che precipita fuori di metafora e nella società liquida letteralmente affoga. Solo il mercato è solido, è l’unica terra, l’unico orizzonte, l’unica neo-socialità che residua nel tempo dell’individualismo proprietario: individui proprietari forse di null’altro che di pulsioni al consumo. Se non posseggono niente sarà colpa delle mani agili di un fanciullo rom o sinti o extra comunitario o extra terrestre: tagliare quelle mani, ammanettarle, manipolarle, manometterle, sarà la fantasia punitiva e l’ideologia vendicativa da offrire alla platea vastissima dei proprietari senza proprietà e dei ceti mediocri. Il capro espiatorio è una dura incombenza sociale, lo individui e lo bracchi e lo sacrifichi a qualche dio non per sadismo spirituale ma per necessità economica: indicare un nemico rinsalda il senso di appartenenza alla propria comunità, consente di trovare un colpevole delle inquietudini collettive, nelle stagioni di crisi e recessione sposta il tiro del disagio proletario su bersagli sottoproletari. La guerra tra poveri torna come idea di governo della transizione: ma è ovviamente un governo di guerra, una epifania di ombre premoderne che ottenebrano il diritto e limitano i diritti mentre le garanzie di libertà perdono il proprio respiro universalistico e diventano volgari guarentigie per l’establishment.I ricchi e potenti invocano l’habeas corpus e non tollerano che le loro voci siamo intercettate, mentre per i poveri e per gli irregolari vale la dura lex che alla pena del vivere aggiunge pene supplementari, pene grondanti pedagogie autoritarie, pene senza delitto, castighi senza colpa: per punire i poveri e perpetuare la povertà per punire i disobbedienti ed eternizzare l’obbedienza. Se la precarizzazione della società alimenta un crescente dolore sociale, la risposta del potere sarà una produzione seriale di paure. La destra è una gigantesca fabbrica di paure. E dunque più precarietà comporterà più repressione, il mercatismo sarà accompagnato dal sorvegliare e punire di quella deriva securitaria che è già scritta dentro la nostra attualità politica. E la Chiesa ratzingeriana spaventata dai ritmi violenti della secolarizzazione, si ergerà a sua volta come magistero della paura: paura dei desideri, paura della soggettività femminile, paura della libertà. E la sua gerarchia si sentirà protetta dagli imprenditori politici del ciclo della paura che la ricambieranno appaltandole il privato sociale, anzi la privatizzazione confessionale del sociale. Quanto lontane suonano le parole della “Gaudium et spes” e che cesura radicale dalla temperie di quel cattolicesimo conciliare che si apriva alla storia e progettava una Chiesa compagna del mondo.Nel mappamondo della precarietà scompaiono modi secolari di produzione di socialità: la città si spezza in cumuli di periferie, anzi si generalizza la forma di periferia che storicamente rappresenta la sintesi mirabile dell’alleanza tra rendita fondiaria e speculazione edilizia; si vive in non-luoghi; si struttura una condizione di nomadismo coatto, il mito delle radici è la sublimazione retorica di uno sradicamento senza precedenti. Le comunità si aggrappano ai territori, mere astrazioni geografiche assumono la dimensione di piccole patrie, un microcosmo di terra e sangue offre surrogati di identità e persino alfabeti politici. In questi spazi volatili, in questi tempi senza memoria e senza futuro, le generazioni faticano a raccontarsi e a scambiarsi storie e sentimenti: i vecchi vengono delocalizzati come esuberi dell’economia domestica, i bimbi con i crediti e i debiti scolastici vengono ammaestrati al mercato e alla competitività, l’educazione permanente della gioventù è affidata alle veline e ai velinari. Su questo piano inclinato è scivolata la sinistra. I nostri riferimenti sociali non ci hanno più capito: loro perdevano reddito e certo non guadagnavano in servizi, e poi perdevano in previdenza e poi perdevano in Welfare, alla fine hanno perso anche la pazienza e si sono congedati da noi, dal liberismo temperato del centro-sinistra ma anche dalle intemperanze improduttive della sinistra radicale. Tra il governo Prodi e il Paese reale vi è stato un terribile cortocircuito di intelligenza sociale e di efficacia politica. E al vuoto che si andava formando a sinistra noi abbiamo opposto - bisogna dirlo anche se è facile dirlo con il senno di poi - non una grande costruzione corale, una disseminazione di cantieri, una rete di pratiche sociali e la incubazione nell’immaginario collettivo di un’idea, di un programma, di un sogno: no, abbiamo opposto la precaria convivenza di apparati e infine un cartello elettorale. Quella sinistra arcobaleno affogata nel diluvio di aprile. Mentre il Pd consumava tutte le sue eredità nella velleità di un’autosufficienza che in realtà indicava il compimento dell’esodo dalla storia del movimento operaio e il congedo (da destra) delle culture politiche novecentesche. E quindi non solo la destra ha vinto, ma noi abbiamo perso. La destra ha prima convinto e poi vinto, e non solo nelle urne, ma nei sogni e negli incubi dell’opinione pubblica: ha vinto contro le tasse e contro la casta e contro gli zingari e contro i trans, ha vinto contro i fantasmi del pianerottolo e contro la monnezza del sottoscala. Ha vinto la lingua della destra, un impasto di plebeismo piccolo-borghese e di perbenismo clericale che sintonizzano le veline di Mediaset con l’industria del sacro, l’Isola dei famosi con l’ampolla del Dio Po, le telefonate oniriche di Berlusconi con le piroette no-global di Tremonti. Questa destra gioca con disinvoltura estrema la partita dell’egemonia, costruisce parole e scenografie suggestive, “parla come mangia” e entra dritta nello stomaco popolare: ma le sue scelte di politica economica hanno il segno della ferocia classista, i salari e le pensioni languiranno a lungo nella foresta di Sherwood ma di Robin Hood non vi sarà traccia, i tagli alla spesa pubblica saranno una secca decurtazione di diritti e di servizi socio-sanitari. Benetton forse salverà Alitalia, ma il salvataggio al netto di migliaia di esuberi, lo pagherà con i rincari delle tariffe autostradali e il federalismo viene annunciato mentre il Sud viene saccheggiato di risorse finanziarie e persino delle prerogative di spesa dei fondi comunitari.Questo è lo scandalo contro cui scendere in piazza e ricostruire un blocco sociale di opposizione: non c’è bisogno di volgarità per opporsi, c’è bisogno di politica. Di una politica centrata su una incandescente questione di disuguaglianza e di ingiustizia sociale. Le leggi ad personam sono oscene, ma non sono più oscene delle norme razziali. O della voglia di mutare le regole di ingaggio per i soldati italiani impegnati in Afghanistan. O del ritorno al business nucleare. O della cancellazione delle sanzioni alle imprese che violano le norme sulla sicurezza dei lavoratori. Bisogna costruire una vasta e ricca mobilitazione permanente, una opposizione plurale, civile e sociale, alle destre. È il primo compito di Rifondazione, anche nella contesa senza sconti e senza anatemi con il partito veltroniano, discutendo e costruendo luoghi comuni con le altre forze della sinistra di alternativa, predisponendosi alla battaglia elettorale per le amministrative del prossimo anno. E preparandosi a far vivere le pure imminenti elezioni europee non come un banale terreno di rivincita, ma come la prosecuzione della lotta della “sinistra europea” che deve raccogliere e capitalizzare il disagio continentale verso il modello di unificazione dettato dall’Europa delle tecnocrazie e delle banche. Bisogna tornare nella società, non fuggendo dalla politica, anzi criticando in radice qualunque sciagurata ipotesi di autonomia del sociale e di autonomia del politico. Il politicismo è una prigione. Ma l’esodo dalla politica è la rinuncia al cambiamento. Se non concordiamo su questo, a che vale citare i classici o celebrare Gramsci?Un partito politico lo si può sciogliere in tanti modi. Per decisione soggettiva dei suoi gruppi dirigenti. Ma anche perché lo si lascia deperire, non lo si alimenta, non lo si ossigena. Io non voglio sciogliere il mio partito. Voglio che viva ma per vivere dev’essere sempre fedele al suo nome e dunque infedele ai richiami della nostalgia e dell’identitarismo: fedele al compito di rifondare. Se stesso, un’idea del mondo, una pratica della trasformazione. E di rifondare una grande sinistra di popolo. Vorrei un partito aperto, curioso, promotore di partecipazione, capace di ascolto, libero da quella boria che ci rende spesso accademici della chiacchiera. Vorrei in questo partito tenere vivo e costante il confronto sui pensieri lunghi, sugli orizzonti strategici, sapendo che il comunismo è un cammino impervio, che dovremmo imparare a seminare senza la fretta di guadagnare il raccolto, che dovremmo porre correttamente e con radicalità le domande a cui cerchiamo risposta: domande di senso, di qualità del vivere e anche del morire, di qualità del produrre e del consumare, domande sui nostri corpi sessuati e sulla grammatica degli amori, domande sui dilemmi della biopolitica e sulle ferite della biosfera, domande sulla violenza sublimata in potere e dal potere esercitata in regime di monopolio, disseminata attraverso i suoi apparati, perfino sacralizzata.In ciò che vi ho detto vi è la proposta di una ricomposizione della nostra comunità politica. Vi è una ipotesi di governo del partito sulla base di una piattaforma programmatica. Per me, in questa fatica congressuale, non vi è null’altro che non sia tutto intero il senso della mia militanza e della mia vita.
Queer, meglio morti! Si è suicidato, contro la cacciata di Piero Sansonetti, lo sgargiantissimo supplemento domenicale di Liberazione. Queer, suicida, contro chi ha voluto mettere il bavaglio a un'esperienzagiornalistica unica e libera. Queer è stato appuntamento fisso del nostro battuage edicolante. Esaltazione del “famolo strano” domenicale. Tempo dedicato ad un meritato ozio creativo goduto, per qualche mese, anche in technicolor. Di Queer ci piaceva l’attenzione alle culture critiche, l’alterità del punto di vista e l’occasione di coming out per l’intero movimento glbtq e non solo. Cosa dire? Ciao Queer, I love Queer.
comitato.irpino@yahoo.it
Il Comitato Irpino Rifiuti Zero (cir0) è un movimento che, dal basso, nasce come la concretizzazione di quei malumori e quei risentimenti che ristagnano ormai da quindici anni nell’animo dei cittadini irpini. Stanchi dell’operato di chi ha il potere e che dovrebbe tutelare il bene comune, ma che persegue soltanto l'interesse economico, sentiamo l’assoluta necessità di essere presenti.
Il Comitato Irpino Rifiuti Zero (cir0):
Dice SI…
All’avvio IMMEDIATO della raccolta differenziata spinta a partire dal Comune di Avellino; alla programmazione, progettazione e realizzazione degli impianti di trattamento per dare un senso alla raccolta differenziata (soprattutto gli impianti di compostaggio a impatto zero); alla promozione di impianti di trattamento a freddo dei rifiuti differenziati invece di una insensata politica dell’inceneritore e della discarica ad una gestione pubblica e democratica del ciclo dei rifiuti, che porti cittadini e istituzioni a scelte condivise e trasparenti e a controlli seri su tutto il ciclo.
Dice NO…
Alla realizzazione di discariche e di inceneritori; alla militarizzazione della gestione dei rifiuti alla proroga dell’emergenza; alla inerzia delle Amministrazioni locali che non hanno ancora avviato serie raccolte differenziate e programmi di recupero e riciclo; ai metodi di gestione dei rifiuti antidemocratici e non partecipativi.
28 giugno 2008
preguntando caminar
...Pixel vuole essere, innanzi tutto, contenitore, motore di ricerca e moltiplicatore di opportunità nell’ambito della produzione sociale nel nostro paese. Una rete di progetti sociali connessi che condivida, ricerchi, produca risorse, nell’accezione più ampia e complessa del termine.Partiamo da semplici quanto fondamentali presupposti:tutti noi facciamo a diverso titolo e in vario modo intervento sociale strettamente connesso al nostro essere parte attiva del movimento dei movimenti.Si potrebbe forse ancor più correttamente dire che il nostro fare intervento sociale è il modo (non per forza l’unico, sicuramente per noi tra i più importanti) di essere in movimento, di fare movimento. Perchè gli spettacoli teatrali che produciamo, i concerti che organizziamo, i seminari di autoformazione che prepariamo, le iniziative di animazione dei territori o di salvaguardia del verde che progettiamo e più in generale, tutta la produzione artistica, musicale, culturale, aggregativi che caratterizza il nostro intervento nel sociale sono al tempo stesso le occasioni e gli strumenti del cambiamento che mettiamo in campo.Perchè abbiamo imparato a dubitare delle promesse che rinviano a indeterminati “domani” ciò che è necessario e desideriamo sia diverso a cominciare da subito.Abbiamo imparato a diffidaredi chi è bravo a dipingere e declamare “ciò che dovrà essere” senza che trovi adeguata corrispondenza in “ciò che è ora, adesso, subito”...
free tibet
CHI HA PAURA DELLA MUCCA ASSASSINA?
Chi è Viadimir Luxuria? Chi è stata prima di essere parlamentare alla Camera dei Deputati? Dove ha iniziato le sue battaglie per l'uguaglianza, la libertà, il riconoscimento dei diritti? Dal palco del Muccassassina, festa evento e discoteca lesbo-gay-trans - come fosse una gigantesca lente di ingrandimento sul mondo - Viadimir Luxuria ci racconta il mondo sommerso eppure prorompente della diversità, della bellezza altra, di un mondo che ci è, comunque, prossimo. E da quel palco - come fosse, questa volta, uno specchio - Vladimir Luxuria si racconta come un raggio stroboscopico di vitalità, impegno civile, libertà. Sulla scia di "Weekend postmoderno" di Pier Vittorio Tondelli, Vladimir Luxuria descrive il dentro e il fuori della discoteca come "il palco usato per essere scalfito dai tacchi di una drag queen o per urlare il nostro animalismo, il nostro orgoglio, il nostro pacifismo".
Chi ha paura della Mucca Assassina? di Vladimir Luxuria BOMPIANI 2007, pp.253
Hirpinia Link(e) -rete irpina per la sinistra unita e plurale- è uno spazio pubblico perchè potenzialmente praticabile da una molteplicità di soggetti; libero perchè in grado di crescere e di svilupparsi solo attraverso l'impegno, il contributo e le energie di tutt*; plurale perchè capace di accogliere tutte quelle esperienze e quelle culture che si identificano nel processo unitario e plurale della sinistra.
L'adesione ad Hirpinia Link(e), possibile sia in maniera individuale che collettiva ( gruppi, comitati ed associazioni), è utile a qualificare ed a definire, in tutte le nostre comunità, il processo unitario della sinistra come popolare, democratico e partecipato.
Siamo donne ed uomini della sinistra irpina; siamo convinti che sia giunto il tempo di costruire in Italia una sinistra unita e plurale capace di dare alle giovani generazioni, alle lavoratrici e ai lavoratori di questo Paese una rappresentanza reale e una speranza concreta di trasformazione. Sosteniamo la crescita di un processo unitario a sinistraattraverso la connessione, unlink, appunto, con nuovi processi popolari, democratici e partecipati, aperti all' adesione individuale e collettiva per una sinistra capace di trovare radicamento nella profondità del tessuto sociale delle nostre comunità.
"Stiamo cercando ancora vittime e testimoni che risultano introvabili e potrebbero fornire deposizioni decisive. E soprattutto cerchiamo immagini video, perché nessuna testimonianza è più forte delle immagini". Il Genova Legal Forum lancia un appello internazionale per trovare video e fotografie inedite sulle violenze di Genova, luglio 2001.
Quasi due anni dopo i pestaggi da parte della polizia a Genova, le indagini si stanno esaurendo. Chi ha indagato sulla morte di Carlo Giuliani ha deciso che, da quanto in possesso della magistratura, Placanica ha agito per legittima difesa, sparando un colpo di pistola in aria che, dopo aver colpito un calcinaccio, ha ucciso Carlo. La richiesta di archiviazione della procura scaturisce anche dallo studio delle immagini video di piazza Alimonda. Il magistrato, nella richiesta, ha però detto che si vedono molte persone con telecamere e macchine fotografiche in mano a poca distanza da Carlo, persone che hanno visto e filmato ma che non hanno voluto o potuto contribuire a dimostrare la verità.Ora siamo alla fine dell'indagine e, se non dimostreremo che a Piazza Alimonda la verità è un'altra, questa sarà la conclusione. Anche le indagini sul massacro della Diaz e i pestaggi dopo le cariche di via Tolemaide stanno per concludersi. Anche per queste sono state fondamentali le immagini video. Anche i girati di quello che è accaduto durante tutta la serata di fronte al Media Center e durante e dopo l'irruzione alle scuole Pascoli e Diaz potrebbero rivelarsi fondamentali per dimostrare quello che è realmente accaduto. I vertici della polizia italiana hanno mentito o sono stati reticenti davanti al Parlamento e alla Procura della Repubblica di Genova. I verbali degli interrogatori resi ai Giudici e apparsi sulla stampa lo dimostrano. Ma non bastano.Stiamo cercando ancora vittime e testimoni che risultano introvabili e potrebbero fornire deposizioni decisive. E soprattutto, cerchiamo immagini video perché nessuna testimonianza è più forte delle immagini. Molti pestaggi per le strade della città saranno archiviati se non sarà possibile individuare i responsabili, il carattere arbitrario di molti arresti potrà essere dimostrato solo utilizzando i filmati. Oltre al lavoro dei legali è necessario che siano attivate tutte le reti di informazione affinché quel materiale sia rintracciato e messo a disposizione per evitare che questa Genova si chiuda così e che ci possa essere un'altra Genova.
Genova Legal Forumcon il supporto di Indymedia Italiacontattoe-mail: inchiesta-g8@indymedia.orgtel: Genova legal forum 010 24 61 413
Critical Mass - "Massa Critica" - nasce a San Francisco come un modo diretto per riprenderci le strade, fregateci da quella pazzia chiamata automobile.Da allora Critical Mass è diventata un movimento internazionale causa di ingorghi e intasamenti in India, Canada, Francia, Belgio, Lussemburgo, Svezia, Germania, Ucraina e Russia. In Inghilterra l'idea di riprendersi le strade se non altro per un giorno, in protesta contro l'inquinamento da traffico e la cultura dell'auto si è sparsa in un batter d'occhio, con eventi in più di 20 citta' negli ultimi 2 anni.
Critical Mass è stata un successo per due ragioni principali.
Primo, perchè è facile da organizzare, non è nient'altro che una coincidenza di ciclisti. Ci si incontra in una piazza ad una data e ora predeterminata e si decide li' per li' dove andare. Si parte pedalando tranquillamente in mezzo alla strada costringendo le macchine ad andare alla nostra velocita', 10 ciclisti affiancati bastano per coprire la larghezza della strada. Per evitare problemi con gli sbirri non ci sono organizzatori ufficiali nè percorsi pianificati.
Secondo, perchè l'evento non è la classica manifestazione anti-questo anti-quello, ma una dimostrazione attiva di come la citta' sarebbe più vivibile se rinunciassimo alla dipendenza dalla cultura del'auto. Massa Critica è molto più divertente che non marciare in fila ripentendo slogan dopo slogan. A Londra l'appuntamento è mensile e durante i mesi estivi la Massa raggiunge le centinaia di ciclisti. Non essendoci strutture organizzative i partecipanti sono una ciurma variegata, dai fricchettoni del Rinky Dinky sound system su 2 anzi 3 ruote, a ciclisti "duri & puri".C'è chi si traveste, chi attacca un paio d'ali alla sua bici e chi viene in risciò. (dal manifesto Critical Mass Italia)
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